Scuola e educazione di genere
Affrontare il tema Scuola, nel nostro Paese, significa toccare un argomento spinoso. Se poi, a questo, ci uniamo quello della Teoria Gender otteniamo un binomio, oggi, oltremodo discusso. Basta dare un’occhiata alle tante, anzi troppe e spesso contraddittorie, informazioni che troviamo sul Web e non solo, per percepire quanto la questione sia rovente e controversa.
Il testo legislativo di riferimento è la legge 107/2015, anzidetta “Buona Scuola”, risultato dell’ennesima Riforma: testo che ha fatto scendere nelle piazze d’Italia, non solo i sindacati e gli insegnanti, ma anche le associazioni dei genitori. Quest’ultime chiamate in causa tanto dal disegno di legge relativamente le unioni omosessuali, che dall’Emendamento relativo all’obbligatorio di insegnamento nelle Scuole di ogni ordine e grado dell’educazione di genere. Per i manifestanti ennesimo tentativo di realizzare un ulteriore passo verso l’indottrinamento gender. Per promotori dell’inserimento del cd Emendamento le proteste sono nate «su una strumentalizzata e sistematica disinformazione […]. Sono state fatte affermazioni totalmente false, basta leggere i documenti […] come detto e ripetuto da tante e tanti scienziati e intellettuali di diverse discipline e di diversi orientamenti culturali, compresi eminenti teologi, non esiste una “Teoria Gender”: esistono invece gli studi di genere che si prefiggono di cancellare le discriminazioni riprodotte, a tutti i livelli della società, in base alle differenze[1]».
Partire dai documenti e dagli studi di genere, quindi, sembra essere l’unico approccio che possa in qualche modo orientare nella querelle. E la relazione al Disegno di Legge n. 1680 ci sembra un buon inizio.
Relazione al Disegno di Legge n. 1680
Il comunicato, alla Presidenza del Senato della Repubblica, che introduce il D.D.L. dell’educazione di genere e la prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università, è del 18 novembre del 2014. Di seguito riportiamo alcuni stralci significativi: «nell’ottica di promuovere il superamento degli stereotipi di genere, educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza di genere. Tra gli obiettivi nazionali dell’insegnamento nella scuola italiana è divenuto, pertanto, indifferibile porre espressamente, come elemento portante e costante, sia la promozione del rispetto delle identità di genere sia il superamento di stereotipi sessisti […] quasi tutti i paesi europei hanno infatti predisposto in campo educativo e scolastico strumenti di sensibilizzazione e di lotta contro gli stereotipi. In particolare, già con il Quarto Programma d’Azione (l996-2000) la politica europea delle pari opportunità […]. La risoluzione, sulla base di indirizzi pedagogici largamente condivisi, ha affermato che la nozione di uguaglianza può essere instillata nei bambini sin dalla più tenera età […]. Agli Stati membri è stato perciò richiesto di valutare programmi di studi e contenuto dei libri di testo nell’ottica di una riforma complessiva che conduca all’integrazione delle questioni di genere, quale tematica trasversale, in tutti i materiali didattici […] a partire dal primo ciclo di istruzione, fornendo adeguati strumenti di comprensione e di decostruzione critica dei modelli dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi […] per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini, in particolare introducendo nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta[2]».
Pertanto il Programma di Azione, contenuto in una Decisione del Consiglio dell’Unione Europea (95/593/CE, del 22 dicembre 1995), quanto la Risoluzione 2012/2116 (INI) del Parlamento Europeo presentano l’intento di superare gli stereotipi di genere. Il legislatore italiano, dunque, ottemperando per il principio di prevalenza del diritto europeo sul diritto interno, con la nuova disciplina ha inteso concretizzare l’obiettivo europeo di un’operazione educativa realizzata prioritariamente tramite il soggetto Scuola, con l’intento di compiere un’operazione di decostruzione critica di modelli ritenuti dominanti, determinati da stereotipi di genere, presenti nella società.
