Scrivere il Futuro

 In SegnaLibro, N. 4 - dicembre 2017, Anno 8

Scrivere il futuro – Zygmunt Bauman – Castelvecchi 2016

Non posso offrire una ricetta perché non ce l’ho; posso soltanto provare a condividere quel che persone più sagge, con maggiore esperienza in campo politico o nella vita della società, ci hanno suggerito. In circostanze come quelle in cui viviamo, privati della possibilità di fare la storia avendo in mano una ricetta per farla in modo consapevole, secondo un disegno, come prevedere quel che accadrà?

Zygmunt Bauman (Poznań 1925 – Leeds 2017), filosofo, politologo, pioniere nelle rappresentazioni sociali, scrutatore dell’essere umano, affronta in questo breve, ma denso saggio i problemi più urgenti che si pongono davanti all’Uomo moderno. Scrivere il futuro è un saggio arguto, sintetico e completo al tempo stesso, che instaura un dialogo diretto con il lettore e lo sprona ad agire, a fare e pensare, stimolando le sue emozioni e lo spirito di giustizia. Bauman, nel testimoniare, con la sua presenza assidua sulla scena mondiale, il tormentato passaggio dal XX al XXI secolo, sintetizzato nell’ormai celebre “modernità liquida”, esplora in queste pagine le sfide del nostro tempo, consegnando al lettore non un farmaco al male di vivere che affligge la contemporaneità, ma un ingrediente per cominciare a pensare, per guardare con occhi nuovi il futuro.

Il lettore è guidato attraverso i sei capitoli a scoprire ed osservare le dinamiche che muovono la società in cui vive. Il saggio si apre con l’affermazione secondo cui l’incertezza, costante del viver quotidiano, non sia prettamente una questione epistemologica bensì ontologica, radicata alla struttura dell’uomo e alle sue creazioni. La mancanza di certezza non è dunque un deficit della cognizione umana, ma un dato di fatto: non possiamo prevedere il futuro, siamo ancorati all’evento, il tempo diviene assoluto. Tale pensiero è in netto contrasto con il paradigma del secolo scorso, infatti nell’epoca moderna l’Uomo aveva la consapevolezza di conoscere il mondo, le cose, le persone che lo abitavano e forte delle sue certezze operava e costruiva la propria vita. Nel passaggio al postmoderno a cambiare è innanzitutto il modo di auto-comprendersi della scienza, che comporta la fine delle certezze, l’incanto della realtà viene eroso dal disincanto verso il mondo e apre le porte al paradigma della complessità. «Il mondo in cui abitiamo è il mondo del divenire, non dell’essere, perché è imbevuto di quel che noi chiamiamo turbolenza. La turbolenza è la condizione in cui la maggior parte delle cose può accadere – magari persino tutte le cose immaginabili –, ma per cui nulla può essere fatto con certezza assoluta». (p. 23). Siamo come pendoli che oscillano fra incertezza e turbolenza, mossi dalla smania di fare più che essere. Abitiamo nella complessità, ciò significa che dovremmo imparare a navigare nell’ambivalenza della nostra situazione: vivere nella modernità liquida senza annegare e affondare nella turbolenza è possibile tramite la flessibilità, caratteristica indispensabile per l’Uomo che denota la vita, ciò che è rigido è freddo, fermo, morto invece ciò che è flessibile è caldo, dinamico, turbolento ma vivo.

«Da un lato, dunque, in questo mondo così complesso, ci si sente privi di speranza e di sostegno: è un sentimento umiliante, spiacevole, che tocca ciascuno di noi, benché a diversi livelli. Dall’altro lato, però, in modo sorprendente, la complessità accentua l’importanza dell’azione imprevedibile, inattesa, dell’individuo». (p. 26) Quale individuo? Lo stile di vita contemporaneo porta alla creazione di quelle che l’autore definisce “persone superflue”, persone superficiali, senza fissa dimora che fluttuano nell’etere senza trovare il proprio posto, accecati dal progresso economico e dalla tecnologia, che se aveva come obiettivo prioritario quello di facilitare la vita alle persone, ha creato nei fatti una sorta di zona di sicurezza negando il confronto con l’altro. «Trascorriamo sette ore e mezzo al giorno di fronte a uno schermo, non di fronte ad altri esseri umani. Viviamo costantemente in quella stanza degli specchi, o in quella camera d’eco, perdendo la nostra capacità di confrontarci con l’estraneità». (p. 40) Realtà virtuale ma disastro reale verrebbe da dire, e coinvolge tutta l’umanità, che confrontandosi con uno schermo è portata ad accettare ciò che lo schermo rimanda: l’immagine di se stessi. Siamo portati a sostituire l’Altro con la tastiera, con uno schermo, ma ciò che vediamo è solamente il riflesso di noi stessi, lo schermo crea una barriera che protegge ma allo stesso tempo isola dal mondo esterno.

Nella parte finale del saggio Bauman affronta il fenomeno della migrazione di massa, argomento pungente del nostro tempo, che delinea l’emergenza umanitaria per eccellenza. La migrazione fin dalla preistoria è connessa allo sviluppo dell’Uomo, ma il fenomeno della migrazione di massa è una conseguenza dello stile di vita moderno. Questo è un dato di fatto, la sfida adesso è come affrontare l’arrivo dello “straniero” nelle società. Al giorno d’oggi si possono notare due tendenze contrapposte: da un lato la mixofobia e dall’altro la mixofilia. La prima denota un vero e proprio rifiuto dello straniero, la paura dell’altro e di ciò che il nuovo potrebbe portare. Totalmente diversa è la mixofilia che genera invece accoglienza e apertura al nuovo e vede nell’incontro con l’altro un arricchimento personale e sociale. Ciò che invita a fare il testo è riflettere sulle conseguenze di queste due istanze che, in un caso porterebbero alla separazione mentre nell’altro alla solidarietà e all’accoglienza. La diversificazione dell’ambiente umano è una costante dello sviluppo, e questo richiede l’attitudine inedita di fondare un vero e proprio dialogo, che non sostituisca le identità ma decentri il proprio egocentrismo per convivere con chi è straniero.

Zygmunt Bauman non offre risposte agli interrogativi che pone, non consegna un manuale del come agire, ma un testo che vuole e fa riflettere sul nostro futuro: «che il futuro non sia dato significa, dunque, che la storia deve essere fatta. Siamo noi a doverla realizzare. Dobbiamo cercare i modi per scriverla in conformità ai nostri desideri; per farlo dobbiamo innanzitutto scoprire quali sono questi desideri, instaurando un dialogo che ci permetta di accordarci su idee e su parole, anche molto diverse da persona a persona, ancora da realizzare» (p. 41). Siamo noi a decidere dove andare: prendiamoci la responsabilità delle nostre scelte perché oggi si crea il domani.

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