Playing is not a game: videogames, passatempo o potenziale pericolo?

 In @buse, N. 2 - giugno 2013, Anno 4

Effettivamente, la letteratura indica che, tra i vari fattori di rischio correlati alla delinquenza ed al crimine – povertà e status socio-economico di degrado; mancanza fisica o emotiva delle figure genitoriali o di accadimento; inadeguatezza delle cure; abusi fisici e psicologici nell’infanzia – si annovera anche una certa suscettibilità individuale alla visione di immagini violente (Browne K.D. & Pennell A.E, 2000; Donohue T.R., Henke L.L. & Morgan I.A., 1988).

Ad esempio, analizzando 40 adolescenti assassini e 200 giovani aggressori sessuali (young sex offenders), Bailey concluse che la ripetuta visione di video pornografici e violenti era un importante fattore caratterizzante i crimini omicidiari e sessuali poi commessi, anche per il fatto, in alcuni casi, che l’autore aveva cercato di imitare nella realtà quanto visto ed “appreso” sullo schermo (Bailey S.M., 1993).

Secondo altri autori, dai riscontri ottenuti da studi di prevalenza quest’ultimo elemento, relativo all’effetto imitativo nella vita reale delle immagini violente fruite dai media, si riscontra in 1 giovane offender su 4 (Surette R., 2002).

Viceversa, un review nordamericana ha concluso che vi è una debole evidenza empirica del fatto che la violenza nei media sia causa di comportamenti criminosi: più precisamente, dei 12 studi sperimentali e quasi-sperimentali inclusi nella rassegna, solo in uno il comportamento criminale era stata identificato come effetto/conseguenza dell’esposizione visiva alla violenza. Per questo motivo, gli autori conclusero che «è praticamente inesistente l’evidenza dell’effetto (della visione di immagini violente) sul comportamento criminale» (Savage J., 2004).

Infatti, più che sulla singola valutazione dell’effetto dato dalla visione di immagini violente sul comportamento delinquenziale, gli studi si sono rivolti all’esame del contesto familiare in generale, evidenziando come sia proprio il fatto di crescere in ambienti familiari violenti a determinare una maggiore suscettibilità alla visione di immagini violente. In altre parole, l’effetto della visione di immagini violente ha valori più significativi in giovani delinquenti cresciuti in ambienti familiari in cui la violenza è parte del contesto affettivo e relazionale (Browne K.D & Pennell A.E., 1998).

Sulla base di tali riscontri si è specificato anche l’intervento istituzionale: il Governo inglese, infatti, ha sponsorizzato specifici studi volti ad indagare la correlazione tra violenza nei media e crimine, considerando un campione di 82 giovani offenders e 40 non-offenders (Farrington D.P., 1995;  Anderson C.A. & Bushman B.J., 2002; Jolliffe D. & Farrington D.P., 2004). L’indagine ha rivelato che i self-report degli offenders riportavano alcuni elementi distintivi nelle abitudini di vita ed in altre misure psicometriche rispetto al sottogruppo di non-offenders: maggior tempo dedicato alla visione di televisione e film, con maggiore prevalenza nella preferenza di film violenti e nell’identificazione in modelli/ruoli violenti; minore empatia; deficitario sviluppo morale; temperamento più aggressivo e percezioni distorte circa la violenza.

Questo risultato è coerente con i riscontri di un altro studio americano che ha mostrato come gli adolescenti aggressivi selezionano preferenzialmente media in cui vi è violenza (ad esempio: la visione di film d’azione violenti, videogiochi violenti, visita di pagine internet contenenti immagini violente), e che questo elemento ha condizionato fortemente il loro successivo comportamento criminoso violento (Slater M.D., Henry K.L., Swaim R.C. & Anderson L.L., 2003).

Considerando tutto ciò, gli autori hanno proposto uno specifico modello per spiegare lo sviluppo del processo di preferenza di contenuti violenti nei media, schematizzato come segue (Browne K.D. & Hamilton-Giachritsis, 2005):

Figura1

Figura 1: Browne & Pennel Model for the development of preference for violent films (Browne & Pennell, 2000).

Conclusioni

Come si è visto, la review della letteratura non ha fornito risultati unanimi né nel considerare i videogiochi come strumenti utili piuttosto che come potenziali fattori di rischio nell’aumento delle istanze aggressive, né nell’indicare quali dinamiche e quali motivazioni siano alla base dell’eventuale aumento dell’aggressività: secondo alcuni riscontri, quest’ultima sarebbe frutto di una “subliminale” variazione o distorsione dei valori educativi e delle credenze culturali del giocatore operata attraverso le dinamiche del gioco (storia e grafica); secondo altri, i videogiochi condurrebbero ad un diretto “insegnamento” all’uso di violenza in virtù della partecipazione attiva del soggetto, di gran lunga più efficace della comune “violenza assistita” su altri mezzi mediatici.

Tanto basta per affermare che i videogiochi non hanno, di per sé, un valore positivo o negativo.

Qualsiasi cosa, videogiochi compresi, diventa nociva quando viene usata “male”: senza una supervisione adeguata, per troppo tempo, limitando a se stessi il coinvolgimento in altre attività, limitando i rapporti interpersonali.

Per di più, mentre le evidenze scientifiche in merito alle positività dell’uso di videogiochi non perdono di significatività in sperimentazioni con campioni di età più elevata (vedi quanto riportato in merito alle popolazioni anziane), le evidenze scientifiche inerenti i pericoli vengono considerate significative solo se rapportate al breve termine e a popolazioni più giovani.

In età evolutiva, infatti, sono ancora in atto diversi e  fondamentali processi di sviluppo cognitivo ed emotivo-affettivo: a titolo di esempio basti pensare ai percorsi di sviluppo del sentimento, del ragionamento e del comportamento morale.

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