Le Pari Opportunità e l’Ufficio UNAR
Per il raggiungimento degli obiettivi preposti, nasce il Progetto POLITE[3], quale acronimo di “Pari Opportunità nei LIbri di TEsto”, un codice di autoregolazione per l’editoria che ottemperi a questa nuova esigenza di formazione, che vede gli editori italiani associati all’AIE, impegnati a garantire la «realizzazione di libri di testo e materiale didattico attento allo sviluppo dell’identità di genere, come fattore decisivo nell’ambito della educazione dei soggetti in formazione […] La peculiarità del libro di testo consiste essenzialmente nell’essere destinato a soggetti in età scolare (tra i 6 ed i 19 anni d’età in Italia)». Progetto promosso e sostenuto dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1999-2001), nell’ambito del Quarto programma di azione a medio termine per la parità di opportunità tra «maschile e femminile».
All’interno del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sta l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali[4] (UNAR), costituito, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 dicembre 2003, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul sito dell’UNAR si legge che «è stato formalizzato nelle Direttive del Ministro del lavoro con delega alle pari opportunità per l’attività amministrativa per gli anni 2012 e 2013, che assegnano all’UNAR […] anche l’attuazione di obiettivi operativi rilevanti in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e, in particolare, la definizione di una Strategia Nazionale in collaborazione con il Consiglio d’Europa […]. Si tratta di un importante e significativo progetto […] per l’implementazione delle politiche di prevenzione e contrasto della discriminazione nei confronti delle persone LGBT, in linea con la citata Raccomandazione adottata dal Comitato dei Ministri CM/REC (2010)5 [5]». Il 20 novembre 2012, con decreto direttoriale, l’UNAR ha istituito il Gruppo Nazionale di Lavoro LGBT[6], rappresentato da 29 associazioni del settore, ritenute idonee per le loro «specifiche competenze nelle tematiche relative all’orientamento sessuale e all’identità di genere». L’elenco delle associazioni sopra citate è consultabile sotto il paragrafo La Governance, nel documento che porta il titolo: Strategia Nazionale LGBT[7].
L’elaborazione della Strategia Nazionale[8] ha visto il confronto dell’UNAR con le Amministrazioni sia Centrali che locali (Regioni, Province, Comuni) attraverso la Rete RE.A.DY (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale ed identità di genere) allo scopo di rafforzare «l’azione di diffusione ed implementazione delle buone prassi». In quanto il «Consiglio d’Europa invita gli Stati membri a garantire il diritto all’istruzione, senza discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere […]. La scuola, difatti, ha un ruolo molto importante non solo come luogo privilegiato per la promozione di una cultura della conoscenza reciproca e del mutuo rispetto, ma per l’aiuto che può offrire ai fini dell’elaborazione del processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere […]. In tale ottica è stata preziosa la consultazione delle Associazioni LGBT, che hanno svolto un ruolo attivo e propositivo. Le Associazioni sono tra gli stakeholder privilegiati nell’elaborazione della Strategia nel suo complesso, sia nell’identificazione degli obiettivi che nella previsione delle azioni positive da realizzare[9]». Tra le suddette azioni positive da realizzare il Progetto “Educare alla Diversità”, ovvero la realizzazione di opuscoli con «specifici moduli didattici di prevenzione e contrasto dell’omofobia e del bullismo omofobico nelle scuole[10]», realizzate dall’Istituto A.T. Beck, su mandato dell’UNAR.
La denuncia delle associazioni dei genitori non si fa attendere «Attualmente, tale teoria è stata fatta propria dall’OMS e dall’Unione Europea, e recepita dal Governo italiano, nella cosiddetta “Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, sottoscritta dal Ministro per le Pari Opportunità nel febbraio 2013. In forza di ciò, durante l’anno scolastico 2013-2014, 29 associazioni LGBQT, hanno potuto entrare nelle scuole a parlare di gender, grazie alla disponibilità di 10 milioni di euro stanziati dal governo […]. Tutto ciò, senza il minimo coinvolgimento delle Associazioni dei Genitori riuniti nel FONAGS […] e quindi senza permettere ai genitori di conoscere e di prendere una posizione su quanto predisposto per i loro figli a loro insaputa. Sono stati così proposti a minori, anche di scuola materna o primaria, libri, strumenti didattici e giochi del progetto “Educare alla diversità”, tanto ambigui, quanto lesivi del fondamentale diritto dei genitori ad educare i propri figli, che la nostra Costituzione tutela chiaramente. Il tutto a spese di noi cittadini. In questo modo, per mezzo del condivisibile obiettivo di lottare contro ogni forma di discriminazione e di bullismo, a cominciare da quelle dettate dall’orientamento sessuale, passa il tentativo di far giungere alle nuove generazioni il messaggio della neutralità della identità sessuale[11]».
