Sex offender solitari e di gruppo a confronto
Nel 2009, da Sarah Hauffe e Louise E. Porter effettuano una ricerca sui i reati sessuali commessi sia da singoli aggressori che da gruppi[1]. I casi presi in esame, dalle due ricercatrici, sono 120, la maggior parte dei quali selezionati tra i rapporti giudiziari. Riguardano tutti reati sessuali, anche se per una minoranza di essi la violenza sessuale non riguarda il reato principale. Quattro casi hanno causato la morte della vittima. Tutti i responsabili del campione sono stati giudicati colpevoli del reato a loro imputato. La ricerca a escluso tutti quei casi in cui non è stato possibile identificare i responsabili, o perché fuggiti alla cattura o perché prosciolti dalle accuse. Se questo aspetto è importante in termini di validità delle informazioni fornite dal campione analizzato, potrebbe fungere da ostacolo per l’eventuale presenza di differenze comportamentali tra gli aggressori posti sotto custodia e quelli sfuggiti alle mani della giustizia. Per ovviare a queste mancanze, i dati analizzati dalle ricercatrici si costruiscono su numerose informazioni raccolte quali, le testimonianze dei rei, delle vittime, di eventuali testimoni oculari e prove forensi definite attendibili dai procedimenti giudiziari eseguiti. Tuttavia, poiché lo studio prevede la comparazione di due campioni provenienti dalla medesima fonte/matrice, potremmo supporre che qualsiasi bias (distorsione/devianza) sia coerente in entrambi i campioni analizzati e di conseguenza, non interferisca con lo scopo o i risultati dello studio.
Dei 120 casi analizzati, 60 riguardano violenza di gruppo e 60 violenza perpetrata da un solo aggressore, di cui l’82,5% commessi nel Regno Unito; il 17% negli Stati Uniti e un solo caso nello Stato di Israele, in un periodo compreso tra il 1964 e il 2006. Rientrano nei 120 casi, ben 263 aggressori e 140 vittime. La dimensione del gruppo varia da due a quattordici membri, la percentuale più alta è composta da gruppi di due individui (38%); seguita da quattro membri (25%); tre membri (22%); cinque (10%); con soli tre casi (5%) di gruppi composti da sei, otto, quattordici aggressori.
Sono 102 i casi in cui è stata coinvolta solo una vittima, 4 aggressori solitari hanno aggredito due vittime contemporaneamente; 16 i gruppi che hanno aggredito due vittime contemporaneamente; 2 gruppi, invece, tre contemporaneamente. Tutti gli aggressori sono uomini, con l’unica eccezione di due casi in cui ogni gruppo ha coinvolto due donne durante l’aggressione (quattro totali nel campione).
Le vittime sono tutte donne, ad eccezione di due uomini. I due gruppi vengono confrontati tra loro in base a variabili dipendenti quali le caratteristiche del contesto in cui è avvenuta l’aggressione e le modalità comportamentali sia degli aggressori che delle vittime.
L’85% (102 casi) ha aggredito una vittima, il 13% (16 casi) due vittime, e lo 0,01% (due casi) tre vittime.
Vittime: l’età media delle vittime degli aggressori solitari è di 26 anni, mentre l’età media delle vittime dei gruppi scende a 18 anni.
Aggressore: l’età media degli aggressori in gruppo è di 21 anni rispetto all’età media degli aggressori solitari che sale a 29.
Un’altra differenza importante emersa dalla ricerca riguarda i legami sentimentali degli aggressori. Si è costatato che i solitari hanno maggiori probabilità di essere sposati o fidanzati con bambini rispetto agli aggressori che agiscono in gruppo.
Il modello circomplesso
Le ricerche recenti hanno iniziato a studiare il fenomeno della violenza sessuale servendosi di una visione socio-psicologica, concentrandosi sulle dinamiche interpersonali e sull’importanza delle modalità di comportamento degli attori che interagiscono. Alison e Stein (2001) esplorarono le modalità del comportamento di aggressori sessuali solitari, servendosi di un modello dicotomico grazie alle dichiarazioni delle loro vittime. È un modello di relazione interpersonale chiamato “Interpersonal circumplex di Leary”, cioè un modello intento a identificare lo stile relazionale di una persona o anche definito “modello quadrante” (circumplex model). Il modello sociale/interpersonale circomplesso, sviluppato da T. Leary nel 1957, di solito viene inserito come parte di modelli strutturali perché costruito sui tratti di personalità. “Nella teorizzazione della Benjamin (1993) ogni dimensione viene rappresentata come una diagonale di un cerchio lungo la quale si possono disporre il tratto corrispondente nella giusta distanza tra i due estremi che rappresentano gli opposti lungo la dimensione stessa. In questa ottica sia i tratti di personalità che le emozioni servono a regolare le relazioni sociali[2]”.
