Shaken Baby Syndrome: aspetti clinici, criminologici e medico legali

 In FocusMinori, N. 1 - marzo 2021, Anno 12

«La famiglia, questa isola di sicurezza, può essere al tempo stesso il luogo della violenza estrema»

Boris Cyrulnik

 

La Shaken Baby Syndrome (SBS), comunemente conosciuta come la «sindrome del bambino scosso», rappresenta una forma, spesso inconsapevole, di maltrattamento infantile determinata da un violento scuotimento del bambino con conseguente trauma sull’encefalo e successive sequele neurologiche (Martin et al., 2006; Altimier et al., 2008; Mian et al., 2015). In relazione al ruolo centrale assunto dal trauma cranico quale conseguenza del violento scuotimento del bambino la SBS è nota anche come Abusive Head Trauma (AHT) (Joyce et al., 2020): il trauma cranico abusivo è infatti la causa principale di morte e disabilità nei neonati e nei bambini piccoli per abusi sui minori[1]. L’abuso sui minori è stato identificato come la principale causa di lesioni cerebrali in un quarto dei bambini di età superiore ai 2 anni e la SBS rappresenta una delle forme più gravi di maltrattamento fisico del neonato e del lattante, costituendo la principale causa di morte e disabilità per abuso nell’infanzia: essa infatti provoca gravi conseguenze neurologiche – solo il 15% dei casi sopravvive senza esiti – e nel 25-30% dei casi la morte del bambino. L’incidenza dell’SBS è riportata dai vari studi della letteratura con valori variabili da 14 a quasi 40 casi ogni 100.000 bambini nei paesi industrializzati, ma la reale consistenza di questi numeri è molto difficile da stabilire, non solo per la complessità della diagnosi, ma anche perché molti casi non giungono all’osservazione medica. Infatti il 31% circa degli abusi non sono inizialmente riconosciuti, mentre l’80% delle morti potrebbero essere prevenute se riconosciute precocemente. In Italia non esistono dati certi sul fenomeno, ma si ritiene che l’incidenza possa essere di 3 casi ogni 10.000 bambini di età inferiore ad un anno[2] (Banti et al., 2014).

Aspetti clinici

La dinamica lesiva nella SBS consiste nello scuotimento del bambino, afferrato a livello del torace o anche degli arti superiori e/o inferiori, che viene sollecitato con brusche accelerazioni/decelerazioni angolari dell’encefalo intorno a un fulcro costituito dal nevrasse cervicale, con successivi movimenti rotatori della massa encefalica e rimbalzi contro il tavolato cranico interno. Alcune caratteristiche anatomiche peculiari del neonato e del lattante favoriscono la produzione delle lesioni cerebrali quali, in particolare, il notevole volume e il peso del capo in rapporto al resto della massa corporea (la testa rappresenta circa il 15% del peso corporeo), l’ipotonia della muscolatura paravertebrale a sostegno del capo, la fragilità e immaturità della massa encefalica per deficit di mielinizzazione assonale, ecc. (Fulton et al., 2000; Smith, 2003). L’entità delle lesioni è anche in relazione all’età del bambino (più è piccolo e più sono gravi) e alla violenza con cui è stato scosso. Dai casi diagnosticati emerge che di solito il bambino viene afferrato a livello del torace o delle braccia e scosso energicamente circa 3-4 volte al secondo per 4-20 secondi. Il criterio diagnostico che permette di identificare l’SBS è rappresentato dalla triade: ematoma subdurale, edema cerebrale ed emorragia retinica, che possono associarsi a manifestazioni cliniche più aspecifiche come tumefazioni craniche, contusioni, fratture delle coste e delle ossa lunghe. In particolare le fratture costali, più spesso a sede paravertebrale e multiple, interessanti uno o entrambi gli emitoraci, quando presenti, associate alle altre lesività, risultano particolarmente suggestive di SBS (Mian et al., 2015).

