Sex Offender: l’aggressività ed il problema dell’empatia
I dati statistici riguardo il sex offending nel nostro paese (numero e tipologia dei reati rilevati, caratteristiche della popolazione carceraria, numero delle vittime), sono stati nel tempo variamente raccolti, elaborati e analizzati. È doveroso, tuttavia, tener conto del fatto che la maggior parte dei reati sessuali non venga rilevata: sono, infatti, ancor oggi innumerevoli i casi di violenza che non vengono denunciati (come risulta dal rapporto I.S.T.A.T. 2004). Un primo quadro statistico veramente accurato riguardo i sex offender in carcere è stato fornito da un’approfondita indagine effettuata dall’Università di Siena. Tale studio è stato condotto sull’intera popolazione dei sex offenders condannati (detenuti, internati ed affidati ai CSSA), censiti sulla base di una rilevazione effettuata nel 1998. Al tempo si trattava di circa 1400 sex offenders detenuti nelle carceri, con un numero prevalente in Lombardia, Sicilia e Toscana ed un numero minore nelle Marche e in Liguria. Le donne rappresentavano solo il 2% dei detenuti. Per quanto concerne i reati più frequenti, per quanto riguarda le aggressioni in danno di minori, sono la violenza carnale e gli atti di libidine violenta. L’età media del campione era piuttosto alta, con il 70% situato tra i 35 e i 59 anni. La ricerca condotta sugli autori di violenza carnale ed atti di libidine violenta giudicati dal Tribunale Penale di Roma nel ventennio precedente aveva mostrato, invece, una presenza della fascia di età compresa tra i 18 ed i 24 anni (41,9%) decisamente maggiore.
Le stime attuali parlano di circa 150 milioni di abusati, solo bambini, nel 2006, e di 100 mila pedofili. Un decimo di loro commette reati in modo continuativo. In generale, per gli altri reati contro la persona stiamo assistendo a una tendenza verso un lieve calo, per i crimini sessuali è stato osservato un aumento del 30%. Solo nel 2006, ad esempio, l’aumento della pedopornografia online è ben segnalato dalla crescita (del 300%) dei siti con contenuti di carattere pedofilo. Il dato che vogliamo oggi sottolineare è che la maggior parte (85,6%) dei sex offender non ha avuto nessun contatto con specialisti della salute mentale prima della pena. Circa un settimo dei sex offenders ha poi beneficiato di misure di sicurezza quali la libertà vigilata (64,3%), misura, questa, non sempre adeguata specialmente in assenza di altri trattamenti.
La ricerca
Dagli studi di carattere psicologico sappiamo che, nello sviluppo delle manifestazioni aggressive del sex offender, la rabbia è presente come condizione necessaria, ma non sufficiente a spiegarli. Lo stesso vale per la cecità verso l’elaborazione cognitivo-affettiva. Questa è spesso assente e può impedire al sex offender di collegare adeguatamente le sue risposte emotive agli stimoli esterni e interpersonali. Spesso, allora, l’atto aggressivo rappresenta la scarica di sensazioni di rabbia non comprese che, associate ad un deficit relativo alla comunicazione e all’identificazione delle emozioni (Alessitimia), caratterizzano la vita interiore dell’offender.
Prendendo spunto da queste premesse teoriche, la citata ricerca (Ambrosio, Toro, Cantelmi, Minopoli, 2008) ha avuto lo scopo di esplorare gli aspetti qualitativi e quantitativi della rabbia nei sex offenders, in modo da verificare se tale dimensione fosse effettivamente legata a una mancanza di elaborazione che poteva aver condotto a agiti violenti e come la permanenza nel contesto carcerario avesse modificato il mondo emotivo e cognitivo del detenuto. Per sottoporre ad analisi statistica le ipotesi di ricerca, abbiamo reclutato tre campioni di 33 soggetti ognuno: un primo gruppo composto da detenuti che hanno commesso reati a sfondo sessuale (M: 43,18; DS: 13,85); un secondo gruppo composto da detenuti che hanno commesso reati non a sfondo sessuale (M: 40; DS: 13,59); un terzo gruppo composto da persone incensurate (M: 29,51; DS: 7,16). Ad ogni soggetto è stato somministrato, previo consenso informato, lo State-Trait Anger Expression Inventory-2 (Spielberger, 2004) al fine di indagare l’esperienza, l’espressione ed il controllo della rabbia e la Toronto Alexthymia Scale (Taylor et al., 1992) per valutare la presenza di Alessitimia.
