Stress e mobbing
…tanto per puntualizzare
È di fondamentale importanza cercare di misurare, leggendo peculiarmente, il clima lavorativo e perfezionarsi sempre di più in tale misurazione perché esiste un chiaro rapporto tra mobbing e psicopatologia. Spesso, infatti, i disturbi di personalità trovano nel mobbing una facile cornice di razionalizzazione. Una persona con disturbo di personalità paranoide, per esempio, probabilmente si definirà mobbizzata anche in mancanza di situazioni reali. Allo stesso modo, una persona con depressione reattiva a un altro trauma che non sia necessariamente quello lavorativo, potrà attribuire al campo professionale il proprio disagio; la persona con depressione reattiva di solito ha un atteggiamento depressivo globale, mentre chi è sottoposto a mobbing ha un atteggiamento depressivo che riguarda esclusivamente il lavoro. Una persona con tratti di personalità dipendente potrà sviluppare questo atteggiamento mentale nel momento in cui il leader del gruppo non risponderà al suo bisogno di rassicurazioni. Per fare un altro esempio, una persona con disturbo paranoide non possiede affatto la sensazione di essere colpevole mentre il mobbizzato si sente colpevole.
In conclusione, sembra doveroso affermare che si rende necessaria un’analisi estremamente dettagliata del fenomeno che porti a distinguere un falso mobbing da un reale mobbing, pur essendo tutto ciò estremamente complicato.
Sportelli “anti-mobbing”, sindacati, associazioni di varia natura che si occupano di dare sostegno e aiuto a quanti affermano di essere vittime di mobbing, molto spesso si trovano ad affrontare situazioni in cui di mobbing non v’è neanche l’ombra…perchè il reale mobbizzato, spesso, non sa di esserlo e tanto più spesso, non riesce a chiedere aiuto.
Alla luce di quanto esposto, sembra allora di rilevante importanza imparare a leggere il clima emotivo del luogo di lavoro nonché le regole implicite ed esplicite. Bisognerebbe possedere una buona lettura degli schemi emotivi e personali: tralasciare questo aspetto significherebbe perdere la persona e, dunque, in gergo aziendale, perdere una risorsa. Il termine tecnico di questa lettura è «diagnosi dei flussi comunicativi» che in termini professionali si traduce con il dare importanza all’analisi non del “perché” succedono determinati fenomeni quanto, piuttosto, con il lavorare sul “come” tali modalità si realizzano nel gruppo di lavoro. Questo perché il conflitto, che se non risolto diventa causa di stress e che, come abbiamo visto, sfocia in dinamiche mobbizzanti, non va letto necessariamente in termini negativi. Il conflitto può rappresentare il termometro di un cambiamento, di un momento di trasformazione. Attraverso il conflitto, infatti, qualcosa si è rotto rispetto all’equilibrio precedente, non si è più quelli di prima e, forse, da questa destrutturazione potrà emergere una nuova combinazione. Un conflitto che genera ansia può rappresentare un momento di cambiamento e di possibile trasformazione. Nel conflitto è bene mantenere una giusta distanza tra le parti: un’equidistanza che non aumenti le classiche polarizzazioni «io ho sempre ragione e tu sbagli sempre» oppure «è tutto bianco o tutto nero». Nelle organizzazioni in cui si considera il conflitto essenzialmente in modo negativo, ogni situazione conflittuale sarà vissuta in termini distruttivi dalle persone coinvolte e più acceso sarà il conflitto, maggiore sarà la possibilità di confusione. Lo stress, allora, non sarà lo scenario per un positivo cambiamento, ma diventerà il palcoscenico su cui verrà agito o, per meglio dire, rappresentato il mobbing.
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