I segni e sintomi associati a questa sindrome variano in funzione della gravità delle lesioni cerebrali. Possono essere di lieve entità e non specifici o, al contrario, possedere caratteristiche quali-quantitative tali da essere facilmente riconducibili al trauma encefalico. Più frequentemente la sintomatologia può essere aspecifica e la diagnosi non sospettata per molto tempo: irritabilità o sonnolenza, vomito e inappetenza, difficoltà di suzione o della deglutizione, ritardo motorio o del linguaggio, disturbi comportamentali, aumento eccessivo della circonferenza cranica. In taluni casi, i segni del maltrattamento possono essere sospettati anche dopo anni, in relazione a disturbi comportamentali o dell’apprendimento. È stato rilevato in particolare una maggiore incidenza di stati depressivi, comportamenti violenti e aggressivi, uso di droghe e alcol con esordio in età adolescenziale in soggetti vittime di SBS (AAP, 2001): naturalmente potrebbe essere particolarmente difficile mettere in relazione questi disturbi con scuotimenti avvenuti tanto tempo prima.

Proprio in considerazione della frequente aspecificità del quadro clinico, che rende necessario procedere a una diagnosi differenziale con altri quadri morbosi (sepsi, meningoencefalite, cardiopatie congenite, sindromi virali, malattie metaboliche, leucemia, ecc.), un apporto fondamentale per la diagnosi è rappresentato dagli accertamenti radiografici, che consentono non solo il rilievo di lesioni scheletriche e viscerali che possono sfuggire a un pur attento esame clinico, ma anche la possibilità di operare una diagnosi differenziale tra lesioni traumatiche accidentali e quelle secondarie a maltrattamento. In particolare l’impiego della TAC e della RMN, oltre a consentire una valutazione più precisa del danno cerebrale traumatico, onde identificare, ad esempio, un’emorragia epidurale che non appare compatibile con un SBS (Shugerman et al., 1996), consentono anche lo studio contemporaneo dei tessuti molli pericranici, del tavolato cranico nonché la valutazione del rachide cervicale, non rara sede di fratture e dislocazioni vertebrali nei casi di SBS (Jain, 2015). Altrettanto importante è anche l’esame del fondo oculare in considerazione della elevata percentuale di casi di SBS (50-100%) in cui si riscontra la presenza di emorragie retiniche (Felekis et al., 2008).

Preme rimarcare, tuttavia, che sebbene il riscontro della caratteristica triade clinica costituita da encefalopatia, emorragie retiniche ed emorragie subdurali permette una formulazione diagnostica in termini di elevata probabilità, è stato rilevato che non vi sono prove scientifiche sufficienti su cui valutare l’accuratezza diagnostica della triade nell’identificare con certezza la presenza di un SBS (Lynøe et al., 2017; Wester, 2018): infatti la specificità di questi risultati è stata contestata anche in recenti procedimenti statunitensi (Plunkett, 1999). Risulta quindi particolarmente importante nell’SBS, come peraltro in tutte le forme di maltrattamento, l’adozione di una rigorosa metodologia accertativa delle lesioni traumatiche subite dal minore per poi procedere alla minuziosa ricerca delle loro cause, procedendo secondo la consolidata criteriologia medico-legale di valutazione del nesso causale (Niola et al., 2016). Gli operatori sanitari devono essere pertanto consapevoli delle lesioni tipiche associate agli incidenti rispetto a quelle associate all’abuso, attraverso la formazione di personale sanitario esperto e l’individuazione di procedure operative standardizzate, finalizzate a ridurre al minimo la gestione personalistica e casuale del fenomeno. Non va sottaciuto, infatti, che se da una parte la mancata diagnosi di SBS può esporre l’abusato al concreto rischio di un’incidenza negativa sul suo stato di salute e sulla sua sopravvivenza in ragione del perpetuarsi degli atti violenti, d’altra parte una diagnosi infondata di abuso su un minore può avere gravi conseguenze sia sullo sviluppo psichico del soggetto in fase di crescita (in quanto lo stesso può essere sottratto, per motivi di sicurezza durante tutto il periodo accertativo, dal nucleo familiare), che sui genitori dello stesso. A tale proposito è stato infatti rilevato come l’essere accusati ingiustamente di un presunto SBS/AHT è foriero di un intenso stato di stress nei genitori coinvolti, che può tradursi in un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress e sfiducia nei confronti dei servizi sanitari e delle autorità con un profondo e duraturo impatto sulle loro vite in termini sia di salute psico-fisica che di funzionamento globale (Högberg et al., 2020).

