Voglio la mamma. Da sinistra, contro i falsi miti di progresso
La semplicità del titolo altro non è che una scelta che rispecchia la ratio ispiratrice di questo piccolo tascabile di Mario Adinolfi.
Quale può essere mai il motivo che spinge uno tra i fondatori del primo partito italiano, ex-parlamentare, giornalista radio-televisivo e uomo di sinistra convinto a scrivere un libro che si intitola “Voglio la mamma”? Il titolo pare quasi uno slogan di uno di quei articoletti che si trovano sulle riviste dedicate alle neo-mamme e incentrato sulla puericultura. Tanto che c’è da chiedersi se non sia il tipico caso a conferma del detto “l’abito non fa il monaco”.
Questo piccolo testo si presenta come un glossario che delinea in modo sintetico, senza diventare mai banale, alcune tra le questioni maggiormente dibattute tanto in Parlamento, quanto sulla stampa. Ma molto poco e altrettanto superficialmente in tutti gli altri contesti del nostro vivere quotidiano.
Nel preambolo l’autore esprime chiaramente di come scriva «questo libro per dire, da sinistra, che chi è di sinistra sta con gli ultimi, contro i falsi miti di progresso»: in realtà, a fine lettura si comprenderà bene come non esistono colori politici di sorta che possano far proprie posizioni “ideologizzate” o “particolaristiche” su questioni che riguardano l’uomo nella sua più profonda essenza antropologica, sociale, naturale.
Con questi presupposti, nella prima parte l’autore tratta, quali falsi miti di progresso, il matrimonio omosessuale, la questione dell’aborto e dell’eugenetica, il mito dell’omogenitorialità, l’orrore dell’eutanasia infantile e della dolce morte (già morte di Stato in diversi paesi europei), senza tralasciare le spinose questioni della pedofilia e dell’affitto degli uteri, meglio detto gpa, gestazione per altri.
Le fil rouge che consente all’autore di passare da un argomento all’altro è sempre lo stesso: la difesa del soggetto più debole. Secondo Adinolfi al giorno d’oggi la Sinistra italiana si è resa corresponsabile di un irrazionale delirio dissolutivo: «si è fatta strada l’idea che in nome dei cosiddetti diritti civili sia un grande mito di progresso consentire il matrimonio omosessuale, rompere la sacralità della maternità, renderla oggetto di compravendita perché il diritto a sposarsi comporta il diritto a “mettere su famiglia” e nelle legislazioni dove si consente il matrimonio omosessuale si consente di fatto alle procedure di gestazione per altri, cioè di utero in affitto».
Proseguendo con toni incalzanti e ben dosati, l’autore, nella seconda parte, pare voglia dare una risposta ad una domanda che si fa sempre più incalzante: perché un intellettuale laico del terzo millennio dovrebbe mai e poi mai trattare di questi argomenti e con una terminologia così schietta?
Pare che sia stata operata una lenta e graduale operazione di stravolgimento di significato durata diversi decenni e durante la quale è stato affievolito il senso profondo dell’humus valoriale della nostra cultura occidentale. In tutto questo ha giocato un ruolo significativo la cd Teoria Gender.
Occorre, allora, realizzare, secondo l’autore, una battaglia culturale che vada a recuperare per prima cosa, i significati profondi del nostro vivere civile. A partire dall’istituzione della Famiglia tradizionale in contrapposizione a quello di famiglie e al falso mito della femmina androgina «capace di vendersi i figli per bisogno o di teorizzare che la maternità è irrilevante in un mondo in cui ormai la genitorialità si declina con i numeri». Oltremodo significativa la distinzione tra persona ed individuo, condicio sine qua non per definire cosa sia davvero la Libertà, spesso assunto a presupposto ontologico e giustificativo di molti degli istituti affrontati.
Nell’approfondire la questione pare che la causa primigenia di questo caos irrazionale nel quale l’umanità desidera illogicamente buttarsi sia l’individualismo e «della conseguente libertà priva di senso” così da scoprire che solo “la libertà dà potenzialmente la felicità: la libertà di essere una persona. Di essere, cioè, un individuo in relazione con un altro individuo».
Alla fine della lettura possiamo essere combattuti da un profondo senso di inquietudine, come se tutto quello che abbiamo letto non sia davvero possibile, oppure da un significativo senso di irritazione per le posizioni espresse in modo così netto dall’autore.
Si può essere in accordo o in totale disaccordo con quanto affermato da Adinolfi, ma il pregio di questo piccolo testo è quello di aver saputo realizzare quanto di meglio può fare un libro: mettere in dubbio il nostro quieto vivere, scuoterci dalla nostra frenetica apatia, facendo riemergere parole così poco usate oggigiorno…mamma, vita, debole, tenerezza, naturale.
A noi la scelta se dare un seguito a quanto provato nello scorrere le parole lette assimilandole, facendole proprie, trasformandole in azioni concrete, oppure no. A prescindere dal colore con il quale abbiamo deciso di tinteggiare le pareti della nostra esistenza.