L’ascolto dell’abuso, l’abuso dell’ascolto: il caso di Marta
L’obiettivo di questo contributo è quello di illustrare la metodologia operativa utilizzata in un caso di presunto abuso sessuale su una minore ascoltata nel corso dell’indagini preliminari, al fine di evidenziare tanto le buone prassi quanto i possibili errori che si possono commettere con una cattiva gestione di questa attività.
Alla fine del mese di gennaio del 2009 la Procura incarica la sottoscritta di ascoltare Marta, una bambina di 7 anni coinvolta in un procedimento penale per presunti abusi sessuali a suo danno agiti da un conoscente della madre (ex art. 609 quater c.p.). Nella stessa sede il Pubblico Ministero fornisce, per il tramite della sua segreteria, il fascicolo in oggetto e invita la consulente ad accordarsi con l’ufficio di Polizia Giudiziaria competente per l’espletamento dell’incarico. Dopo aver verificato nel fascicolo le informazioni necessarie per il contatto, la consulente si accorda con l’ufficiale competente al fine di condividere la pianificazione dell’ascolto.
Le domande che in questa primissima fase è necessario porsi hanno a che fare con il collocamento della bambina (“dove” e “con chi” vive ora la bambina) e se la persona con cui vive (in questo caso la mamma) può essere coinvolta nell’organizzazione dell’ascolto (e quindi contattata e informata). Potrebbe infatti capitare che per precise ragioni investigative, tipiche ad esempio in alcune ipotesi delittuose di tipo intra-familiare, che non possa essere informato uno o entrambi i genitori (poiché coinvolti loro stessi nel procedimento in qualità di indagati) ponendo un serio problema in termini di raggiungibilità delle persona minorenne da ascoltare (ad esempio nel caso in cui la bambina o il bambino fosse collocata presso l’abitazione con gli stessi). In questo caso non sussistono limitazioni poiché dagli atti giudiziari emerge che Sonia, la mamma di Marta ha sporto denuncia nei confronti del presunto abusante e che la stessa è attualmente collocata presso una parente insieme alla figlia. A questo punto, sulla base degli accordi presi con la procura, ci si accorda con l’Ufficio di P.G. competente sul setting dell’ascolto (l’insieme di aspetti che riguardano la sede, i tempi e le modalità che concernono l’attività in oggetto). Coerentemente con l’intento di proteggere la bambina da qualunque azione possa nuocerle in termini di stress emozionale o porla in una situazione potenzialmente traumatica, si propone quindi all’operatore delle forze dell’ordine di assumere le dichiarazioni di Marta presso lo Spazio Neutro di una struttura privata, un luogo “terzo” rispetto ai luoghi delle istituzioni giudiziarie che ha l’obiettivo generale di tutelare bambini, bambine e adolescenti coinvolti nell’ambito di procedimenti giudiziari in qualità di presunte vittime e/o testimoni e le loro famiglie attraverso l’utilizzo di spazi, strumenti e procedure idonee.
Si tratta infatti di uno spazio organizzato su tre stanze: una adibita all’accoglienza dei familiari dove possibile anche collocarli durante l’ascolto e due stanze collegate tra loro per il tramite di un vetro unidirezionale, una telecamera e un impianto citofonico. In una delle due stanze, sarà presente la bambina con la consulente, mentre nell’altra l’Ufficiale di P.G. deputato ad assistere alle indagini. Nella stanza dell’ascolto sono presenti alcuni strumenti di ausilio quali fogli, matite colorate e pennarelli. Sugli scaffali sono anche presenti dei libri adatti a diverse fasce di età e dei puzzle. Questi oggetti potrebbero essere usati come strumenti di ausilio allo scopo di facilitare la comunicazione. Strumenti di “mediazione” come carta e matita possono essere di supporto nel caso ad esempio di bambini/e piccoli/e o poco comunicativi e reticenti. Altri strumenti come ad esempio le bambole anatomiche, vengono sottoposti a critica da rilevante letteratura specialistica. Va in tal senso tenuto in considerazione che un utilizzo scorretto, ad esempio se abbinato a domande inducenti e suggestive, può fuorviare pesantemente il racconto della persona minorenne contaminando la narrazione. Ciò detto, coerentemente con la buona pratica e le evidenze riscontrate in letteratura, si ritiene opportuno evitare l’utilizzo di bambole anatomiche durante la raccolta delle dichiarazioni delle persone minorenni. Si ritiene, altresì, opportuno evitare l’utilizzo di bambole anatomiche e di altri strumenti ludico-simbolici atti a riprodurre o a esprimere attraverso metafore o azioni, scene di presunto abuso. Tale scelta metodologica è in linea con gli obiettivi del colloquio (non valutativo bensì mirato alla raccolta di informazioni) e con il fatto che diversi studi dimostrano come sia comune anche tra bambini non abusati mimare comportamenti sessuali con le bambole anatomiche. (Caffo, Camerini, Florit, 2004; Dèttore, 2008; Ministry of Justice, 2011; Mazzoni, Rodriguez, 2012).