L’educazione all’identità di genere, tradotta dai genitori Teoria Gender, fa quindi capolino nelle scuole di ogni ordine e grado, come anticipato dalla “Strategia Nazionale, per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)” «Per quanto riguarda il settore della scuola, scelto come luogo primario della prevenzione, sono state realizzate attività specifiche di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione mediante i Protocolli di Intesa stipulati tra il Ministro delle Pari Opportunità ed il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il primo, siglato nel 2009, ha istituito la “Settimana contro la violenza”, iniziativa di sensibilizzazione, informazione e formazione che si svolge presso le scuole di ogni ordine e grado nel mese di ottobre di ogni anno. Il nuovo Protocollo, siglato nel mese di gennaio 2013, ha esteso le attività della Settimana alle diverse forme di discriminazione, tra cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere, con particolare riguardo ai fenomeni di bullismo anche a sfondo omofobico e transfobico[12]».
Per le associazioni dei genitori siamo davanti ad indottrinamento, dei loro figli, verso ideologie inaccettabili. «In Italia, nel corso dell’ultimo anno scolastico, innumerevoli ricorsi, proteste ed iniziative formali sono state rappresentate ed intraprese da genitori e da loro associazioni nei confronti di Dirigenti scolastici e degli organi competenti del MIUR, contro la proposta dei contenuti dell’ideologia gender nelle classi, a cominciare da quelle di scuola materna […]. Di fronte alla indiscutibile emergenza educativa che il Paese sta affrontando, l’alleanza fra scuola e famiglia è criterio irrinunciabile. Proprio per questo è particolarmente grave che quanto accaduto sia avvenuto senza alcun contraddittorio e senza alcuna informazione preventiva ai genitori. È pertanto diventata indispensabile una rinnovata e diffusa azione diretta di vigilanza e di cittadinanza attiva da parte dei genitori stessi, che non possono accettare che queste azioni passino sulle proprie teste, e soprattutto sulle teste dei propri figli[13]». E questo nonostante le Linee Giuda sulla “Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa[14]”, redatto sulla base delle indicazioni e dei suggerimenti forniti dal FONAGS (Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola), che il Ministero dell’Istruzione ha trasmesso alle scuole con la nota 22 novembre 2012, Prot. n. 3214.
Tanti sono i ricorsi, le proteste, le iniziative formali intraprese da genitori e dalle associazioni di riferimento, nei confronti di Dirigenti scolastici e degli organi competenti del MIUR «che una circolare del Ministero dell’Istruzione ha bloccato la diffusione nelle classi degli opuscoli “Educare alla diversità a scuola”, realizzati dall’Istituto A. T. Beck su mandato dell’UNAR (costati 24.200,00 euro)». Non solo il Direttore Generale del Dipartimento per l’Istruzione del MIUR «incontrando il FONAGS, il Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola […] ha anche dato conto di una lettera ufficiale di scuse inviata al MIUR dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), per aver portato avanti il Progetto senza condividerlo con il Ministero […]. La diffusione degli opuscoli aveva provocato la forte reazione delle associazioni dei genitori, a causa dei contenuti fortemente orientati verso l’ideologia gender e LGBT[15]».