Esempi della sua applicazione sono stati rilevati negli studi intenti a monitorare le reazioni di membri familiari che necessitano di supporto terapeutico (Wiggins e Trobst, 1997), le relazioni tra genitore-figlio e marito-moglie (Schaefer, 1997), i fenomeni clinici, comprese le interazioni durante le terapie di gruppo come pure i comportamenti associati ai disturbi di personalità (Soldz, 1997), le relazioni reo-vittima nelle rapine di gruppo (Porter e Alison, 2006), gli abusi sessuali infantili (Bennel, Alison, Stein e Canter, 2001). Questo modello schematico presuppone che le persone interagiscano tra loro rispettando un continuum articolato su due dimensioni differenti: cooperazione (o affiliazione) verso ostilità e dominanza verso sottomissione.
I comportamenti situati agli estremi opposti non sono solo geometricamente divergenti, ma lo sono anche dal punto di vista concettuale. Per esempio, il comportamento sottomesso è situato dalla parte opposta al comportamento dominante.
Le potenzialità del modello sono espresse attraverso i vantaggi che può offrire, come quello di trarre valutazioni sul tipo di stile che il soggetto utilizza per relazionarsi agli altri, in questo caso, con la vittima.
Alison e Stein (2001) applicarono questa struttura circolare per studiare il comportamento degli aggressori sessuali solitari; successivamente applicarono il modello circomplesso ai casi di stupro di gruppo.
Le quattro categorie comportamentali:
- aggressore dominante/vittima sottomessa;
- aggressore sottomesso/vittima dominante;
- aggressore collaborativo/vittima collaborativa;
- aggressore ostile/vittima ostile.
Queste sono state create con l’intenzione di identificare il tipo di relazione tra l’aggressore e quest’ultima; non si intende, quindi, rappresentare categorie distinte, nette, escludendo l’influenza delle altre “dimensioni”. Per questo motivo, ogni comportamento è stato analizzato separatamente, piuttosto che cercare di misurare e distinguere i diversi livelli di dominanza, sottomissione, cooperazione e ostilità all’interno dei casi. Con riguardo alle variabili comportamentali, e considerando che alcuni casi coinvolgono più di un aggressore e più di una vittima, non si è scelto di codificare i comportamenti degli individui, ma dei singoli casi. Quindi, se un aggressore in un gruppo ha esibito un determinato comportamento (variabile), quella variabile è stata riportata come caratteristica per quel caso in oggetto.
Non essendo un modello puramente descrittivo permette, inoltre, di effettuare previsioni su reazioni future del comportamento, attraverso il principio di complementarietà (Kiesler, 1983).
“Centrale nel modello della complementarietà di Kiesler è il fatto che i ruoli connessi a una certa definizione della relazione, una volta che essa è stata concordata, sono limitati di numero e, soprattutto, sono tra loro inter-connessi in modo relativamente rigido. Ciò comporta quello che possiamo chiamare un primato della relazione sulla possibilità di scelta individuale. Una definizione in termini, ad esempio, di “status” o di “affiliazione”, comporta che i ruoli di dominanza o sottomissione, piuttosto che di amore o di odio, restino come attributi relativamente stabili dei due agonisti, anche se uno di loro, o ambedue, tentano di modificarli. Non solo, proprio per il primato della relazione, quando uno dei due agonisti definisce se stesso in certi termini, e con se stesso anche la relazione che sta avviando con l’altro, e si pone di conseguenza in un certo modo, l’altro è implicitamente costretto ad assumere il ruolo complementare”. (Di Giorgio G. Alberti, 2000, pag. 191)
Tramite una sorta di profezia che si auto-adempie, il soggetto che si convince di essere vittima dell’atteggiamento ostile dell’altro, con l’intento di difendersi, inconsapevolmente è in grado di mettere in moto nell’altro proprio l’atteggiamento ostile fonte delle sue aspettative e paure.