Tornando al caso di Marta, durante il primo accordo con coloro che guidano le indagini è importante anche definire i tempi dell’ascolto e le modalità di contatto. Se le indagini non comportano di operare seguendo una tempistica in emergenza (aspetto definito inizialmente in fase di contatto da parte della procura) è possibile concordare due-tre possibili momenti con l’operatore in modo tale da venire incontro alle esigenze della bambina e della persona che dovrà accompagnarla nel caso di eventuali difficoltà. A questo punto la consulente, in accordo con l’operatore, contatta direttamente Sonia per presentarsi, informarla della necessità da parte della procura di ascoltare sua figlia e accordare i tempi. Il giorno seguente, si presenta presso il luogo in cui avviene l’ascolto l’operatore delle forze dell’ordine affiancato da una collega. Dopo circa quindici minuti, come concordato, arriverà Marta accompagnata dalla mamma. Lo scarto di tempo tra un appuntamento e all’altro è previsto al fine di avere il tempo di accordarsi con la consulente, prima dell’inizio dell’ascolto. Nello specifico, si concorda non solo che la conduzione dell’ascolto è affidata alla consulente, ma anche che eventuali approfondimenti che si ritengano necessari da parte della P.G. sulle dichiarazioni in oggetto potranno essere richieste in una fase finale del colloquio, per il tramite del citofono e su richiesta esplicita della Consulente.
Questa fase di pianificazione e accordo iniziale è fondamentale per costruire i presupposti per una buona collaborazione interprofessionale nel rispetto della duplice istanza di garantire il procedimento penale nella delicata fase iniziale delle indagini investigative (il cui obiettivo è la raccolta delle fonti di prova, di cui fa parte appunto la raccolta delle dichiarazioni della bambina) e di garantire il benessere e la tranquillità della persona minorenne da ascoltare, oltre che dei suoi familiari. Una cattiva o disattenta gestione di questa fase può comportare alcuni rischi. Un mancato accordo con l’autorità inquirente e con la polizia giudiziaria, nel pieno rispetto e riconoscimento degli specifici mandati, può compromettere almeno in parte l’efficacia dell’azione in termini di utilizzo di procedure condivise. Pensiamo ad esempio al caso in cui il nostro referente istituzionale presente all’ascolto (nel nostro caso l’operatore delle forze dell’ordine) decidesse, non concordandolo prima, di entrare nella stanza e di porre direttamente le domande alla bambina. L’esperta o l’esperto nominato deve porsi come garante della tutela delle persone minorenni e, insieme alle forze dell’ordine (e la magistratura), garante dell’attività in essere in termini di procedure adottate ovvero dell’insieme degli strumenti utilizzati al fine di massimizzare le informazioni da raccogliere e ridurre al minimo il possibile disagio per i bambini oltre che la contaminazione del ricordo. In tal senso, De Leo e Patrizi (2002, p. 89) sottolineano la «duplice esigenza che il percorso di tutela deve soddisfare: da un lato va garantita la finalità primaria del processo penale, che mira a stabilire la verità fattuale; dall’altro, è necessario che la raccolta di informazioni si svolga con particolare attenzione, coerentemente con l’intento di proteggere il minore, presumibilmente già provato, da qualunque azione possa nuocergli in termini di stress emozionale, anche se finalizzata alla tutela della sua persona». Molti sono gli studi che evidenziano i numerosi rischi di “vittimizzazione secondaria” derivante dagli interventi successivi al (presunto) abuso per la vittima minorenne, come, ad esempio, l’essere esaminata da troppe persone, in luoghi non appropriati e attraverso modalità invasive o non coerenti con le sue caratteristiche personali ed evolutive e il suo stato psicologico al momento dell’ascolto. Nell’affrontare il problema delle vittime, a qualunque livello e in qualunque fase, è infatti indispensabile «considerare tre livelli basilari di vulnerabilità della vittima, per come è possibile rilevarli e analizzarli separatamente e soprattutto per come interagiscono e si combinano fra loro:
- A. la vulnerabilità riscontrabile prima che il reato si verifichi, ossia come rischio differenziale di vittimizzazione, in relazione ai fattori come età, sesso, marginalità, condizioni psicologiche, familiari, economiche, sociali, etc.
