Vittime di reato e individuazione fisiognomica
L’identificazione fotografica tramite immagini da parte della Scientifica
La possibilità di individuazione e riconoscimento del reo tramite fotosegnaletica, è stato detto, è una delle tecniche di indagine più utilizzate.
Accanto a questa prima tipologia d’impiego delle immagini forensi ve n’è una seconda che sta via via assumendo un’indiscutibile valenza – anche probatoria e non solo investigativa – che si basa sulla possibilità delle forze di polizia di procedere d’iniziativa al confronto antropometrico o fisionomico tra le immagini presenti nel database interforze (che fa capo al Casellario Centrale di Identità e raccoglie le fotosegnaletiche di tutte le persone identificate nel territorio italiano) e quelle ricavate dagli ambienti videocontrollati (CCTV).
Questa procedura si basa fondamentalmente sull’elaborazione e la possibilità di comparazione d’immagini omogenee, ovverosia sovrapponibili, realizzata seguendo i canoni del metodo scientifico. Un’indagine in cui l’occhio umano è sostenuto e agevolato dalla telecamera ad alta risoluzione, la memoria visiva è rimpiazzata dalla fotografia digitale hd e i processi cognitivi sono fortificati da potentissimi dispositivi informatici.
Ogni volta che un’azione criminosa è registrata da un sistema di videosorveglianza la prima operazione che compie l’investigatore che si occupa di comparazioni fisionomiche è quella di analizzare scientificamente i filmati sequestrati sulla scena criminis nel tentativo di individuare i volti degli autori oppure le interazioni tra essi e l’ambiente.
In senso stretto la scena del crimine è un luogo (o un insieme di luoghi) in cui si è consumato un reato e in cui è possibile rivelare elementi di prova in grado di ricostruire la dinamica del fatto. Tutti i luoghi dove vi è la possibilità di recupero di elementi andrebbero considerati sotto il profilo investigativo allo stesso modo (Bozzi-Grassi in Intini-Picozzi, 2009, 27). Non solo il posto in cui si è compiuto il reato vero e proprio ma anche le vie di fuga, l’auto usata, l’abitazione del reo o il garage, il corpo del reato e le cose pertinenti a esso (secondo una categorizzazione cara soprattutto ai ricercatori comportamentisti statunitensi, esisterebbe la scena del crimine primaria, secondaria, terziaria e così via, che costituirebbero la zona d’interesse investigativo). Analogamente, è possibile reperire immagini o filmati prodotti da sistemi di videosorveglianza anche in luoghi molto distanti da quello del reato.
La tecnica utilizzata della polizia scientifica per il confronto tra immagini è la c.d. “sovrapposizione parametrizzata” (cioè secondo specifici riferimenti spaziali), che consiste nella comparazione fisionomica e metrica tra le immagini evidenziate durante l’attività criminosa e quelle dei sospettati ripresi possibilmente nelle stesse posizioni e negli stessi luoghi del reato oppure delle immagini in possesso nei database informatici del Casellario Centrale di Identità.
Per realizzarla è necessario preliminarmente ricavare le immagini d’interesse investigativo dal supporto sequestrato durante il sopralluogo (per esempio la videocassetta o il disco presente in un luogo qualsiasi sottoposto a videosorveglianza).
L’analisi comincia con uno scrupoloso esame dei fotogrammi o dei filmati che raffigurano gli individui autori di reato ed è finalizzata al rilievo del maggior numero di connotati, connotati salienti e contrassegni presenti, all’analisi delle caratteristiche somatiche, all’altezza e a tutti quei fattori in grado di determinare le informazioni d’interesse investigativo e probatorio. Sono quindi selezionati i frames che permettono sia di individuare la precisa localizzazione del reo nell’ambiente (in funzione di precise strutture fisse di riferimento spaziale), sia di mostrare le caratteristiche del volto.
L’acquisizione digitale e l’ottimizzazione delle immagini consentono di compiere una serie di operazioni tra cui il miglioramento del segnale video, l’estrazione di immagini dal video, la “digitalizzazione” mediante lettori ottici di immagini fotografiche e il “perfezionamento” delle immagini digitali (mantenendo ovviamente inalterate le caratteristiche morfologiche e antropometriche). Il riscontro tra immagini può considerarsi soddisfatto quando è presente una sovrapponibilità fra i punti luminosi fissati sul volto del reo e le corrispettive forme anatomiche del volto dell’indagato «idonea a rafforzare l’indizio costituito dal riconoscimento operato da un testimone».