Fioccano le interpellanze parlamentari sulle iniziative promosse dell’UNAR nelle scuole. Di seguito alcuni stralci più significativi (Resoconto della seduta n. 229 del 10/04/2014 [16]). «l’UNAR ha allargato la sua competenza anche alle persone LGBT […] per diffondere la “teoria del gender” nelle scuole, attraverso anche iniziative volte ad offrire ad alunni e docenti, ai fini dell’elaborazione 2 del processo di accettazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere […] lo stesso documento prevede anche la “Realizzazione di percorsi innovativi di formazione e di aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con un particolare focus sul tema LGBT” e sullo “sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente”, sull’”educazione affettivo-sessuale”, sulla “conoscenza delle nuove realtà familiari” […] considerato che il citato documento a giudizio dell’interpellante: espropria la famiglia, ambito privilegiato e naturale di educazione, del compito di formazione in campo sessuale, disconoscendo il fatto che la stessa famiglia rappresenti l’ambiente più idoneo ad assolvere l’obbligo di assicurare una graduale educazione della vita sessuale, in maniera prudente, armonica e senza particolari traumi; si pone in palese violazione di due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo […] tali linee guida esprimono la totale adesione all’ideologia gender, ovvero alle ideologie LGBT (o anche LGBTIQ precisano), espressione che peraltro ammoniscono ad usare, e pretendono che a tale ideologia si conformino tutti “gli enti pubblici a ogni livello” […] l’intento è dunque modificare il modo di esprimersi non solo di enti e istituzioni pubbliche, ma anche dei media e persino delle istituzioni ecclesiastiche, la cui autonomia e libertà d’espressione è sancita dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, oltre che dall’articolo 21 […] le linee guida precisano nel dettaglio tutti i dogmi dell’ideologia gender, che, ben al di là di qualunque evidenza scientifica, teorizza la totale separazione del sesso dall’orientamento sessuale, nel senso che essere di sesso maschile e provare attrazione verso le donne è mera coincidenza […] si spingono ad affermare che coloro che non si conformano alle suddette ideologie lo fanno per “rassicurazione rispetto alla propria sessualità”, affermazione chiaramente sessista e discriminatoria […] un documento che antepone le ideologie di chi l’ha redatto alle leggi e alla Costituzione e che si configura come vera e propria propaganda e manuale di propaganda […] si evince dal documento stesso, sia stata elaborata consultando unicamente associazioni LGBT, peraltro in gran parte “schieratissime” con una certa parte politica, e non ad esempio le associazioni delle famiglie; se non ritenga opportuno disporre il ritiro delle “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT” lasciando che la propaganda di parte venga svolta dalle associazioni di parte».
A seguire una nota MIUR (Prot. AOODGSIP n. 4321 del 6/07/2015), sulla corretta prassi che le scuole sono chiamate a seguire «Le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere, di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell’Offerta Formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il Patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie. Si ricorda alle scuole, quindi, di assumere le iniziative utili per assicurare da parte delle famiglie una conoscenza effettiva e dettagliata del P.O.F.[17]».
In tema di “Chiarimenti e riferimenti normativi a supporto dell’art. 1 comma 16 legge 107/2015”, la Circolare ministeriale n. 1972, del 15 settembre 2015, recita testualmente: «Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori […]. La finalità del suddetto articolo non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri della persona costituzionalmente garantiti […] tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo». Inoltre la Circolare stabilisce che «alle scuole spetta il compito […] di predisporre azioni nel rispetto di linee di indirizzo generale che saranno appositamente divulgate dal MIUR. Tali linee – che saranno elaborate con il contributo di rappresentanti di associazioni ed esperti riuniti in un apposito tavolo di lavoro che sarà istituito presso il MIUR – saranno utili a monitorare e supportare le scuole nelle azioni previste dal comma 16 dell’art 1 della L. 107/2015, anche verificando l’attuazione del piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, esclusivamente per la parte di competenza dell’istruzione[18]».
Nel contempo il Ministero dell’Istruzione ammonisce: «Chi ha parlato e continua a parlare di ‘teoria gender’ in relazione al progetto educativo del governo […] sulla scuola compie una truffa culturale e voglio dire con chiarezza che ci tuteleremo con gli strumenti adeguati […] facciamo chiarezza con circolari e in altri modi, ma se ciò non dovesse bastare credo che ci sia una responsabilità irrinunciabile di passare anche a strumenti legali[19]».