Aspetti criminogenici e criminodinamici

Il pianto del neonato rappresenta il principale fattore scatenante la condotta abusante, la cui attuazione è direttamente proporzionale alla durata e alla frequenza delle crisi di pianto, nonché al carattere di irrefrenabilità delle stesse: si è osservato che più frequentemente i bambini «scossi» piangono durante la giornata, per un periodo compreso tra 1,5 e 3 ore. Nella maggior parte dei casi il movimento di scuotimento da parte del genitore viene effettuato in modo inconsapevole, al fine di calmarlo; per tale motivo, l’età maggiormente a rischio è quella tra la 2° settimana e il 6° mese di vita, periodo nel quale i bambini piangono molto frequentemente e talvolta in maniera inconsolabile («purple crying») (Barr et al., 2006).

Numerosi fattori di rischio possono favorire il verificarsi di questa condizione, quali disturbi mentali del caregiver (la depressione in primis), l’uso di alcool o sostanze stupefacenti, la disoccupazione, episodi di violenza in ambito familiare, condizioni socioeconomiche disagiate, ma anche la stanchezza fisica del genitore, la solitudine e il senso di frustrazione derivante dall’incapacità a calmare il bambino, cui si assomma la totale assenza di conoscenza dei danni che possono derivare dallo scuotere il minore, gesto che molti caregivers possono compiere anche istintivamente non tenendo in debito conto la delicatezza dell’encefalo di un lattante e le conseguenze che ne possono derivare. In particolare un basso livello culturale e l’età ridotta dei genitori – in quanto associata sovente ad una scarsa competenza del ruolo genitoriale e dell’essere coniugi –, assieme alla presenza di una gravidanza particolarmente stressante perché difficile o indesiderata, soprattutto in un contesto caratterizzato dalla presa in carico dell’accudimento pressoché esclusivo da parte di una madre non adeguatamente supportata da altre figure familiari in situazioni di isolamento socio-relazionale-familiare, rappresentano fattori di rischio particolarmente significativi e frequenti nella genesi del SBS (Polo, 2017). I caregivers ammettono raramente l’abuso deliberato del minore: di solito sono evasivi, temono ripercussioni e adducono motivazioni come il cadere dalle scale, il cadere da una culla o da un seggiolone o da un letto, un trauma effettuato da altri bambini durante il gioco, ecc. Questo atteggiamento, tuttavia, non necessariamente nasconde un tentativo di dissimulazione in quanto trattasi per lo più di un atto impulsivo di madri che non sono solite maltrattare i figli, senza alcun progetto omicida, tanto che solamente il 33% dei decessi inerenti all’SBS sono classificati come omicidi (Merzagora Betsos, 2003). Poiché spesso l’agito impulsivo attuato in risposta al pianto del bimbo avviene in presenza di peculiari situazioni contingenti caratterizzate da particolari stati di fragilità genitoriale relativi a condizioni psico(pato)logiche individuali o a situazioni socio-familiari sfavorevoli che ostacolano la messa in atto di adeguate risposte genitoriali, risulta particolarmente importante, onde inquadrare la genesi e la dinamica del SBS, procedere ad una attenta raccolta del dato storico-circostanziale, relativamente al caso specifico, al fine di poter distinguere, ove possibile, un trauma, da abuso, da un evento accidentale (Nivoli, 2002). In particolare, le «credenze genitoriali» possono alimentare azioni ritenute efficaci, come lo scuotere il bambino, senza considerare la fragilità della sua muscolatura, che attiva un meccanismo autoperpetuantesi che va a rinforzare il ripetersi del comportamento di scuotimento stesso (Solarino et al., 2012). Infatti il genitore che per la prima volta reagisce al pianto del bambino con uno scuotimento che determina l’interrompersi del pianto, ignaro dell’effetto dannoso della sua azione, acquisendo la convinzione dell’efficacia del gesto, probabilmente riproporrà altre volte lo stesso schema comportamentale, determinando in tal modo, in maniera del tutto inconsapevole, un danno crescente che potrebbe manifestarsi in seguito in maniera drammatica.