“[…] l’induzione prevede tanto una transazione negoziale quanto una pressione unilaterale dell’indicente sull’altro. Essa sembra cioè fondarsi su due meccanismi posti agli estremi di un continuum: da un lato un vero negoziato tra partner uguali e in condizione, ognuno, di scegliere liberamente secondo le proprie inclinazioni e convenienze, dall’altro invece l’unilaterale pressione di uno sull’altro, volta ad affermare il bisogno del primo a totale discapito del bisogno dell’altro. Poiché sono ammesse condizioni relazionali intermedie tra questi due estremi, la facoltà dell’altro di non uniformarsi alla pressione induttiva e di esercitare quindi la propria autonomia è in genere preservata, ma si esplica con uno sforzo variabile, a seconda dell’intensità della pressione che subisce dall’indicente, e dal vigore con cui cerca di affermare la propria posizione. In questo contesto si avvia quello che Kiesler (1979) chiama un negoziato, avente lo scopo di permettere ai due agonisti di trovare un accordo sulla definizione della relazione e sull’assegnazione dei ruoli che i due agonisti vi svolgeranno”.(Di Giorgio G. Alberti, 2000 pag. 192)
I modelli relazionali aggressore/vittima
Il principio di complementarietà suggerisce che il comportamento ostile dell’aggressore rischia di elicitare una reazione altrettanto ostile (e viceversa), come il comportamento diretto alla cooperazione da parte dell’aggressore, è probabile che stimoli una reazione conforme da parte della vittima.
Il modello interpersonale ostile è caratterizzato da interazioni aggressive e violente che vanno ben oltre a quelle che sarebbero necessarie a portare a termine l’abuso. Alison e Stein (2001) suggeriscono che il modello in oggetto sia tipico del comportamento dell’aggressore che si esprime attraverso una violenza sia fisica che verbale, denudando la vittima e facendo uso di armi.
Precedenti studi che hanno messo a confronto la violenza sessuale di un individuo con quella di gruppo, hanno suggerito che la violenza fisica, sia in assenza che in presenza di un arma, è più comune tra i gruppi e il coltello è quella preferita durante le aggressioni (Wright e West, 1981). Osservando i comportamenti dei gruppi in diversi contesti, la violenza e l’aggressività possono essere definite espressioni comuni nelle interazioni tra i membri e il mondo esterno, considerando, inoltre, che le norme del gruppo tendono a promuovere l’aggressività (Smith e Mackie, 2007).
Il modello della cooperazione, invece, anche chiamato “che guadagna fiducia-accondiscendenza” (per cui un comportamento amichevole è in grado di elicitare un comportamento altrettanto amichevole, Tracey, 1994), coinvolge il reo nella ricerca di una partecipazione attiva da parte della vittima. Alison e Stein (2001) hanno dimostrato che spesso questo modello comporta un comportamento improntato alla pseudo-relazione, come l’atto di baciare la vittima, rassicurarla e chiederle scusa per la violenza che è stata costretta a subire. Studi comparativi precedenti hanno dimostrato che le violenze di gruppo e quelle commesse da un solo individuo possono differire in relazione al tema della cooperazione. Gli aggressori di gruppo tendono a mostrare con maggior frequenza comportamenti “affettuosi” come baciare, accarezzare la vittima, svestirla delicatamente (Holmstrom e Burgess, 1980, Amir, 1971); strategie per indurre quest’ultima a “collaborare”, facilitando il completamento dello stupro. Ed è proprio il comportamento di “compartecipazione” della vittima allo stupro che consente all’aggressore di giustificare l’abuso compiuto, discolpando se stesso.
Per quanto riguarda l’asse dominanza/sottomissione, il principio in esame suggerisce un’opposta sequenza di azione/reazione, per cui il comportamento dominante dell’aggressore potrebbe con più probabilità ottenere sottomissione nella vittima. Nel modello circomplesso, il comportamento sottomesso dell’aggressore, opposto a quello dominante, è dato dal controllo che viene concesso alla vittima (Porter e Alison, 2004). Alison e Stein (2001) affermano, inoltre, che il comportamento sottomesso dell’aggressore non rappresenta una figura comune.
Seguendo il principio di complementarietà, la ricerca ha delineato una relazione tra la resistenza da parte della vittima (che indica una posizione dominante) con la sottomissione dell’aggressore (Porter e Alison, 2004). Un comportamento resistente all’abuso da parte della vittima, sia verbale che fisico, viene riscontrato più comunemente nelle aggressioni di uomini soli rispetto a chi agisce in gruppo (Amir, 1971, Wright e West, 1981).
Alcuni aggressori possono far credere alle loro vittime di possedere il controllo della situazione, assumendo una posizione di pseudo-sottomessi.
Le strategie dell’aggressore pseudo-sottomesso mirano a manipolare la vittima, che ignara di essere ingannata, a volte può trasformarsi in pedina nelle mani del suo aguzzino che sfrutta la sua vulnerabilità per perpetrare l’abuso.