I Gender Studies
Come evidenziato sopra, le cosiddette Teorie Gender sono al centro di un dibattito politico e sociale serrato tra i sostenitori della famiglia tradizionale e chi invece reclama una società scevra da ‘incasellamenti’ siano questi di natura culturale o fisica. Per esempio il Direttivo della Società Italiana delle Storiche scrivendo una lettera al Ministro dell’Istruzione critica il blocco della distribuzione degli opuscoli UNAR nelle scuole, affermando che «Non esiste, infatti, una “teoria del gender”. Con questa categoria, usata in modo fecondo in tutta una serie di discipline che ormai costituiscono l’ambito dei gender studies, non si introduce tanto una teoria, una visione dell’essere uomo e dell’essere donna, quanto piuttosto uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione: senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi, la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio […]. Privare la scuola pubblica di questo ruolo ci pare miope e ingiusto[20]».
Ma in cosa consistano questi studi genere o gender studies (come vengono chiamati nel mondo anglosassone), che dir si voglia. Nati in Nord America a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta nell’ambito degli studi culturali, si diffondono in Europa Occidentale negli anni Ottanta. «Gli studi di genere propongono una suddivisione, sul piano teorico-concettuale, tra […] due aspetti dell’identità: il sesso di una persona […] costituito dal corredo genetico […] (e) il genere […] il rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree geografiche, dei periodi storici, delle culture di appartenenza […]. Ogni società definisce quali valori attribuire alle varie identità di genere, in cosa consiste essere uomo o donna […]. Il genere è invece un prodotto della cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale delle identità […]. In sostanza, il genere sarebbe un carattere appreso e non innato. L’orientamento sessuale non è definito dal sesso[21]».
Da qui il rifiuto di accettare che la genetica, con i suoi fattori ereditari, possa determinare di per se l’orientamento di genere. Questo seguirebbe più un ‘imprinting’ culturale, ecco quindi la necessità di una decostruzione critica di modelli ritenuti dominanti. «Il codice simbolico del gender può rivelare il modo in cui un’intera cultura affronta e gestisce la relazione tra l’identico e il diverso, l’uguaglianza nella pluralità delle prospettive e dei punti di vista. Il lato negativo è però quello che vi è il rischio di incorrere in una generale de-differenziazione (neutralizzazione) delle specificità di ciascun gender; la perdita di una diversità è comunque una perdita» (Rossi, 2014).
Secondo Marguerite Peeters, Direttrice dell’Istituto Interculturale Dialogue Dynamics di Bruxelles, invece, non si tratterebbe semplicemente di studi settoriali o di pure teorie, ma di qualcosa di più e di ben diverso, legato a fattori ideologici: «l’analisi dimostra che il gender è un processo rivoluzionario centripeta: il nucleo duro attira verso di sé i componenti dei diversi cerchi, li lega alla sua ideologia in proporzione alla loro distanza dal centro e assicura l’unità ideologica dell’insieme. I progetti esteriormente più accettabili finiscono per essere essi stessi contaminati dall’antropologia laicista, individualista ed edonista del centro. Fanno pensare alla formula di Rene Descartes (1596-1650): larvatus prodeo, ‘procedo mascherato’. Il gender procede. Porta la maschera dell’uguaglianza, della parità, dell’equità, della libertà di scelta, dei diritti, della dignità umana, del progresso, dell’autonomia, dell’emancipazione o promozione della donna, della compassione, della lotta contro le violenze, della lotta contro la povertà, della non discriminazione e altrettanti concetti altruisti, umanistici o umanitari con i quali molti la legano, seducendo soprattutto i Paesi in via di sviluppo». Ulteriormente, con acuita critica, la Peeters afferma «Quale regione del mondo, quale Paese ne è esente? L’ideologia del gender invade i programmi universitari nei cinque continenti. Non è diventata una condizione per l’aiuto allo sviluppo? È ancora possibile che una ONG ottenga fondi pubblici senza menzionare la parità dei sessi? Il gender non ha già integrato alcuni strumenti giuridici, quali il Protocollo di Maputo in Africa? Non è presente nei codici o nelle carte etiche di numerose aziende? La moda non contribuisce in molti modi a seminare lo “scompiglio” nel genere?» (Peeters, 2014).