La presenza di fattori psico-stressanti può creare uno stato di sovraccarico allostatico che può risultare ancora più rilevante in presenta di peculiari assetti psicologici che, tendono a ricorrere con una certa frequenza nelle madri accusate di SBS. Fra gli elementi psicologici/personologici più frequentemente riscontrati, che possono impedire al soggetto di valutare in maniera adeguata il livello di stanchezza e di stress accumulato, ricordiamo: tenace adesione al ruolo di «brava madre», capace di fare tutto da sola; sensazione di inadeguatezza nella gestione della quotidianità e nell’accudimento dei figli che non la fa sentire come «capace»; profondo senso di solitudine vissuto quotidianamente; presenza di un pensiero semplice e poco elaborato, in cui le funzioni prassiche-operative prevalgono su quelle astratte speculative; difficoltà di elaborare le emozioni in maniera appropriata. Risulta pertanto evidente che, escludendo le situazioni francamente patologiche (depressione post partum, depressione psicotica, ecc.), nella maggior parte dei casi l’elemento criminogenico trova origine nella presenza di un rilevante stress situazionale vissuto dal cargiver all’epoca dei fatti, in assenza di un assetto psicologico in grado di elaborarlo e affrontarlo efficacemente, anche attraverso la richiesta di un aiuto, che, per la messa in atto di meccanismi di minimizzazione e negazione, non viene contemplato come una concreta possibilità in quanto metterebbe in crisi la percezione nel soggetto di essere una «brava madre». Tale condizione rappresenta un fattore facilitante per la messa in atto di «reazioni abnormi» che la letteratura (Fornari, 2015) ha variamente denominato come «reazioni a corto circuito», «reazioni esplosive», «discontrolli episodici», «disturbi esplosivi isolati», intendendo quelle situazioni ad elevatissimo ed abnorme coinvolgimento emotivo, transitorie, che si verificano in soggetti altrimenti sani e si esauriscono in un tempo circoscritto con completa restitutio ad integrum. In particolare il termine «discontrollo episodico», proposto originariamente da Menninger e Mayman (1956), denota una modalità reattiva in cui «l’impulso aggressivo sembra eludere ogni inibizione da parte dell’Io, esprimendosi in modo diretto, sia per il fatto di essere in genere di carattere episodico ed esplosivo, facendo seguito alla scarica di aggressività una ripresa più o meno rapida del controllo, sia infine per il fatto che in tale dinamica, oltre che l’Io, vengono infranti anche i controlli e le barriere della realtà»[3]. Trattasi pertanto di uno stato psicopatologico transitorio caratterizzato dal fatto che l’individuo, già logorato da una situazione di stress prolungato, viene a trovarsi davanti ad una ulteriore fonte di stress (il pianto del bambino) verso cui reagisce con modalità improvvise ed automatiche[4] in cui fanno difetto o vengono a cadere i normali controlli inibitori che comportano una transitoria frattura con la realtà, ristabilendosi l’equilibrio al termine della reazione stessa (Rossi & Zappalà, 2015). Secondo Gulotta (1981) la sequenza di tale stato è la seguente: organizzazione psicologica inziale, frustrazione, rabbia, confusione, risoluzione della confusione, nuovo equilibrio. Anche la psicopatologia classica (Sarteschi & Maggini, 1982) ha rilevato l’esistenza di reazioni psicogene improvvise ed abnormi originate da stimoli emozionali modesti che di frequente non lasciano traccia mnesica cosciente. Quest’ultimo aspetto appare particolarmente importante in quanto accade sovente che soggetti accusati di SBS riportano un ricordo dei fatti a loro contestati poco chiaro e tendenzialmente lacunoso, che viene palesato con affermazioni del tipo: «non ricordo…se lo avessi fatto me lo ricorderei…». Escludendo situazioni di franca dissimulazione, per un approfondimento delle quali si rimanda a testi specifici[5], in questo contesto preme ricordare che il fatto che il soggetto non conservi memoria dell’azione messa in atto può rappresentare proprio la dimostrazione di quell’intenso coinvolgimento emotivo responsabile di uno slivellamento della coscienza a causa di meccanismi iponoici, che risultano più frequenti soprattutto in soggetti con psichismo semplice, poco elaborato e con organizzazioni personologiche abnormi in senso isteriforme[6]. Anche meccanismi di difesa, di negazione e rimozione, possono contribuire a forme di amnesia psicogena in merito ai fatti contesti soprattutto in soggetti caratterizzati da uno psichismo immaturo, come rilevato da numerosi studi empirici condotti negli ultimi anni che hanno dimostrato il rilievo clinico e forense del meccanismo della rimozione[7] (Lingiardi, 2003). È importante però non confondere un deficit del ricordo riconducibile a questo meccanismo di difesa, con un vero e proprio disturbo dissociativo nosograficamente definito come «amnesia dissociativa» (AMA, 2014), in cui l’amnesia lacunare psicogena[8] appare espressione di un disturbo dissociativo vero e proprio, ovvero di una vera sconnessione/discontinuità della normale integrazione di coscienza, memoria, identità, emotività, ecc. Tutti questi elementi sottolineano la necessità che, per comprendere in maniera corretta la criminogenesi e criminodinamica in un caso di sospetta SBS, sia quanto mai importante applicare la «teoria del campo» di K. Lewin (1961) secondo cui il comportamento (C), anche quello criminoso (Cc), può essere considerato come funzione dell’ambiente (A) e della persona (P): C = f (A, P). Infatti poiché nella criminogenesi della SBS appare evidente il ruolo assunto dall’interazione persona-ambiente, in cui cioè un evento trigger (ovvero il pianto del bambino) viene ad interagire con uno stato di labilità psichica del caregiver secondario ad una situazione di rilevante stress psicofisico, appare evidente la necessità, per comprendere i meccanismi che intervengono nell’esecuzione di tale condotta delittuosa, di cimentarsi con lo studio dell’individuo considerato nelle sue relazioni con l’ambiente naturale e sociale in cui vive (Balloni et al., 2019). Tale approccio metodologico risulta, a nostro avviso, fondamentale, onde identificare quelle reazioni psicogene abnormi che, al di là delle questioni nominalistiche («azione a corto circuito», «reazione esplosiva» di Kretschmer (1950), «discontrollo episodico degli impulsi», ecc.), rappresentano un vero e proprio quid novi totalmente estraneo alla storia biografica del soggetto, assurgono a «valore di malattia[9]» e in cui il fatto reato può essere perciò considerato alla stregua di una «condotta-sintomo» (Bandini & Rocca, 2010).