Dall’analisi dei dati è emerso un primo dato oggettivo, e statisticamente significativo: per quanto riguarda le capacità generali di empatia, i sex offender si situano al di sotto della popolazione non carceraria, ma al di sopra (hanno maggiore empatia) rispetto ai detenuti comuni. L’elemento da favorire in terapia, dunque, non è tanto l’accrescimento delle capacità empatiche generali, ma di quelle vittima-specifiche, avendo presente, a monte, un’ipotesi forte ed esplicativa riguardo al senso di tale dato.
L’approccio terapeutico Cognitivo Interpersonale
Nel trattamento del sex offender, il modello teorico suggerisce al terapeuta di aiutare il paziente a ricostruire gli aspetti più problematici della sua esperienza, in modo da giungere a leggerla con “occhi diversi”. Questo può accadere se si riesce ad accompagnare progressivamente il paziente nel difficile compito di mettere a fuoco aspetti inediti della propria esperienza vissuta, solitamente giacenti al di fuori dalla consapevolezza, per assimilarli e integrarli nell’immagine cosciente di sé. Per quanto riguarda il sex offender, il compito fondamentale del terapeuta sarà favorire il riordinamento della dinamica interiore che lo può aver condotto a esprimere bisogni e impulsi attraverso una condotta così violentemente lesiva nei confronti di un minore.
In teoria, potrebbe rivelarsi qui opportuno applicare il metodo dell’auto-osservazione all’evento aggressivo di cui si è reso autore il paziente, ma, con i sex offender, l’obiettivo è di fatto difficilmente raggiungibile, poiché sembrano in ciò impediti da un brusco cedimento delle capacità meta cognitive, sia per quanto riguarda la ricostruzione in dettaglio delle proprie memorie recenti, sia, soprattutto, per quanto riguarda le memorie remote.
In generale, attraverso l’utilizzo di tecniche di imagery è possibile condurre gradualmente il paziente ad acquisire consapevolezza della motivazione interiore antecedente all’azione e delle conseguenze su sé e sull’ambiente esterno prodotte dai propri comportamenti. Ciò può favorire l’integrazione di aspetti dell’esperienza immediata rimasti fino a quel momento esclusi dal campo della coscienza. La ripetizione di tale procedura consente, nel percorso di psicoterapia, di imparare ad identificare e ad integrare tutto il complesso e variegato insieme di emozioni silenti e inedite che, pur agendo a livello tacito e pre-verbale, non raggiungono la consapevolezza (livello verbale cosciente).
Tutto ciò risulta, come anticipato, estremamente difficile, se non francamente impossibile, da applicare nei pazienti sex offenders, che spesso presentano gravi lesioni delle capacità meta cognitive che impediscono uno svolgimento lineare della psicoterapia. Ma perché è così difficile la ricostruzione dell’esperienza immediata? Cosa impedisce ai sex offender di contattare pienamente i propri agiti, di cambiare e di esprimere, alla fine, empatia verso la vittima?
Ci si riferisce all’intera gamma di pensieri irrazionali e di distorsioni cognitive riscontrate in tali pazienti e alla scarsa capacità di identificare e riconoscere i propri stati emotivi. Tutti gli eventi problematici del presente e del passato dovrebbero venire analizzati e ricostruiti attraverso il metodo dell’auto-osservazione, ma, ciò presuppone un livello minimo di capacità di contatto con se stessi che, lo anticipiamo, è nella nostra ipotesi, in gran parte riconducibile all’elevato livello di vergogna che caratterizza non solo e non tanto l’aggressione, quanto la percezione di se stesso e del proprio passato.