I documenti europei
I più rilevanti documenti internazionali di riferimento sull’educazione di genere sono: La Salute Sessuale per il Terzo Millennio. Dichiarazione e Documento Tecnico[22], documento del World Association for Sexual Health (WAS); gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa. Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti, diffusi dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale per la Sanità) e BZgA (Federal Centre for Health Education)[23] e la Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo sull’Eliminazione degli stereotipi di genere nell’Unione europea, 2012/2116 (INI)[24].
Sia il documento La Salute Sessuale per il Terzo Millennio che gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa sono stato diffusi in Italia dalla Federazione Italiana Sessuologia Scientifica (F.I.S.S.). Il documento La Salute Sessuale per il Terzo Millennio si propone di «mettere a fuoco problemi, obiettivi e strategie ad ampio raggio […] del raggiungimento degli Obiettivi per lo Sviluppo umano del Millennio, fissati dalle Nazioni Unite nel Summit del 2000 […] dai diritti sessuali all’equità di genere, dalla prevenzione della violenza sessuale a quella delle malattie sessualmente trasmesse, dall’educazione sessuale alla salute riproduttiva, dai disordini e disfunzioni sessuali al piacere sessuale. Per ognuna di queste aree, con riferimento al mondo sviluppato e a quello in via di sviluppo, vengono evidenziate realtà e problematiche, fissati obiettivi e tracciate azioni da compiere a livello nazionale e internazionale». Gli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa nell’affrontare il tema dell’educazione sessuale nelle scuole, optano per una concezione olistica della sessualità che, secondo questa visione: «aiuta a far maturare in bambine/i e ragazze/i quelle competenze che li renderanno capaci di determinare autonomamente la propria sessualità e le proprie relazioni nelle varie fasi dello sviluppo. Un approccio olistico sostiene l’empowerment di bambini e ragazzi affinché possano vivere la sessualità e le relazioni di coppia in modo appagante e allo stesso tempo responsabile […]. Le competenze che l’approccio olistico promuove sono inoltre essenziali per difendersi dai possibili rischi. L’educazione sessuale fa anche parte dell’educazione più generale e influenza lo sviluppo della personalità del bambino […]. La richiesta di educazione sessuale anche per i più piccoli è stata poi supportata da un diverso modo di percepire le bambine e i bambini, ora percepiti come soggetti […] la convinzione che si debbano sostenere, rafforzare e mettere i giovani in grado di gestire la propria sessualità in modo responsabile, sicuro ed appagante anziché indirizzare l’attenzione principalmente su singoli problemi o pericoli». Per quanto riguarda la Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo, essa si concentra sugli stereotipi trasmessi culturalmente «considerando che i bambini entrano in contatto con gli stereotipi di genere molto precocemente attraverso i modelli promossi da serie e programmi televisivi, dibattiti, giochi, videogiochi e pubblicità, materiali didattici e programmi di istruzione nonché atteggiamenti osservati a scuola, in famiglia e nella società, che influenzano la loro percezione del modo in cui dovrebbero comportarsi gli uomini e le donne, con ripercussioni sul resto della loro vita e sulle loro aspirazioni future […] considerando che l’accesso all’istruzione formale primaria, secondaria e superiore e il contenuto del programma scolastico impartito a ragazze e ragazzi sono fattori determinanti che influiscono sulle differenze di genere […] la nozione di uguaglianza può essere instillata nei bambini sin dalla più tenera età e che un’educazione basata sul riconoscimento della parità può insegnare loro a lottare contro gli stereotipi di genere».