Approccio alla vittima
Per quanto riguarda le modalità di approccio alla vittima, si è rilevato che gli aggressori solitari sono più propensi ad utilizzare il modello comportamentale dell’aggressore sottomesso/vittima dominante. La manipolazione nei confronti di quest’ultima ha lo scopo di farle credere di avere, almeno in un primo momento, una qualche forma di controllo sulla situazione in atto, l’inganno fa parte del “gioco”. L’aggressore solitario più spesso esibisce caratteristiche tipiche di sottomissione, oppure mette in atto una relazione del tipo aggressore pseudo-sottomesso/vittima dominante, sia nel luogo dell’approccio (per esempio ingannandola e guadagnando la sua fiducia), sia nei luoghi dell’aggressione, producendo più resistenza o maggiori tentativi da parte di quest’ultima di affermare il dominio al fine di impedire o far cessare la violenza.
Gli stupri di gruppo sono contraddistinti, invece, da un rapporto con la vittima di tipo: aggressore dominante/vittima sottomessa, caratteristiche tipiche della vittima che viene costretta a bere o che ha assunto alcolici volontariamente prima dell’aggressione, aumentando le probabilità di adottare un atteggiamento remissivo e incapace di difendersi. Questo tipo di rapporto tra vittima e aggressore lo si può riscontrare anche nei casi di rapimento, quando la vittima viene prelevata dalla sua abitazione o da altro luogo per essere condotta in un altra zona isolata e lasciata li anche per un lungo periodo di tempo. Tuttavia, per l’approccio iniziale gli aggressori in gruppo mostrano un comportamento significativamente più dominante e cooperativo rispetto agli aggressori solitari, particolarmente riguardo ai rapimenti della vittima e allo spostamento della stessa in un luogo differente dal luogo dell’approccio. Un approccio “fatto di convenevoli” diretto cioè alla cooperazione, è stato riscontrato sia nei casi di violenza di un singolo individuo (70%), sia del gruppo (60%).
Ricapitolando i comportamenti degli aggressori in gruppo mostrano entrambi i modelli di comportamento: aggressore collaborativo/vittima collaborativa, (atteggiamenti cortesi, fatti di convenevoli), e aggressore dominante/vittima sottomessa. Inoltre, con maggior frequenza, mostrano entrambi comportamenti ostili rispetto agli aggressori solitari.
Tipologia di aggressione
L’aggressore solitario di solito aggredisce la vittima con un solo atto violento, anche se non così frequente la violenza fisica è riscontrabile nel 63% dei casi, a differenza dei membri di un gruppo nel quale ognuno dei partecipanti può abusare sessualmente della vittima più di una volta, servendosi anche di armi e corde. La violenza sessuale ripetuta può essere associata al modello comportamentale aggressore cooperativo/vittima cooperativa, facilitato dalla maggiore propensione da parte dei gruppi a rapire la vittima. Gli aggressori, potendo trascorrere un tempo prolungato con la vittima in un luogo chiuso, sono agevolati nel perpetrare un maggior numero di violenze sessuali, anche a causa del maggior numero dei partecipanti. I ricercatori possono affermare che all’interno dei gruppi, non vi sono stati casi di comportamenti che potevano essere ricollegati al tema aggressore sottomesso/vittima dominante durante l’aggressione. Sia l’approccio con la vittima che l’aggressione si sono svolte all’aperto, con il 58% e il 53% rispettivamente.
Wright e West (1981) riferiscono che con maggiori probabilità sono gli aggressori solitari a essersi macchiati di una precedente condanna per reato sessuale rispetto agli aggressori che agiscono in gruppo. I detenuti che in passato avevano già ricevuto condanne per crimini sessuali, potevano aver fatto tesoro degli errori commessi imparando a essere più scaltri e a elaborare con maggior cura i dettagli del reato in fase di preparazione, portando con sé strumenti come corde, manette, e ottenendo, così, un maggior controllo sulla vittima. Gli aggressori solitari, inoltre, hanno mostrato una maggiore propensione a prediligere l’interno delle abitazioni, sia durante l’approccio iniziale (58%) sia per quanto riguarda la vera e propria aggressione sessuale (71%). I gruppi, invece, tendono maggiormente a differenziare il luogo dell’aggressione sessuale da quello dell’approccio, conducendo la vittima nel luogo dove verrà consumata la violenza, spesso servendosi anche di un’auto, comportamento che gli studiosi associano a una tattica che mira a guadagnare la cooperazione e il rispetto della vittima. Lo spostamento della vittima si è verificato nel 66% dei casi.
Le frequenze generali mostrano che le forme di violenza sono comuni a entrambi i campioni, anche se gli aggressori che agiscono in gruppo mostrano un livello di violenza maggiore. È stato riscontrato che da parte di quest’ultimi vi è un comportamento molto ostile, anche se le vittime raramente hanno ricambiato tale comportamento. Una reazione ostile delle vittime all’altrettanta ostilità degli aggressori era prevista dal principio di complementarietà, anche se in questo studio non è stata confermata.