Il problema dell’empatia nel sex offender
I sex offender sembrano incapaci di comprendere l’impatto delle proprie azioni violente e tendono a negare il danno inflitto alle loro vittime, mostrando scarso senso di colpa verso i propri agiti aggressivi. Distorsione cognitiva e deficit affettivi sono parte del processo che guida l’offender a minimizzare l’impatto sulla vittima. Dobbiamo considerare, inoltre, che durante l’aggressione la loro eccitazione sessuale non è inibita dalla sofferenza mostrata dalla vittima. La sofferenza della vittima spesso è mal interpretata e può anche contribuire all’eccitazione sessuale (come nel caso degli stupratori).
Da un punto di vista empirico tali evidenze suggeriscono che ci sia una mancanza di empatia nei sex offender: di conseguenza, più del 90% dei programmi per offender hanno una componente finalizzata all’aumento delle capacità empatiche e rappresentata una fondamentale parte del processo di trattamento (Knopp, Stevenson, 1989). La pratica corrente è focalizzata nel modificare le abilità di empatia e si basa sul presupposto che esista una relazione tra l’aggressività e i bassi livelli di empatia. C’è, però, solo una scarsa dimostrazione del fatto che i sex offenders abbiano una mancanza di empatia generalizzata e deve essere ancora chiarito qual è il significato di una mancanza specifica di quest’ultima nei riguardi, esclusivamente, delle loro stesse vittime: i molestatori di bambini non sembrano differire dai soggetti normali nei livelli di empatia verso i bambini in generale e, neanche, nei riguardi di bambini vittime di molestie sessuali, purché non si tratti delle loro vittime (Teuma 2003).
La mancanza di “Empatia verso le Vittime” può essere vista come l’incapacità di considerare la paura e il dolore della persona aggredita e gli effetti di questo dolore sulla vita della vittima. Lo scopo di un “allenamento” all’empatia potrebbe essere il raggiungimento di una profonda comprensione di due livelli, intellettuale ed emozionale, della situazione della vittima”. L’obiettivo terapeutico principale è quello di sviluppare empatia verso le vittime e consapevolezza dei loro stati emotivi. Nel setting individuale con i sex offender si verificano seri ostacoli nel raggiungimento di questo obiettivo. Spesso, anche quando il paziente si trova a dover parlare delle aggressioni che ha perpetrato la narrazione diventa estremamente povera e confusa. Quando, poi, si chieda al sex offender di parlare dei sentimenti delle vittime, sembra che si arrivi a una totale impossibilità di descrivere emozioni realistiche. In particolare, si trovano importanti distorsioni cognitive ed errori di pensiero che vengono alla luce molto presto. “Non tutti i bambini sono uguali da un punto di vista sessuale”: questa è una delle idee espresse da un paziente attualmente in trattamento. Eppure, egli riferisce abusi sessuali avvenuti durante la sua infanzia ed è convinto che i bambini debbano essere protetti dai molestatori sessuali. Ha figli e se ne è sempre occupato attentamente, provvedendo a proteggerli in modo adeguato. Nel suo pensiero, la sua vittima apparterrebbe a uno specifico gruppo di bambini, diverso dagli altri. Si evidenziano le seguenti distorsioni cognitive ed errori di pensiero: “molte bambine provocano sessualmente uomini adulti”; “queste bambine agiscono fisicamente il loro sex appeal abbracciando gli uomini in modo malizioso”; “fanno capire la loro disponibilità sessuale”. Ogni volta proviamo a lasciargli immaginare come sia fatto il mondo interiore delle loro vittime e cosa provano al momento dell’abuso sessuale, e il soggetto è incapace di dire qualcosa di differente da giudizi del tipo “sentono in modo normale”. Ciò è coerente con l’idea che appartenessero a uno specifico gruppo di bambini, differenti dagli altri. Egli sembrava incapace di leggere i pensieri o le emozioni della vittima. Inoltre una delle bambine da lui abusate, era stata vittima anche di un altro uomo (un parente della bambina) ed era visto in un modo differente, come una fonte di sofferenza per lei. Il paziente provava vergogna per quello che aveva fatto e sapeva che qualcosa era sbagliato, ma questo non fece alcuna differenza nella percezione che il bambino non fosse stato ferito. Parlare delle sue aggressioni fu estremamente difficile, perché una progressiva confusione nel suo stato mentale accresceva quando si trovava era stressato dalle obiezioni del terapeuta.