Va detto comunque che la corrispondenza tra le caratteristiche presenti nell’immagine fotografica e quelle di un soggetto conosciuto, potrà portare gli investigatori solamente a un giudizio di “compatibilità” e mai di identità certa come invece nel caso delle impronte o del profilo genetico.
A questo proposito la validità probatoria del riconoscimento tra immagini, in assenza di una norma specifica, è regolata dall’orientamento fornito da una sentenza della Cassazione:
«La così detta perizia antropometrica si fonda su una metodologia collaudata nel tempo ed ormai acquisita al patrimonio della comunità scientifica: così che i suoi risultati – ove le relative operazioni tecniche siano state correttamente eseguite – possono costituire elementi indiziari a carico degli indagati e degli imputati. Certo la sola “compatibilità antropometrica” non può da sola costituire grave indizio di colpevolezza; e però un siffatto giudizio è certamente idoneo a rafforzare l’indizio costituito dal riconoscimento operato da un testimone; così come un giudizio di “incompatibilità” diminuisce o addirittura vanifica la portata di quell’elemento di prova». (C. di Cassazione, sentenza n. 83 del 20/01/2004).
I Sistemi biometrici e il Sotto Sistema Anagrafico (S.S.A.) per immagini
La tecnologia che ha permesso lo sviluppo rapidissimo dell’indagine fisionomica deriva dall’incontro di alcune scoperte scientifiche le quali sono state in realtà progettate e costruite per scopi differenti:
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il sistema biometrico usato per la gestione delle fotosegnaletiche (che prende il nome di ‘Sotto Sistema Anagrafico’ o ‘S.S.A.’) è di fatto una derivazione del sistema biometrico concepito per la codifica delle impronte (APFIS);
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gli apparati di videosorveglianza presenti nelle nostre città sono nati con lo scopo principale di prevenire i reati. Poi il progresso tecnologico (per esempio la possibilità di memorizzare per un tempo indefinito filmati e immagini) ha permesso il loro impiego per scopi anche repressivi;
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l’utilizzo della fotografia digitale ad alta definizione e dei programmi di software per l’elaborazione di immagini per scopi forensi è stato, almeno inizialmente, inaspettato.
Un dispositivo biometrico è in generale un sistema composito hardware/software che consente di accertare l’identità tramite l’analisi di una caratteristica fisiologica o funzionale.
Il Sotto Sistema Anagrafico o “S.S.A.”, cioè il database delle immagini dei segnalati che permette la comparazione fisionomica, è di fatto una derivazione del sistema biometrico APFIS. I primi sistemi automatici per il riconoscimento biometrico furono sviluppati a partire dagli anni 1950 del 1900 dall’F.B.I. in collaborazione con altri enti governativi e privati, grazie al forte impulso promosso da Edgar Hoover, ma furono applicati su larga scala solo dagli anni 1980 in poi. Questa acquisizione tecnologica ha permesso in tempi brevi la memorizzazione di tutti i cartellini segnaletici del Casellario Centrale di Identità (cioè dell’archivio cartaceo in cui sono custoditi i documenti fotodattiloscopici) e l’automazione di tutte le procedure di acquisizione e memoria delle immagini.
L’organizzazione dell’APFIS prevede a livello centrale, presso il Servizio Polizia Scientifica, la presenza di server, cioè elaboratori per la gestione di software, ognuno di essi è utilizzato per la gestione di dati specifici (impronte e frammenti digitali e palmari, dati anagrafici, fotografie, ecc.), mentre le stazioni di lavoro collocate presso gli uffici periferici interagiscono con l’unità centrale tramite una rete geografica digitale Intranet ad altissima velocità, che permette il confronto in tempi brevi con tutte le impronte e la visualizzazione delle fotografie presenti nel Casellario. Questo tipo di architettura consente quindi di suddividere l’attività in più sottosistemi specializzati che, ripartendosi il carico di lavoro, migliorano classe e funzioni dei servizi. I sistemi AFIS e APFIS rappresentano inoltre una moderna evoluzione del concetto di banca dati, poiché assolvono alla duplice funzione di archivio elettronico centrale di informazioni.
Bibliografia
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