Reazione della vittima
La vittima dell’aggressore solitario ha resistito all’aggressione nell’83% dei casi, in particolare ha tentato una resistenza verbale nel 67% dei casi, e fisica nel 60%. Mentre il 57% delle vittime dell’aggressione di gruppo ha mostrato una qualche forma di resistenza all’aggressione.
La maggior resistenza che si riscontra nel comportamento delle vittime di violenza di un aggressore solitario, può essere facilmente spiegata in base al numero dei partecipanti all’abuso. Ci troviamo di fronte ad un approccio di un solo aggressore con una sola vittima, quest’ultima sa che se si ribella, se cerca di ostacolare l’abuso, potrebbe anche avere la meglio. Nell’aggressione di gruppo, invece, la vittima si trova a dover fronteggiare più di un aggressore, ed è proprio in queste circostanze che è stata riscontrata una minore propensione a reagire da parte della stessa. Questa sorta di comportamento “cooperativo” scaturisce da un procedimento logico-razionale, per cui la vittima prende coscienza dell’inutilità di una reazione ostile, di resistenza, perché non solo una donna contro due o più aggressori ha scarse, se non nulle probabilità di sopraffare la loro forza fisica, ma un eventuale tentativo di fuga, di ribellione potrebbe risultare pericoloso per la sua stessa incolumità, rischiando di scatenare una maggior escalation di violenza.
Uso di alcolici e droghe
L’uso di alcolici e di sostanze stupefacenti tra gli aggressori sessuali è un atteggiamento associato a uno scarso controllo degli impulsi. Gli aggressori che agiscono in gruppo piuttosto che quelli che agiscono da soli, hanno maggiore probabilità di avere alle spalle storie di abuso di alcool o sostanze stupefacenti.
Atti sessuali
I ricercatori hanno riscontrato poche differenze tra gli atti sessuali imposti alle vittime dai due campioni, come per esempio una maggiore incidenza di rapporti sessuali completi e sesso orale era presente negli abusi di gruppo.
Proprio in riferimento a quest’ultimi, nel 92% dei casi la vittima è stata costretta a subire un rapporto sessuale completo, con numerosi atti di violenza nel 78% dei casi. Nel 70% dei casi gli abiti sono stati rimossi dagli aggressori, trattenendola nel 57% dei casi, e usandole violenza per trattenerla nel 58% dei casi.
Gli aggressori solitari hanno costretto la vittima ad avere un rapporto sessuale completo nel 73% dei casi.
Comportamento successivo alla violenza
Subito dopo la violenza sessuale, gli aggressori che mostrano un atteggiamento dominante in gruppo tendono ad abbandonare la scena del crimine, mentre gli aggressori solitari mostrano con maggior frequenza un comportamento più remissivo come chiedere scusa alla vittima e/o addormentarsi sul posto.
Motivazioni socio-psicologiche all’abuso
Nelle aggressioni sessuali commesse da singoli individui, solo una minoranza dei responsabili non viene colta da disfunzioni sessuali durante la violenza, gli altri possono soffrire di: impotenza, ritardi dell’eiaculazione, eiaculazione precoce e altri disturbi. Eppure, alcuni di questi soggetti durante i rapporti sessuali consensuali, non mostrano problematiche simili. Non raro che un aggressore rivolga parole dolci, affettuose e chieda perdono, dopo la violenza alla vittima.
Wright e West (1981) hanno suggerito che le aggressioni di uomini solitari differiscono dalle aggressioni del gruppo, in quanto, riflettono la patologia individuale di chi compie la violenza; è l’elemento sessuale a spingere l’individuo. Al contrario, lo stupro di gruppo è guidato da processi più complessi, non solo dall’elemento sessuale. L’arroganza del gruppo annebbia o rimuove i sensi di colpa; è l’intero gruppo a far emergere la propria natura perversa, non il singolo individuo. Ogni individuo che partecipa è integrato sia dal punto di vista sociale che sessuale.