- la vulnerabilità come conseguenza di un reato, ossia derivante dall’impatto di uno specifico reato (contro la persona, la proprietà, ecc.) sulle specifiche caratteristiche di una persona, in una specifica situazione.
- la vulnerabilità emergente nell’impatto tra una vittima di reato (dove già la vulnerabilità a. – interagisce e “si moltiplica” con la vulnerabilità b. -) con le regole e la modalità di funzionamento tipiche della giustizia penale, rendendo possibile l’emergere di nuovi rischi di amplificazione e nuclearizzazione della vulnerabilità della vittima» (De Leo, 2006, p. 21).
Tornando al caso specifico oggetto del contributo, dopo aver concordato la modulazione dell’ascolto (fasi e ritmo) con l’Ufficiale di P.G. si accoglie l’arrivo di Marta con la mamma. Previo accordo con la procura (che deve autorizzare il coinvolgimento di terzi), per questa attività viene coinvolta una collega/collaboratrice della consulente la quale si occupa di accompagnare la bambina nella stanza in cui verrà effettuato l’ascolto. Questa azione serve per far familiarizzare la bambina con l’ambiente, metterla a suo agio in un contesto di gioco. La collega che ha conosciuto Marta ha concordato prima con la consulente le eventuali tematiche neutre (ad esempio relativamente all’età e al giorno del compleanno o ad eventuali attività extrascolastiche frequentate) da introdurre con la bambina. Questa ulteriore pianificazione è necessaria al fine non solo di evitare che la bambina possa ritrovarsi a parlare delle stesse cose con due persone diverse ma anche e soprattutto per evitare che la collaboratrice possa in qualche modo inficiare la modulazione del colloquio introducendo dei temi “caldi”. Sarebbe ad esempio un errore in questo caso, durante i pochi minuti che precedono l’ascolto, aprire con la bambina un discorso su dove vive o sulla scuola o sulla sua rete amicale, argomenti che come vedremo sono estremamente collegati ai fatti in oggetto. Parallelamente la consulente accoglie la Sig.ra Sonia, al fine di presentarsi e illustrarle brevemente la finalità e sommariamente le modalità che verranno utilizzate. Questo breve colloquio con il familiare è funzionale per due ragioni: 1) permette di raccogliere delle informazioni specifiche utili a modulare il colloquio con la bambina; 2) permette di fornire al genitore eventuali chiarimenti o informazioni utili a tranquillizzarlo, così da poter a sua volta porsi nel modo più sereno possibile con la figlia. Le informazioni che si ritiene fondamentale acquisire prima di effettuare un ascolto in sede penale sono quelle relative al presunto abusante, alla relazione che sussiste tra presunta vittima e presunto abusante, alla tipologia di fatto/reato e se si tratta di una situazione episodica o cronica, ai tempi in cui si sarebbe verificata e soprattutto ai tempi e alle modalità in cui sarebbe emersa. Se ad esempio, come in questo caso, la persona da ascoltare ha raccontato direttamente al genitore o a qualcun altro i fatti oggetto di indagine, è fondamentale sapere esattamente cosa è stato detto, quando e in quale occasione, così da utilizzarlo (seppur con le dovute accortezze) in sede di ascolto nel caso in cui non emergesse spontaneamente dal racconto della bambina.