Aspetti medico legali

Riguardo agli aspetti di tipo preminentemente medico-legale (Solarino et al., 2012; Niola et al., 2016) è bene segnalare che la SBS è una forma di maltrattamento e, come tale, ricade in quanto disposto dall’art 572 c.p. che contempla il delitto di «Maltrattamenti contro familiari o conviventi»[10]; al delitto vengono inoltre applicate le circostanze aggravanti comuni previste dall’art. 61 n. 11 quinques c.p. inerenti «l’aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche (omissis)». La gravità delle lesioni della SBS può inoltre contemplare le lesioni personali dolose, previste dall’art. 582 c.p.[11], mentre nel caso di decesso, l’ipotesi di reato ricade, ovviamente, in quella di omicidio doloso ex art. 575 c.p.[12]. La natura del reato determina inoltre un obbligo giuridico del sanitario di notifica all’Autorità Giudiziaria mediante gli strumenti del referto, qualora egli rivesta la qualifica di esercente un servizio di pubblica necessità (art 359 c.p.)[13], ovvero della denuncia/rapporto laddove invece rivesta il ruolo di Pubblico ufficiale (artt. 357-358 c.p.)[14]. Qualora giunga all’osservazione di un operatore sanitario un minore che mostra sintomi e segni espressivi di SBS e tale sospetto diagnostico trovi conferma (o comunque, alta probabilità) attraverso l’effettuazione di ulteriori indagini conoscitive (approfondito e mirato colloquio anamnestico con i genitori, separatamente tra loro e, se consentito dallo sviluppo cognitivo, con il minore; specifici esami strumentali, ecc.), sorge pertanto l’obbligo giuridico per il sanitario (ex artt. art. 365 c.p. e art. 331 c.p.p.)[15] di segnalare all’Autorità Giudiziaria competente la commissione di un reato. Tale obbligo giuridico si configura anche come un dovere deontologico come previsto sia dal Codice di deontologia medica (art. 32) [16] che dal Codice della professione infermieristica (art. 22) [17], ove viene sottolineato il ruolo di tutela svolto dall’operatore sanitario nei confronti di vittime di abuso o violenza, tanto più se minori, e la perentorietà di segnalare all’Autorità competente le condizioni di discriminazione, maltrattamento psico-fisico, violenza o abuso sessuale e privazioni.