Come hanno sostenuto Wright e West (1981), lo stupro di gruppo che nasce dalle dinamiche delle bande giovanili, afferma la coesione e le regole del gruppo stesso e svolge un ruolo fondamentale nella violenza esercitata. Holmstrom e Burgess (1980), suggeriscono che importante in queste dinamiche è il sentimento di cameratismo maschile che apporta forza al gruppo, spingendo ogni singolo membro a interagire non solo con la vittima ma anche con gli altri “compagni” come fosse un’identità unica. Bijleveld et al (2007) studiando il fenomeno, hanno suggerito che la rivalità tra membri sprona a lottare per dare prova delle proprie capacità di “prestazione” come elemento di intrattenimento, di svago a cui spesso, partecipano tutti. L’ostilità dell’aggressore all’interno di un gruppo, quindi, enfatizza un senso d’identità sociale facilitando la de-individuazione e alimentando la perdita del senso d’identità personale e di responsabilità, conducendo facilmente a sentimenti di anonimato (Goldstein, 2002; Krahe, 2001). Le dinamiche di gruppo possono svolgere un ruolo più rilevante di qualsiasi considerazione che i singoli hanno della vittima. Infatti, mentre l’aggressione sessuale per il solitario può rappresentare una soddisfazione immediata dei propri impulsi sessuali o il bisogno di trasformare in azioni le proprie fantasie di intrattenere una relazione “romantica” con una donna, l’abuso sessuale di gruppo ha più il compito di accrescere la reputazione dei singoli partecipanti all’interno del gruppo. È attraverso lo stupro ripetuto che il partecipante esprimere il proprio status o potere all’interno del contesto gruppale (Bijleveld et al, 2007). In questo tipo di aggressioni i membri sono più propensi a fare uso di alcool sia prima che durante la violenza, ed è proprio questa abitudine secondo i ricercatori a facilitare l’espressione della stessa (Goldstein, 2002, Smith e Mackie, 2007).
Tabelle
Caratteristiche delle diverse modalità di approccio
Aggressore dominante/Vittima sottomessa
Sorpresa |
Attacco improvviso alle spalle o da dietro un cespuglio |
Blitz |
Uso immediato della violenza |
Alcool |
Assume alcool prima o durante l’aggressione |
Rapimento |
La vittima viene condotta in altro luogo e segregata per un periodo prolungato |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante
Approccio |
L’aggressore usa un approccio rassicurante, si mostra amichevole, usa frasi convenzionali (es: che ore sono?) |
Inganno |
Inganna intenzionalmente la vittima (es: sono un agente di polizia) |
Luogo |
Approccia intenzionalmente la vittima in un luogo chiuso |
Abitazione |
Riesce a farsi invitare nell’abitazione della vittima |
Alcool |
Fa uso di alcool prima o durante l’aggressione |
Draghe |
Fa uso di sostanze stupefacenti prima o durante l’aggressione |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa
Mezzo |
L’aggressore, quando approccia la vittima, guida o è seduto sul lato passeggero |
Luogo dell’aggressione
Aggressore dominante/Vittima sottomessa
Luogo |
L’aggressione avviene in un luogo isolato (es: vicolo, cespuglio, terreno abbandonato, magazzino) |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante
Luogo |
Aggredisce la vittima in un luogo chiuso |
Abitazione |
Aggredisce nell’abitazione della vittima |
Stanza |
Aggredisce nella stanza da letto della vittima |
Abitazione |
Aggredisce nella sua abitazione o in quella di uno degli aggressori |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa
Luogo |
Conduce la vittima in un luogo diverso da quello in cui è avvenuto l’approccio |
Mezzo |
Usa un veicolo per spostare la vittima da un luogo a un altro |
I comportamenti dell’aggressore
Aggressore dominante/Vittima sottomessa
Mezzo |
L’aggressore lega entrambe le mani o le gambe della vittima o/e usa una benda, un bavaglio per avere maggior controllo su di lei |
Altre attività criminali |
Infligge lesioni fisiche e/o ruba (es: denaro, gioielli, abbigliamento) |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa
Minacce |
Minaccia la vittima allo scopo di ottenere obbedienza |
Stupro |
Stupra la vittima più volte |
Bacia |
Bacia o prova a baciare la vittima |
Aggressore ostile/Vittima ostile
Violenza |