Relativamente alla storia personale e giudiziaria si evince che Marta oggi vive con Sonia, la mamma, presso una zia. Prima della denuncia mamma e figlia vivevano da circa un anno in un’abitazione presso la quale Sonia lavorava come badante. Il lavoro consisteva nell’accudire una signora anziana non autosufficiente; in cambio poteva contare su vitto e alloggio per entrambe. Nella stessa casa viveva il marito di quest’ultima, il Sig. Luigi, con cui Sonia intreccia una relazione sentimentale. La situazione oggetto di denuncia risalirebbe a circa due settimane prima e ha avvio su segnalazione d’ufficio da parte della scuola della bambina. Una sera, la dirigente della Scuola riceve la telefonata della mamma di una bambina compagna di classe di Marta. Poco prima la bambina avrebbe confidato alla mamma che la mattina, a scuola, Marta le avrebbe detto che sarebbe stata oggetto di toccamenti da un signore con cui vive insieme alla mamma. Allarmata, decide di chiamare la dirigente, la quale, all’indomani dalla telefonata, in accordo con il maestro della bambina decide di riferire con relazione scritta segnalazione alle autorità competenti di quanto aveva appreso al fine di dare loro la possibilità di svolgere le necessarie indagini. Parallelamente Sonia, lo stesso giorno si recava presso il più vicino ufficio di Polizia per sporgere denuncia poiché, la sera prima, la figlia le avrebbe fatto lo stesso racconto che aveva fatto la mattina alla compagna di classe. In questa fase, se i protagonisti di questa storia avessero fatto delle scelte diverse, potevano essere commessi alcuni errori. Poteva ad esempio capitare che la dirigente ritenesse opportuno parlare direttamente o per il tramite di qualcun altro (ad esempio una maestra o una psicologa della scuola) con la bambina: questo tipo di ascolto va evitato perché assume in sé troppi rischi. Non sarebbe audiovideoregistrato, condotto da personale esperto e, soprattutto, non sarebbe condotto secondo una metodologicamente corretta, rischiando inoltre di aumentare la contaminazione del ricordo. Un’altra cosa che poteva capitare era che la coordinatrice contattasse la mamma: nei casi di ipotesi delittuose all’interno delle mura domestiche, non sapendo il livello di coinvolgimento del/dei genitori sarebbe preferibile per tutelare il processo investigativo evitare di contattare la famiglia. Mentre la coordinatrice invia la relazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario competente, la mamma di Marta (all’indomani dal racconto della figlia) decide di trasferirsi da una sorella dove vi porta la bambina, subito dopo aver accompagnato Marta, si reca presso gli uffici preposti per sporgere denuncia contro il Sig. Luigi. In merito ai fatti denunciati, Sonia riferisce che durante le feste è stata costretta ad allontanarsi da casa per recarsi nella sua cittadina natale per accudire la madre gravemente malata; per risparmiare alla figlia tale spiacevole situazione, avrebbe deciso di lasciarla per tre giorni con Luigi e Maria, avendo piena fiducia in entrambi. La signora riferisce anche che in altre occasioni sarebbe capitato di lasciare per brevi periodi la bambina alla coppia a causa della necessità di recarsi in un’altra città per accudire la madre morente. A distanza di qualche giorno dal rientro da quest’ultimo viaggio accade però che la figlia, una mattina, le si avvicina confidandole un fatto che sarebbe avvenuto in quel periodo. Le avrebbe detto che il Sig. Luigi una sera avrebbe provato a spogliarla e ad infilarle con insistenza le mani nel pigiama. Su domanda specifica, la bambina le avrebbe detto che questo fatto sarebbe successo in un’unica occasione. Sonia ipotizza che lo abbia rivelato per il timore che possa reiterarsi successivamente in prossimità di un suo allontanamento (programmato per il mese di febbraio) e aggiunge che la figlia le ha spiegato di non aver accompagnato il Sig. Luigi per prenderla perché aveva paura di rimanere sola con lui. Presso gli stessi uffici, nella stessa giornata, vengono assunte le sommarie informazioni anche della coordinatrice e della maestra della bambina. A seguire, l’ufficio trasmette un’informativa di reato ai sensi dell’art. 347 del c.p.p. alla Procura ordinaria e, per conoscenza, alla Procura minorile contro il Sig. Luigi, rispetto alla violazione dell’art. 609 quater c.p.