A prescindere da tali obblighi meramente giuridici[18], si ritiene, tuttavia, che il sanitario debba primariamente promuovere iniziative atte ad individuare precocemente e a prevenire dette condizioni. Appare quindi fondamentale innanzitutto che tutti i sanitari potenzialmente coinvolti nella gestione di casi di SBS siano informati e formati sulla relativa, non infrequente, ricorrenza di tale forma di maltrattamento, nonché sulla condotta comportamentale da adottare laddove si ravvisi il fondato sospetto della ricorrenza della suddetta sindrome conciliando in tal modo esigenze cliniche e di giustizia. Per far questo risulta necessario la messa in atto di protocolli rigorosi e condivisi che contemplino un modello di gestione multidisciplinare con superamento della attuale parcellizzazione e frammentazione del sapere medico (neurologi, neurochirurghi, neuroradiologi, anestesisti, oculisti, medici legali ecc.), onde attivare un efficace intervento integrato che appare fondamentale anche per ridurre il rischio di addebiti di responsabilità professionale per errata condotta diagnostica.

Estremamente importante risulta poi l’opera dei sanitari nel promuovere iniziative atte a prevenire la SBS attraverso la riduzione dei fattori di rischio e il rafforzamento dei fattori di protezione, partendo da processi educativi post-partum: è pertanto importante che da parte degli operatori sanitari e di tutte le strutture socio-sanitarie che si occupano delle problematiche infantili venga effettuata un’opera di informazione a genitori e famiglie sulle adeguate azioni di assistenza e cura del bambino e sui rischi che alcune manovre improprie possono comportare, affinché un gesto, a volte inconsapevole o addirittura benevolo, non si trasformi in un grave danno (Cala et al., 2020).

Rilevante in tal senso, in particolare, il ruolo dei pediatri che possono fornire consigli ai genitori su cosa fare in caso di pianto inconsolabile e su come gestire il proprio stress, così come di tutti coloro che, fornendo a vario titolo cure primarie per i neonati, si trovano nella posizione ottimale per osservare e agire sui fattori di rischio della SBS, fornendo azione informativa e formativa al momento delle visite di controllo nei primi mesi di vita (Walls, 2006). Nonostante la maggior parte dei programmi negli Stati Uniti ed in Europa per la prevenzione primaria del trauma cranico abusivo (AHT) prevede di informare le madri sui pericoli di un trauma cranico violento subito dopo il parto, è stato però rilevato (Berthold et al., 2019) che questo approccio potrebbe non essere sufficiente a ridurre i tassi di incidenza della SBS, per cui potrebbe risultare ancor più utile l’introduzione di programmi di prevenzione più ampi che dovrebbero concentrarsi sull’istruzione degli adolescenti (potenziali baby sitter) e dei giovani adulti quando ancora non hanno figli propri.

Conclusioni

La valutazione dei bambini con sospetto SBS rappresenta un compito complesso per i risvolti clinici e medico legali che esso comporta in relazione alla necessità di distinguere tra trauma accidentale e trauma da abuso in quanto, una erronea diagnosi può avere gravi conseguenze sia sul bambino che sul rapporto genitoriale e coniugale, oltreché rappresentare motivo di doglianza da parte dei presunti abusanti, con il rischio anche di addebiti di responsabilità per colpa medica. Da un punto di vista forense appare centrale che il perito ponga particolare attenzione alla ricostruzione criminogenica e criminodinamica del fatto, con riferimento in particolare alla storia di vita del soggetto e al funzionamento mentale del cargiver mediante una ricostruzione capillare ed attenta delle caratteristiche personologiche e del contesto ambientale/relazionale in cui è avvenuto il fatto, onde poter differenziare condotte emotive non aventi valore di malattia da situazioni psico(pato)logiche, anche transeunti, rilevanti invece in termini di imputabilità.

 

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  1. Preme specificare che in letteratura sono riscontrabili anche altre terminologie per fare riferimento alla SBS quali: Nonaccidental Head Injury (NAHI); Inflicted Traumatic Brain Injury (ITBI); Nonaccidental Head Trauma (NAHT); Shaken Impact Syndrome (SIS); Whiplash Shaken Infant Syndrome (WSIS).

  2. La maggior parte dei casi si verifica nel primo anno di vita, con una maggior frequenza nei primi sei mesi.

  3. Ponti, G., Gallina Fiorentini, P. et al. (1981). Discontrollo omicida: considerazioni dalla casistica. In: Andreani, F. & Cesa Bianchi, M. (a cura di). Il discontrollo omicida, Franco Angeli, Milano.