L’aggressore usa una violenza fisica superiore al necessario per controllare la vittima |
Violenza |
Usa un singolo atto di violenza |
Violenza |
Usa molteplici atti di violenza |
Violenza |
Usa violenza fisica allo scopo di intimidire la vittima |
Violenza |
Immobilizza con le mani la vittima, allo scopo di terla sotto |
Violenza |
Toglie gli abiti della vittima con le proprie mani o servendosi di un’arma |
Violenza |
Colpisce la vittima con calci |
Violenza |
Colpisce la vittima con la mano chiusa o aperta |
Violenza |
Spintona la vittima |
Violenza |
Procura tagli e/o escoriazioni alla vittima |
Violenza |
Procura ustioni alla vittima |
Violenza |
Trascina la vittima |
Violenza |
Soffoca la vittima o tenta di soffocarla |
Violenza |
Strangola la vittima o tenta di strangolarla |
Violenza |
Accoltella o spara alla vittima |
Violenza |
Le mani dell’aggressore si serrano intorno alla gola della vittima |
Armi |
Usa un’arma durante l’aggressione |
Armi |
Usa più di un’arma durante l’aggressione |
Armi |
Coltello, lama, forbici |
Armi |
Mazza da baseball, trave di legno, mattoni |
Armi |
Usa armi trovate sul luogo dell’aggressione |
Comportamento della vittima
Vittima sottomessa
Assoggettamento |
La vittima perde coscienza durante l’aggressione |
Vittima dominante
Resistenza |
La vittima usa diverse modalità di resistenza per impedire l’aggressione |
Resistenza |
Supplica/urla |
Resitenza |
Minaccia l’aggressore di chiamare la polizia |
Resistenza |
Lotta con l’aggressore |
Resistenza |
Allontana da sé l’aggressore |
Vittima collaborativa
Assoggettamento |
La vittima si toglie gli abiti sotto la minaccia dell’aggressore |
Vittima ostile
Resistenza |
La vittima lotta con l’aggressore nel tentativo di fermarlo |
Resistenza |
La vittima prende a calci l’aggressore |
Terminata l’aggressione
Aggressore dominante/Vittima sottomessa
Scena del crimine |
L’aggressore abbandona il luogo dell’aggressione velocemente |
Scena del crimine |
L’aggressore lascia il luogo dell’aggressione con tranquillità |
Scena del crimine |
La vittima si addormenta sul luogo dell’aggressione in presenza dell’aggressore o una volta lasciata sola |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante
Scena del crimine |
L’aggressore si addormenta sul luogo dell’eggressione |
Scena del crimine |
La vittima fugge dall’aggressore |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa
Modalità |
L’aggressore lascia andare la vittima dopo l’aggressione |
Modalità |
L’aggressore riporta la vittima a casa o nel luogo in cui è avvenuto l’approccio |
Modalità |
L’aggressore piange e/o chiede scusa dopo l’aggressione |
Aggressore ostile/Vittima ostile
Modalità |
L’aggresore uccide la vittima dopo la violenza sessuale |
Tabella 1. Confronto dell’ambiente tra gli aggressori solitari e quelli di gruppo
Variabile |
Aggressori solitari |
Aggressori in gruppo |
Occupati |
9 |
7 |
Sposati/con partner |
24 |
7 |
Con bambini |
14 |
5 |
Con precedenti condanne: |
28 |
20 |
1) Aggressione sessuale |
15 |
8 |
2) Furto con scasso |
9 |
8 |
3) Rapina |
6 |
10 |
4) Violenza |
9 |
10 |
Reclusione |
9 |
8 |
Abuso di alcool e droghe |
8 |
17 |
Basso Q.I. |
0 |
4 |
Difficoltà d’apprendimento |
1 |
6 |
Problemi familiari |
4 |
1 |
Tabella 2. Confronto tra gli aggressori solitari e di gruppo in base al modello comportamentale sia dell’aggressore che della vittima
Variabile |
Aggressione di un solo individuo |
Aggressione di gruppo |
Aggressore dominante/Vittima sottomessa |
||
Sorpresa |
25 |
22 |
Blitz |
14 |
15 |
Alcool |
6 |
19 |
Rapimento |
7 |
18 |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante |
||
Rassicurante |
42 |
36 |
Inganno |
13 |
3 |
Luogo chiuso |
35 |
23 |
Abitazione della vittima |
25 |
10 |
Uso di alcool |
13 |
23 |
Uso di droghe |
4 |
12 |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa |
||
Uso di veicoli |
6 |
15 |
Tabella 3. Confronto dei luoghi dell’aggressione tra gli aggressori solitari e di gruppo in base al modello comportamentale sia dell’aggressore che della vittima
Variabile |
Aggressione di un solo individuo |
Aggressione di ungruppo |
Aggressore dominante/Vittima sottomessa |
||
Luogo appartato |
16 |
22 |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante |
||
