La vittimizzazione secondaria
La redazione ed il deposito dell’atto di denuncia querela con l’ausilio dell’avvocato è il primo importante passo cui potranno/dovranno legittimamente seguire una serie di ulteriori atti propulsivi e di collaborazione con la Pubblica Accusa, orientati al buon esito dell’atto di denuncia, nel pieno e legittimo esercizio del suo potere di rappresentanza. Infatti, come già in precedenza illustrato[10], è proprio durante le indagini preliminari che il nostro ordinamento predispone incisivi strumenti a favore della persona offesa: tali strumenti devono essere sfruttati al meglio dalla vittima di reato per assicurare un suo massimo contributo mirante a garantire un’efficiente tutela delle sue ragioni e della sua posizione. Per tale motivo l’intervento di un professionista permetterà alla vittima di una condotta antigiuridica di seguire l’evoluzione delle indagini in modo da stimolare e di contrastare la lentezza o farraginosità della nostra giustizia con molteplici azioni: chiedendo, ad esempio, l’avocazione, piuttosto che di essere informato dell’eventuale richiesta di prosecuzione delle stesse oltre i termini di legge; di opporsi all’eventuale richiesta di archiviazione, di avanzare richieste e memorie, di prendere parte ad atti di indagine non ripetibili, di svolgere indagini investigative difensive, e di ricevere la notifica di ogni atto a lui diretto presso il nominato difensore.
Precisiamo, per dovere di cronaca, che si tratta di attività tutte che, in teoria, potrebbero essere compiute dalla stessa persona offesa dal reato, ma nella pratica, si concretizzano di rado. Molto spesso succede infatti che la presentazione della denuncia-querela sia ritenuta sufficiente a ricevere la giusta tutela garantita dall’ ordinamento. La vittima, pertanto, rimane dormiente ed inattesa di giustizia. Così non è: lo stesso decorrere del tempo volgerà inesorabilmente verso la prescrizione di qualunque tipo di reato, anche quello più grave come può essere un non raro abuso sessuale. A detrimenti, quindi, della tutela della vittima stessa, priva, in extremis, di qualsivoglia strumento esperibile a suo vantaggio.
In tali, non rari frangenti, gli strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento, per poter esplicare appieno la loro efficacia, richiedono cognizioni ed abilità tecniche che solo gli operatori del diritto possiedono.
Innanzitutto l’avvocato: decorso un congruo lasso di tempo dal deposito della denuncia-querela senza che alcuna comunicazione gli sia pervenuta in merito allo stato e/o agli esiti del procedimento, avrà diritto-onere di formulare una apposita istanza con la quale individuare il numero del fascicolo e il magistrato titolare ex art. 335 c.p.p. Seguiranno ulteriori, quanto indispensabili istanze, per essere informati sullo stato delle indagini e sulle eventuali determinazioni eventualmente assunte dall’Autorità procedente; sollecitandone, in subordine, la definizione con formulazione di un capo d’accusa nei confronti delle parti querelate.
La legge prevede termini stringenti entro i quali la Pubblica Accusa deve esercitare l’azione penale, che è normalmente di sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 405 c.p.p.). Tale regola generale subisce delle eccezioni tipicamente previste dalla legge. Una di queste è rappresentata dal caso in cui il pubblico ministero, prima della scadenza, richieda al giudice, per giusta causa, la proroga del termine. Richiesta da notificarsi alla persona offesa dal reato che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata (art. 406 c.p.p.).
Ne deriva che in caso in inerzia – se l’azione penale non è stata esercitata dal PM, né è stata data comunicazione, alla persona offesa, di eventuali richieste di proroga delle indagini- l’avvocato difensore può legittimamente formulare, ai sensi e agli effetti degli artt. 412 e 413 c.p.p. una richiesta di avocazione delle indagini. Importantissimo strumento previsto dall’ordinamento giuridico e consistente nel potere riconosciuto al pubblico ministero di grado superiore di far proprie le attribuzioni normalmente demandate all’ufficio del pubblico ministero di grado inferiore, quando quest’ultimo non eserciti l’azione penale o non richieda l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice.