Conclusioni
Nei documenti Ministeriali, finora esaminati, pare di intravedere un’alternanza di termini che vanno dalla educazione di genere, educazione sessuale, educazione alla affettività, fino ad arrivare all’educazione dell’orientamento sessuale e all’identità di genere, come, per esempio, nel caso dei documenti UNAR. Questa ‘duttilità’ del linguaggio verosimilmente può essere alla base delle perplessità interpretative, tradotte poi in proteste dalle associazioni dei genitori, le quali ravviserebbero, tra le sue righe, una via ‘maestra’ per il raggiungimento di una Strategia Nazionale fondata su un nuovo bisogno o, meglio detto, assunto antropologico secondo il quale l’umanità non si deve più riconosce in due soli generi: maschio e femmina che, nella nostra specie, si traduce ancora in uomini e donne. Altrimenti detta: approccio olistico affinché «bambini e ragazzi possano vivere la sessualità e le relazioni di coppia in modo appagante». Obbiettivo raggiungibile abbattendo qualsiasi ostacolo o concezione culturale tradizionale, considerata adesso antiquata o, peggio, foriera di germi discriminatori. Ecco che allora, in questa visione preoccupata, la Scuola, quale ente privilegiato per educare le nuove generazioni, ma anche l’editoria, i media e le parti sociali tutte devono operare una decostruzione critica di modelli ritenuti dominanti, oltre ché ‘tossici’. Che poi, la detta Strategia Nazionale, fosse in larga misura affidata, dell’UNAR, a 29 associazioni LGBT componenti il Gruppo Nazionale di Lavoro, poteva sollevare dubbi di una strumentalizzata e sistematica disinformazione, al fine di esercitare una pressione verso il cambiamento culturale voluto.
Sicuri che le parole che seguono non riguardano la nostra realtà quotidiana, tuttavia desideriamo affidare le conclusione di queste pagine alla Arendt «L’importanza attribuita all’istruzione pubblica da tutte le utopie politiche, fin dall’antichità, prova quanto sia naturale pensare di dare inizio a un mondo nuovo partendo da “esseri nuovi” per nascita e per natura […]. Perciò la convinzione di dover cominciare dai bambini se si vogliono creare nuove condizioni, in Europa è rimasta principale monopolio dei movimenti rivoluzionari di stampo tirannico, che appena assunto il potere, toglievano i figli ai genitori, in definitiva per indottrinarli. L’educazione non può trovare posto nella politica, che può solo riguardare chi ha già compiuto la sua istruzione» (Arendt, 2009).
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[1] http://27esimaora.corriere.it/articolo/vediamo-cosa-dice-davvero-il-testo-sotto-accusa/
[2] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/845618/index.html?stampa=si&spart=si&toc=no
[3] http://www.aie.it/Portals/38/Allegati/CodicePolite.pdf
[4] http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/unar
[5] http://www.unar.it/unar/portal/?p=1921
[6] LGBT: Lesbiche Gay, Bisessuali e Transessuali
[7] http://www.unar.it/unar/portal/wp-content/uploads/2014/02/LGBT-strategia-unar-17×24.pdf
[8] http://www.pariopportunita.gov.it/images/strategianazionale_definitiva_29aprile.pdf
[9] Idem
[10] http://www.istitutobeck.com/progetto-unar.html
[11] http://www.forumfamiglie.org/tema/Filoerete/allegati/documento_685.pdf
[12] http://www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_31031.pdf
[13] http://www.forumfamiglie.org/tema/Filoerete/allegati/documento_685.pdf
[14] http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/0416405a-b414-4d87-b0e9-ce0959bf6f70/linee_guida.pdf.
[15] http://www.notizieprovita.it/wp-content/uploads/2014/04/AVVENIRE-5-MARZO-2014.pdf
[16] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=00760083&part=doc_dc-allegatoa_aa-sezionetit_iei-oggetto_isipduns200104200106200107e200135&parse=no
[17] http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/2fec6734-eff2-413b-aeaf-98b0aa349c1d/Nota_agli_UU_SS_RR_per_POF.pdf
[18] http://www.istruzione.it/allegati/2015/prot1972.pdf
[19]http://www.immaginiamicheravenna.it/wp-content/uploads/2014/05/LetteraSIS_genere.pdf
[20] http://www.senonoraquando-torino.it/2014/04/12/lettera-della-societa-italiana-delle-storiche-genere-e-scuola/
[21] http://www.corriere.it/cronache/cards/problema-gender-teoria-spiegata-5-punti/teoria-genere_principale.shtml
[22] http://www.worldsexology.org/wp-content/uploads/2013/08/WAS-Italian-version.pdf
[23] http://www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf
[24] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2013-0074+0+DOC+XML+V0//IT