Ambiente interno |
43 |
27 |
Casa della vittima |
27 |
8 |
Stanza della vittima |
23 |
6 |
Casa dell’aggressore |
13 |
15 |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa |
||
Sposta la vittima nel luogo dello stupro |
18 |
40 |
Usa un veicolo per spostare la vittima |
7 |
20 |
Tabella 4. Comparazione tra il comportamento dell’aggressore solitario e quello di gruppo, durante l’aggressione, in base al modello comportamentale sia dell’aggressore che della vittima
Variabile |
Aggressione di un solo individuo |
Aggressione di un gruppo |
Aggressore dominante/Vittima sottomessa |
||
Lega la vittima |
5 |
11 |
Altre attività criminali non sessuali |
11 |
14 |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa |
||
Minacce |
26 |
22 |
Stupro ripetuto da parte dello stesso agressore |
7 |
19 |
Bacia la vittima |
8 |
7 |
Aggressore ostile/Vittima ostile |
||
Violenza fisica |
38 |
46 |
Singolo atto di violenza |
13 |
4 |
Numerosi atti di violenza |
36 |
47 |
Violenza per intimidire |
19 |
35 |
Tenere giù la vittima |
13 |
34 |
Togliere gli abiti |
40 |
42 |
Prendere a calci |
10 |
13 |
Picchiare |
12 |
15 |
Spintonare |
19 |
30 |
Tagliare |
7 |
5 |
Ustionare |
0 |
2 |
Trascinare |
8 |
19 |
Soffocare |
2 |
2 |
Strangolare |
7 |
2 |
Accoltellare/sparare |
0 |
3 |
Strozzare |
20 |
13 |
Arma |
22 |
24 |
Armi |
6 |
15 |
Armi taglienti |
15 |
21 |
Pistola |
3 |
7 |
Armi non taglienti |
9 |
7 |
Armi per provocare danni fisici |
7 |
11 |
Armi improvvisate |
8 |
9 |
Tabella 5. Confronto tra le vittime degli aggressori solitari e quelle di gruppo in base al modello comportamentale dell’aggressore e della vittima
Variabile |
Aggressione di un singolo individuo |
Aggressione di un gruppo |
Vittima sottomessa |
||
Perdita di coscienza |
4 |
3 |
Vittima dominante |
||
Oppone resistenza |
50 |
34 |
Resistenza verbale |
40 |
29 |
Chiama o minaccia di chiamare la polizia |
7 |
6 |
Urla |
15 |
14 |
Lotta |
33 |
17 |
Spintona |
8 |
3 |
Vittima collaborativa |
||
Si toglie gli abiti |
9 |
1 |
Vittima ostile |
||
Combatte/lotta |
36 |
19 |
Prende a calci l’aggressore |
2 |
1 |
Tabella 6. Confronto dei risultati tra gli aggressioni commesse da un singolo individuo e da un gruppo in base al modello comportamentale dell’aggressore e della vittima
Variabile |
Aggressione di un singolo individuo |
Aggressione di un gruppo |
Aggressore dominante/Vittima sottomessa |
||
L’aggressore fugge via |
11 |
20 |
L’aggressore si allontana con calma |
14 |
7 |
La vittima si addormenta |
4 |
0 |
Aggressore sottomesso/Vittima dominante |
||
L’aggressore si addormenta |
7 |
1 |
La vittima fugge |
13 |
14 |
Aggressore collaborativo/Vittima collaborativa |
||
L’aggressore lascia andare la vittima |
12 |
10 |
La vittima ritorna a casa o in luogo sicuro |
3 |
5 |
L’aggressore chiede scusa allavittima |
8 |
1 |
Aggressore ostile/Vittima ostile |
||
L’aggressore uccide la vittima |
1 |
3 |
Tabella 7. Confronto tra la vittima aggredita da un singolo individuo e quella aggredita da un gruppo
Variabile |
Aggressioni di un singolo individuo |
Aggressione di un gruppo |
Problematiche psicologiche |
20 |
11 |
La vittima si dimostra incapace a ritornare sulla scena del crimine |
11 |
0 |
La vittima è incapace a svolgere un’occupazione |
6 |
0 |
Bibliografia
Agnew Robert S., Neutralizing the Impact of Crime, in «Criminal Justice and Behavior», n. 12 (1985), pp. 221-39.
Di Giorgio G. Alberti, Le psicoterapie: dall’eclettismo all’integrazione, Angeli, Milano 2000
Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti con interventi a breve, medio e lungo termine, Elsevier Masson, 2004.
Hauffe S. e Louise E. Porter., An interpersonal comparison of lone and group rape offences” Psychology, Crime & Law, Australia, 2009.
Smelser Neil J., Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna 1991.
Zoja L., Centauri, mito e violenza maschile, Laterza, Bari 2010.
[1] Titolo della ricerca: “An interpersonal comparison of lone and group rape offences” (Confronto interpersonale tra i reati sessuali commessi da un singolo individuo e quelli commessi da un gruppo)
[2] Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti con interventi a breve, medio e lungo termine, Elsevier Masson, 2004, p. 82