Inoltre, per il caso in cui il pubblico ministero presenti al gip richiesta di archiviazione, l’avviso è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione. In tale avviso deve essere precisato che, nel termine di dieci giorni, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.
Fondamentale è il ruolo svolto in tale fase dal difensore il quale, attraverso il preventivo studio del fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti in fase di indagini preliminari, può redigere l’atto di opposizione, in cui porre in risalto le lacune investigative, gli elementi legittimanti la sua richiesta di prosecuzione delle indagini preliminari, indicando al P.M. le ulteriori indagini da eseguire.
In pratica il difensore con l’atto di opposizione contesta le valutazioni del P.M. (che non ritiene di celebrare un processo a carico dell’indagato) indicando al G.I.P. (chiamato a decidere sulla richiesta del P.M.) le indagini necessarie che non sono state svolte e gli elementi che da tali atti investigativi si potranno desumere per appurare la responsabilità penale dell’indagato.
Le indagini suppletive potranno consistere tanto nell’audizione della persona offesa, nell’acquisizione della documentazione allegata alla querela e sua integrazione (evidentemente non tenuta in debito conto), quanto nell’acquisizione di eventuale documentazione ulteriore, specificatamente indicata, o nell’indicazione di ogni e qualunque altra fonte di prova (perizie, testimonianze, ecc.). La segnalazione di indagini suppletive e di elementi di prova è una condizione di legge per la validità dell’opposizione alla richiesta di archiviazione la quale, se priva di tali elementi sarà dichiarata dal gip inammissibile. Se l’opposizione alla richiesta di archiviazione è ammissibile, il gip fisserà un’udienza ove le parti discuteranno la fattispecie in contraddittorio.
Tra i poteri dell’offeso la funzione di stimolo e di cooperazione nella elaborazione della prova si concretizza, altresì, nella previsione di cui all’art. 327 bis c.p.p. il quale prevede il diritto della persona offesa, e per essa al suo difensore, di svolgere investigazioni difensive, che potranno consistere nell’assunzione di dichiarazioni da persone informate sui fatti, nella richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione, nell’accesso ai luoghi di commissione del fatto alla fine di documentarne lo stato o effettuare rilievi, nel compimento degli atti/accertamenti tecnici non ripetibili nel rispetto delle formalità e degli obblighi previsti.
Nella fase successiva alle indagini preliminari, l’apporto del buon difensore diviene decisivo per gli interessi della persona offesa da reato. Innanzitutto, affinché il danneggiato “entri” nel processo penale a pieno titolo con tutte le facoltà connesse è necessario che lo stesso, per il tramite dell’avvocato nominato, rediga e depositi l’atto di costituzione di parte civile[11] nel pieno rispetto di precisi e scrupolosi canoni, pena la inammissibilità della stessa. La redazione ed il deposito di tale atto permette, inoltre, alla persona offesa di citare testimoni, contro-esaminare quelli dell’imputato, presentare memorie e richieste al Giudice oltre che gli esiti di eventuali investigazioni difensive. In sostanza, per il tramite del difensore, la persona offesa, nel corso del dibattimento, muta in una sorta di ‘accusa privata’ che affianca quella del P.M. ed il cui operato (la richiesta di un risarcimento, la citazione di testi, la presentazione di documentazione, la richiesta di sequestro ed altro ancora) può influenzare concretamente le sorti del processo penale.
Conclusioni
A conclusione di questa breve disamina sul fenomeno della post-crime victimization e, in particolare, sul ruolo del difensore della persona offesa da reato quale strumento prioritario, ma non esclusivo, per ovviare a tale fenomeno di seconda vittimizzazione, si può affermare quanto siano rilevanti tanto i soggetti istituzionali quanto quelli “sociali” di supporto e sostegno tecnico alla vittima di reato, In particolare abbiamo potuto verificare la centralità del ruolo del difensore come soggetto atto, per legge, a supportare la vittima ed ovviare una sua seconda e ben più dolorosa vittimizzazione. Quindi primo e centrale obiettivo del difensore è quello di assicurare la piena collaborazione alla Pubblica Accusa ed al Giudice del dibattimento affinché il colpevole del reato sia giustamente e “tempestivamente” condannato alla pena di giustizia, scongiurando in tal modo il verificarsi di una vittimizzazione secondaria.