  4. L’atto automatico o automatismo è un comportamento o una serie di comportamenti che si produce al di fuori del controllo cosciente da parte del soggetto, ovvero al di fuori di una coscienza lucida e indipendentemente da una sua piena volontà. Cfr. Formari, U. (2015). Trattato di Psichiatria Forense (VI ed.). Utet, Milano.

  5. Ex multis: Cerisoli, M., Cimino, L. & Vasapollo, D (2014). La simulazione in ambito neurologico e psichiatrico. Problematiche cliniche e medico-legali. Società Editrice Universo, Roma.

  6. Sebbene il termine «isteria» non sia più impiegato negli attuali sistemi categoriali/nosografici (DSM, ICD), tuttavia suole comunemente definirsi come temperamento isterico quell’assetto personologico caratterizzato da immaturità, superficialità, instabilità emotiva, accentuata eccitabilità, suggestionabilità.

  7. Con il termine di «rimozione» suole intendersi quel meccanismo di difesa inconscio per cui un soggetto è incapace di ricordare o di essere cognitivamente consapevole di desideri, sentimenti, pensieri o esperienze disturbanti; trattasi di un livello di inibizione mentale poco evoluto messo in atto per proteggersi da vissuti emotivi altrimenti inaccettabili.

  8. Per un approfondimento del tema «amnesia lacunare psicogena e simulazione» si veda: Cerisoli, M., Cimino, L. & Vasapollo, D. (2014). La simulazione in ambito neurologico e psichiatrico. Problematiche cliniche e medico-legali. Società Editrice Universo, Roma.

  9. La nozione di «valore di malattia», intesa come «il grado di diversità tra le direttive abituali di una determinata personalità e il suo comportamento abnorme» venne proposta da Müller-Suur (1956) per risolvere il problema della valutazione psichiatrico forense delle «anomalie mentali» in riferimento ad un reato. Da un punto di vista funzionale, oltre che giuridico, è però preferibile sostituire tale definizione con quella di «infermità dell’atto». Cfr: Fornari, U. (2011). Paranoia. Dal disturbo di personalità alla psicosi delirante. Express, Torino.

  10. Art. 572 c.p.: «Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente [art. 571], maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni».

  11. Art. 582 c.p.: «Chiunque cagiona a qualcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni (omissis)».

  12. Art. 575 c.p. «Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno».

  13. Art. 359 c.p.: «Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità: 1. i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato [c.p. 348, 498], quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi; 2. i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione [c.p. 360]».

  14. Art. 357 c.p.: «Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».

    Art. 358 c.p.: «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».

  15. Art. 365 c.p.: «Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’autorità indicata nell’art. 361 è punito con la multa fino a euro 516. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale». Art. 331 c.p.p.: «1. Salvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici ufficiali (357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto (361, 362 c.p.), anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero (51) o a un ufficiale di polizia giudiziaria (57). 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere (110) un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero».

  16. Art. 32 C.D.M. (2016): «Doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili. Il medico tutela il minore, la vittima di qualsiasi abuso o violenza e la persona in condizioni di vulnerabilità o fragilità psico-fisica, sociale o civile in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la qualità di vita. Il medico segnala all’Autorità competente le condizioni di discriminazione, maltrattamento fisico o psichico, violenza o abuso sessuale. Il medico, in caso di opposizione del rappresentante legale a interventi ritenuti appropriati e proporzionati, ricorre all’Autorità competente. Il medico prescrive e attua misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali nei soli casi e per la durata connessi a documentate necessità cliniche, nel rispetto della dignità e della sicurezza della persona».

  17. Art. 22 C.D. Professioni Infermieristiche (2019): «Privazioni, violenze o maltrattamenti. Salvo gli obblighi di denuncia, l’Infermiere che rileva ed evidenzia privazioni, violenze o maltrattamenti sulla persona assistita, si attiva perché vi sia un rapido intervento a tutela dell’interessato».

  18. Si ricorda, a tal proposito, che un intervento delle Sezioni Unite Civili della Cassazione (sent. n. 8225 del 06/06/2002), ripreso anche dalla Cassazione penale (Sez. IV, sent. n. 36592 del 10/10/2005) ha definito le norme deontologiche quali «vere e proprie norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di categoria».

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