Le vittime dimenticate: anziani, abusi e maltrattamenti

 In Sul Filo del Diritto, N. 2 - giugno 2013, Anno 4

Nel nostro Paese la violenza contro le persone anziane è sottostimata e poco nota, a fronte, invece, della tendenziale crescita della popolazione di età avanzata, dovuta all’allungamento della vita media.

Si tratta di un fenomeno ancora poco indagato e che sembra destare minor interesse, sia scientifico che giudiziario, rispetto a quelli che riguardano altre tipologie di vittime. Eppure i dati[1] più recenti dovrebbero far riflettere: nel 2008 i reati ai danni di anziani[2] sono stati 240.946 (su un totale di reati denunciati pari a 2.709.441), mentre nel 2011 sono stati 279.475 (su un totale di 2.763.012 reati denunciati).

Quelli più diffusi sono l’omicidio colposo, le rapine e i furti, mentre calano in percentuale le truffe e le frodi informatiche. Il dato più allarmante è quello che riguarda gli omicidi colposi; infatti, l’incidenza percentuale con vittime d’età superiore ai 65 anni sul totale delle vittime è del 30,23% nel 2011, mentre nel 2008 era del 27%. In calo di un punto percentuale le denunce per truffa e frodi informatiche, passate dal 15% al 14% circa. Inoltre, negli ultimi quattro anni le vittime over 65 sono maggiormente di sesso maschile (56%).

Per quanto riguarda la distribuzione delle denunce per regione nel 2011, il 16% è stato registrato in Liguria, il 14,87% in Friuli-Venezia Giulia, il 13,81% in Calabria, il 13,75% in Piemonte, il 13,68% in Toscana; all’ultimo posto la Campania con il 10.1%.

Si tratta di una fotografia assolutamente parziale e sfocata: il numero oscuro è molto alto in questi casi. Il fenomeno dell’abuso e maltrattamento della persona anziana sfugge alla possibilità di essere “visto”. Anche a livello internazionale solo di recente il dibattito criminologico e psicologico-giuridico ha inteso porre l’attenzione su questo tema. Si pensi, per es., che nel 2011 l’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO Europa, 2011) ha evidenziato come ogni anno 2.500 anziani muoiono per mano dei propri familiari e, in sostanza, il 30% circa degli 8.500 omicidi di anziani over 65 che avvengono annualmente in Europa sarebbero da attribuire alle conseguenze dei maltrattamenti subiti; inoltre, 29 milioni (19,4%) di anziani sono vittime di abuso psicologico e 6 milioni (3,8%) di abuso finanziario.

Parte dei motivi per cui il fenomeno rimane ancora sommerso è dovuta certamente alla mancanza di strumenti di rilevazione unica o alla mancata condivisione di una soglia d’età da considerare come punto di riferimento per classificare un reato come rivolto ad una persona anziana; per es., alcuni contributi di ricerca individuano tale soglia a 60 anni di età, altri a 65. A livello internazionale si suole distinguere i cosiddetti “young old” (65-75 anni), gli “old old” (75-85 anni) e gli “oldest old” (oltre gli 85 anni) (Molinelli, et al., 2007).

Ci sono altri elementi che contribuiscono a mantenere il fenomeno “oscuro” sui quali è bene soffermarsi. Spesso, infatti, l’anziano vittima di abuso o maltrattamento non ha neanche la consapevolezza della condizione che vive; o ancora, quando ne percepisce la significatività, se ne vergogna. Inoltre, la maggior parte dei reati che subisce nasce in contesti di accudimento (domestici o presso strutture socio-sanitarie) in cui la relazione con l’abusante è caratterizzata da dipendenza; in certi casi, addirittura, denunciare metterebbe (come, purtroppo, è spesso accaduto) a rischio la sopravvivenza della vittima.

Se si considera poi la violenza, in senso lato, come mancanza di rispetto, abuso, negligenza, fino a includere l’aggressione fisica, allora il binomio “vecchiaia-violenza” sembra quasi inevitabile.

È, infatti, automatico pensare all’anziano come fragile, debole, vulnerabile per il solo fatto di essere tale. In realtà tale binomio non ha valore scientifico, essendo invece la “terza età” considerata, in ambito psicologico, una delle fasi di sviluppo dell’individuo che certamente comporta dei cambiamenti complessi, ma non necessariamente delle involuzioni.

La “terza età”: fase di sviluppo della vita

Lo sviluppo umano, in ogni sua fase, è il risultato dell’interazione circolare tra l’individuo con il bagaglio delle sue risorse, oltre le sue difficoltà e le sfide che l’ambiente gli propone (Walsh, 1995).

Anche l’età senile, quindi, va intesa come una fase che implica cambiamenti, trasformazioni, “compiti di sviluppo” certamente complessi, ma che non esitano necessariamente in un degrado della persona (Calabrese, 2010; Walsh, 1995). Quali sono i “compiti di sviluppo” con cui gli anziani si devono confrontare?

Innanzitutto, i progressivi cambiamenti fisiologici, quali per es. diminuzioni delle funzioni visive ed uditive, riduzione della mobilità, ecc. Generalmente, infatti, nell’anziano si assiste ad un graduale rallentamento sia psicosensoriale sia motorio, il quale si riverbera sull’elaborazione cognitiva e nella produzione di risposte rivolte all’ambiente; pertanto l’anziano si affida, per rispondere alla diminuzione di alcune funzioni psicofisiche, alle conoscenze ed esperienze apprese nella vita. Anche l’attenzione può risultare limitata in questa fase dello sviluppo; il che comporta un’influenza negativa sulle prestazioni cognitive quali la percezione, la memoria e le elaborazioni che richiedono tali capacità (Calabrese, 2010).


[1] Dati indicati dalla Direzione Centrale della Polizia di Stato

[2] Over 65

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