Tornando al momento dell’ascolto, dopo la breve fase di accoglienza degli adulti, la consulente ascolta Marta, mentre la collaboratrice si reca nella stanza da cui è possibile osservare il colloquio. La presenza della collega dietro al vetro è utile per diversi motivi: a) è un utile strumento didattico-esperienziale per la collega; b) costituisce una risorsa nel supportare l’Ufficiale di PG (e, laddove presente, il PM) ad esempio nel momento in cui si rendesse necessario intervenire tramite citofono per richiedere eventuali approfondimenti o domande aggiuntive; c) permette un’osservazione esterna dell’ascolto così da fornire alla consulente un feedback e restituire un eventuale rimando in ordine ad eventuali errori commessi durante l’ascolto.
La specializzazione di chi effettua questa attività è un aspetto molto delicato che impone il possesso di alcuni requisiti formativi ed esperienziali fondamentali oltre che la conoscenza e comprensione approfondita delle finalità e della metodologia da utilizzare. Non si tratta di un intervento il cui fine è valutativo né terapeutico. Si tratta invece di un’attività specialistica la cui valenza clinico-criminologica ne riassume efficacemente i confini, così come le potenzialità. Un “buon ascolto” deve infatti poter garantire la protezione psicologica necessaria al bambino/adolescente (valenza “clinica”) e, parallelamente, rispondere all’esigenza investigativa di acquisire delle fonti di prova utili alla ricostruzione del fatto e all’eventuale individuazione del colpevole (valenza “criminologica”). Un colloquio ben condotto permette anche di avere una funzione psicologicamente “trasformativa” ovvero di rendere possibile che i “vincoli” dell’impatto con la giustizia si trasformino in occasioni di riduzione della vulnerabilità e di sviluppo di fattori protettivi come la resiliency e l’empowerment. Affinché tutti questi obiettivi vengano raggiunti, è necessario che venga adottata una metodologia scientificamente fondata e una competenza professionale specifica «centrata su alcuni fondamentali principi teorici e metodologici che orientano la scelta degli strumenti di indagine, le modalità operative, le finalità stesse dell’intervento» (De Leo, Patrizi, 2002, p. 104). La duplice finalità dell’ascolto di massimizzare le informazioni da raccogliere minimizzando le possibili fonti di stress al bambino e le possibili contaminazioni nel recupero del ricordo impone pertanto a chi conduce il colloquio di possedere non solo delle conoscenze approfondite in ordine alla psicologia giudiziaria, alla psicologia della testimonianza e alla psicologia dell’età evolutiva ma anche di avere una preparazione consolidata nell’utilizzo di specifici protocolli di intervista investigativa. Questi protocolli di intervista sono in grado di ridurre le fonti di errore e le contaminazioni nel recupero del ricordo. Variano in relazione all’età, alle competenze specifiche delle persone da ascoltare, al maggiore o minore grado di strutturazione. Ad esempio, se l’intervista cognitiva è più specifica per adulti disposti a parlare e per bambini di almeno otto anni di età, di contro, l’Intervista strutturata e la Step wise interview risultano maggiormente indicate con bambini di età inferiore e prescolare (Caso-Vrij, 2009). Questi protocolli si articolano in diverse fasi orientate alla creazione di un clima di familiarizzazione funzionale a far sentire il bambino, la bambina o l’adolescente a proprio agio e, nel contempo, anche a favorire una narrazione libera dei fatti presumibilmente accaduti, utilizzando un linguaggio consono all’età e alle sue competenze (psicologiche, sociali e relazionali).