Un’emozione complessa
C’è ancora una certa mancanza di accordo a proposito del costrutto di empatia, ma un’ampia e corretta definizione deve comprendere due aspetti basici di questa emozione. La capacità di riconoscere l’emozione di un’altra persona include, infatti, la capacità di condividere tale emozione (responsività emotiva) e l’abilità di vederla dal punto di vista dell’altro (abilità cognitiva dell’assunzione di ruolo). L’empatia è un’emozione complessa, lo sviluppo della quale ha bisogno di meta cognizioni complesse. Soprattutto, il presupposto necessario è una buona comprensione di sé. Emozioni complesse come l’empatia, ma anche il coraggio e la vergogna, necessitano infatti dello sviluppo di un’abilità di auto-riflessione (Lewis, 1992).
La coscienza di sé e dell’altro permette di sapere come una persona specifica possa reagire a un evento emotigeno, interpretandolo in base al suo modo di essere: questa capacità viene definite “empatia orientata verso l’altro” (Roys, 1997). Quando un soggetto non è in contatto con se stesso, può risultargli impossibile riconoscere, negli altri, le emozioni che nega a se stesso. In particolare, vorremmo sottolineare, per spiegare la difficoltà incontrata nella terapia dei sex offender, è che esser capaci di provare empatia può risultare difficoltoso a causa delle abilità meta-cognitive che rappresentano il presupposto di un sentimento così complesso. Inoltre, si rileva che, in presenza di vissuti di vergogna, l’accesso a sé può essere del tutto impedito. La vergogna è, infatti, un’emozione che tendiamo ad allontanare. La sua presenza può essere riferita a trauma sessuali in età infantile e contribuisce a rinforzare le difese dissociative, a causa della necessità di cancellare dalla coscienza il senso di umiliazione personale.
La psicoterapia Cognitivo Interpersonale e l’esito terapeutico
Nel caso in esame, la presenza di vergogna rendeva difficile, quando non impossibile, aggredire direttamente l’argomento dell’empatia vittima-specifica.
La presenza di empatia correla positivamente con il livello di salute mentale globale e con la socievolezza e, come abbiamo visto, raggiungere un incremento di capacità empatiche è un obbiettivo difficile per la terapia Cognitiva. Ciò è dovuto alla natura stessa delle emozioni auto-valutative, che necessitano di sottili capacità meta cognitive. Vergogna e disconoscimento di sé rappresentano, probabilmente, i principali ostacoli per il cambiamento delle distorsioni cognitive e degli errori di pensiero. La proposta Cognitivo/Interpersonale consiste, allora in un programma terapeutico volto, anzitutto, a cambiare la gestione della vergogna da parte del paziente. Attraverso la psicoterapia, si mira, poi, ad accrescere l’autostima, l’empatia, le capacità di stare in un rapporto intimo: tutto ciò contribuisce, infine, a prevenire la perpetrazione di altri crimini sessuali.
Bibliografia
T. Cantelmi, M.B. Toro, T. Corsini, A. Violo. “Treatment integration: the cognitive interpersonal psychotherapy”, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, Vol. 14, 2, 138, 2008
T. Cantelmi, M.B. Toro et al. “Sexual offenders: a study of anger in the prison context”, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, Vol. 14, 2, 130, 2008
T. Cantelmi, M.B. Toro et al. “Cognitive-behavioural strategies to enhance empathy and self-esteem in sex offenders”, Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale, Vol. 14, 2, 115, 2008
Note
[1] SCINT, Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitivo Interpersonale, (Aut. Miur del 15 07-2007; G.U. n. 180 del 02-08-2008)