In difetto di una seria, preparata ed attenta difesa tecnica, mancherebbe l’indefettibile presupposto di dialettica e confronto delle parti in un impianto accusatorio garante di una corretta applicazione della legge, nonché di una imprescindibile organizzazione e proficua iniziativa della parte privata affiancata a quella del P.M. affinché gli interessi della persona offesa trovino piena tutela nel procedimento penale.
A questo fine, sin dalle prime battute del procedimento penale, il compito del difensore rispetto al P.M. è fondamentale nella ricerca della verità processuale, in quanto non sempre la Pubblica Accusa è in grado di far emergere in maniera compiuta il totale vissuto di chi è rimasto vittima di un reato. A tale fine il difensore potrà addurre direttamente al P. M. il frutto delle sue indagini investigative difensive. La seconda funzione è quella di predisporre una contrapposizione dialettica, allorquando la verità che il P. M. sta processualmente accertando non rispecchia integralmente la verità o non rispetta, interamente o in parte, gli interessi del proprio assistito.
Così facendo si assicura in favore e tutela della vittima un severissimo e penetrante controllo di legalità degli atti compiuti da chiunque nel procedimento penale, influendo direttamente o indirettamente sulla posizione del proprio assistito/vittima, e dunque evitando che il sistema giudiziario possa creare gravi ed ulteriori danni alla vittima del reato, tra cui l’inesorabile decorso del termine prescrizionale.
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Risoluzione del Parlamento Europeo, Indennizzo alle vittime dei reati violenti (12 settembre 1989).
[1] Indubbia è la sua origine: sicuramente latina, da victima, vìctuma, per gli antichi derivante da victùs, cibo offerto agli dei, o da vìncire, legare, perché si conduceva victa, legata al sacrificio. Una terza ipotesi riporta invece alla radice di vigère, essere robusto, essere forte, proprio perché la vittima era scelta tra i capi migliori, oppure animale grosso (Diz. Etimologico Treccani).
[2] Si pensi, ad esempio, alle conseguenze derivanti dalla gravità del fatto, piuttosto che dalle modalità della sua esecuzione, dalle caratteristiche del soggetto passivo ovvero dalle caratteristiche del reo.
[3] Vedi fonti del Parlamento Europeo, in bibliografia
[4] Gazzetta ufficiale n. 326 del 21/11/2001 (pag. 0002 – 0008).
[5] Vedi fonti del Parlamento Europeo, in bibliografia
[6] Il 22 settembre 1988, il Governo, ha approvato il testo del nuovo codice, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 24 ottobre 1988 ed è entrato in vigore il 24 ottobre 1989
[7] La definizione di persona offesa è più ampia rispetto a quella del codice previgente giacché vengono annoverati in essa pure i prossimi congiunti della persona deceduta in conseguenza del reato (art. 90, comma 3, c.p.p.) e vengono legittimati ad esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, tutti i diritti e facoltà spettanti all’offeso, previo consenso di quest’ultimo, gli enti esponenziali, a cui sia stata riconosciuta per legge la tutela degli interessi lesi dal reato (art. 91 c.p.p.)
[8] La parola avvocato deriva dal latino advocatus da advocare, chiamare a sé, chiamare in soccorso.
[9] Nella denuncia-querela il difensore non procede ad una qualificazione giuridica del fatto-reato ma la sua abilità consiste nel mettere in risalto gli elementi costitutivi di ogni singola fattispecie di ipotesi criminosa; per es. nel caso di truffa dovrà essere abile far emerger tutti gli elementi capaci di integrare la figura delittuosa che sono: 1) artifici e raggiri posti in essere dal reo; 2) induzione in errore del soggetto passivo con conseguente danno nella sua sfera patrimoniale; 3) conseguimento dell’ingiusto profitto da parte del soggetto attivo a discapito di quello passivo.
[10] Cfr pag. 4
[11] L’atto con il quale formalmente la persona offesa può chiedere un risarcimento all’imputato in caso di condanna.