L’ascolto di Marta dura circa cinquanta minuti e viene articolato secondo precise fasi. Il protocollo utilizzato in questa situazione è quello della Step wise interview (Yuille et al., 1993). Lo stesso modula il colloquio e lo organizza sulla base di una serie di “passi” o “gradini”. La procedura ascolto si articola in sei fasi ben definite che vanno da un primo momento di costruzione del rapporto con la bambina in cui vengono introdotti degli argomenti neutri al fine di permetterle di rilassarsi e ambientarsi fino alla conclusione del colloquio e al congedo (in cui si ringrazia il bambino dello sforzo fatto e si risponde ad eventuali domande di chiarimento che la bambina è invitata a porre all’attenzione dell’esperto). L’iniziale fase di familiarizzazione consente anche a chi effettua l’ascolto di osservare la persona minorenne e di rendersi conto delle sue caratteristiche cognitive, linguistiche e relazionali, così da poter modulare la conduzione del colloquio in base ad esse. Tra la prima e l’ultima fase, il protocollo prevede l’introduzione dell’argomento di interesse lasciando lo spazio alla libera narrazione dell’evento e, solo successivamente, prevede di effettuare delle domande mirate e gradualmente sempre più specifiche. Questa prassi deve anche prevedere l’utilizzo di domande aperte, non inducenti e non suggestive, seguendo una metodologia che coniuga le conoscenze attuali sullo sviluppo dell’età evolutiva con le tecniche di memoria che possono facilitare il ricordo di particolari episodi di un evento abusivo e potenzialmente traumatico. Durante l’ascolto, viene spiegato alla bambina, con le dovute accortezze linguistiche proprie di una bambina della sua età, il setting – inteso come l’insieme di aspetti e caratteristiche che definiscono il dove (cioè il luogo in cui avviene l’ascolto e la strumentazione utilizzata come il vetro unidirezionale, il citofono, il microfono e la telecamera, etc.), con chi (“chi siamo e chi c’è dall’altra parte del vetro”: ad esempio, rispetto al “chi siamo” a Marta e in generale a bambini così piccoli ci si presenta come “una persona che aiuta i bambini e lo ascolta se hanno qualcosa da raccontare”) e perché (definisce la cornice di senso dell’ascolto) ci si trova in quel contesto (nel caso di bambini che hanno raccontato qualcosa ad un genitore, come nel caso di Marta, si può spiegare il motivo del colloquio dicendo che la mamma ci ha raccontato una cosa che l’ha preoccupata e si chiede alla bambina di raccontarci cosa è successo).
A partire dalla norma n. 66 del 1996, molti sono stati i dibattiti, le novità normative e le linee di indirizzo metodologico condivise a livello scientifico da esponenti della dottrina giuridica, psicologico-giuridica e psichiatrico-forense per rinforzare la disciplina dei procedimenti concernenti presunte situazioni di sfruttamento e abuso sessuale nei confronti di bambini, bambine o adolescenti che costituisce da tempo uno dei punti dolenti del nostro processo penale poiché l’impianto probatorio di questi procedimenti si fonda spesso sulle sole dichiarazioni delle presunte vittime e/o testimoni minorenni. La recente legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote (Legge n. 172/2012) tenta di intervenire in questa direzione rendendo obbligatoria da parte delle procure della repubblica la nomina di esperti per supportare durante le indagini l’ascolto delle prime dichiarazioni di bambini e adolescenti: «1-ter. Nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del codice penale, la polizia giudiziaria, quando deve assumere sommarie informazioni da persone minori, si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero» (art. 351 comma 1-ter c.p.p.). Prima che venisse ratificata in Italia la Convenzione siglata a Lanzarote nel 2007 le cose erano molto diverse, non solo perché lo stesso coinvolgimento dei tecnici era facoltativo (e non obbligatorio come oggi) ma anche e soprattutto perché era lasciato alla discrezionalità della polizia giudiziaria che, nel caso avesse valutato opportuno il suindicato coinvolgimento, avrebbe provveduto direttamente alla nomina dell’ausiliario (art. 348 comma 4 c.p.p.). Detto ciò, molte sono ancora le modifiche auspicabili a livello normativo e nella prassi giudiziaria per assicurare il rispetto della duplice esigenza di tutela per le vittime e per il procedimento. Innanzitutto, sarebbe necessario intervenire affinché venisse garantito fin dalla raccolta delle prime dichiarazioni di bambini e adolescenti l’utilizzo di procedure adeguate e metodologie riconosciute. Il legislatore, rendendo obbligatoria la presenza di una figura esperta nella raccolta delle sommarie informazioni di vittime minorenni non interviene, però, su come debbano essere raccolte queste fonti di prova, né interviene nella considerazione di una eventuale nullità di queste dichiarazioni nel caso si riscontrassero degli errori (come ad esempio l’utilizzo di domande suggestive o inducenti).
Nella prassi giudiziaria, le procedure d’ascolto evidenziate vengono utilizzate nell’ascolto di persone minorenni sia in sede di esame testimoniale, sia in sede di raccolta delle fonti di prova, fin da prima dell’introduzione dell’art. 351 c.p.p., malgrado non vi fossero precise indicazioni normative, così come si riscontra in alcune esperienze virtuose. Tra queste esperienze di citano quella del Servizio di Psicologia Giuridica del Centro C.E.A.S che tra il mese giugno 2010 e il mesi di dicembre 2012 ha raccolto le sommarie informazioni di circa 80 persone minorenni collaborando con le diverse procure e forze dell’ordine presenti nel territorio della Provincia di Roma (Patrizi et al., 2012). Ancora precedente, l’importante esperienza attiva per un decennio dal 1999 al 2009 dello Spazio Neutro del Centro G. Fregosi – Tetto Azzurro della Provincia di Roma a cui si deve non solo la gestione di molti ascolti ma anche e soprattutto la costruzione della metodologia in oggetto (De Leo, Scali, Caso, 2005).
Durante l’ascolto, Marta racconta di un unico episodio avvenuto la sera di Capodanno presso l’abitazione nella quale viveva. La bambina riferisce di essersi recata nella stanza del Sig. Luigi per vedere i cartoni animati, di essersi addormentata sul letto matrimoniale. La bambina riferisce che si sarebbe poi svegliata quando si è sentita abbracciare dal Sig. Luigi che, senza vestiti, avrebbe tentato di abbassarle i pantaloni del pigiamino e di alzarle la maglietta. La bambina racconta diversi dettagli del fatto oggetto di indagine relativi al contesto e alla dinamica. Il Sig. Luigi avrebbe infilato la mano nelle mutandine della bambina pur non riuscendo ad andare oltre perché la bambina sarebbe riuscita a scappare lasciandosi cadere dal letto e scappando via. Riferisce di essere andata nella sua stanza e di essersi messa a dormire. Racconta poi di aver incontrato l’indomani mattina il Sig. Luigi che mentre le preparava la colazione le intimava con toni burberi di non raccontare alla mamma quanto successo. Poi la bambina va a scuola e accade quanto anticipato. Il colloquio si chiude ringraziando la bambina, lasciando gli ultimi minuti ad un argomento neutro come ad esempio il programma di gioco della giornata. Un errore che potrebbe connotare un cattivo ascolto è di non prestare attenzione alla chiusura che costituisce un momento fondamentale per restituire serenità e riportare in equilibrio il benessere del bambino o dell’adolescente. Poi la consulente accompagna Marta dalla mamma. In attesa che l’Ufficiale di P.G. chiuda il verbale di sommarie informazioni e le faccia firmare alla Sig.ra Sonia, Marta resta con la mamma in un’altra stanza a disegnare. A questo punto l’attività si chiude, si congedano prima Marta con la mamma e poi gli operatori delle forze dell’ordine. A questi ultimi, si consegna il DVD con l’avvenuto ascolto.
La legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote ha proseguito nel cammino iniziato dalla legge n. 66 del 1996 e dalle successive integrazioni che hanno dato vita all’introduzione di metodologie d’ascolto sempre più sofisticate e coerenti anche con i principi ispiratori e le strategie suggerite dalla letteratura scientifica, dalla normativa e dalle raccomandazioni internazionali in materia di testimonianza di vittime e testimoni vulnerabili. Tuttavia, molti sono ancora i rischi sia in ordine alla protezione delle persone offese in età evolutiva sia in ordine allo stesso processo investigativo non tutelato rispetto alle possibili contaminazioni derivanti da un’assunzione errata di queste dichiarazioni. Sarebbe opportuno che le indicazioni metodologiche precedentemente descritte per la conduzione di un “buon ascolto” venissero rinforzate e regolamentate a livello normativo. Parallelamente, gli esperti e le esperte nominate dal p.m. dovrebbero dotarsi della formazione e della competenza professionale necessaria per la gestione di questa attività specialistica, nella piena consapevolezza delle peculiari finalità (ascoltare e non valutare) e responsabilità (proteggere il processo investigativo e, al contempo, prestare attenzione alla tutela psicologica del bambino) che caratterizzano questo intervento.
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