La Speranza
«La speranza è il solo bene che è comune a tutti gli uomini, e anche coloro che non hanno più nulla la possiedono ancora». Così Talete, uno dei Sette savi[1] dell’antica Grecia, definiva la Speranza.
Ma è in Platone, più precisamente nelle Leggi[2], che abbiamo una prima definizione della Speranza quale sentimento in antitesi alla paura: dove la paura è attesa di cose negative, la speranza, viceversa, è attesa di accadimenti positivi. Una tensione, tutta umana, che da sempre si trova in bilico tra desiderio e paura.
Per Speranza si intende un «sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera[3]». Il desiderio quindi rappresenta la radice stessa della speranza, è il carburante che permette all’essere di progettare ed estendere i propri confini. Si spera, quindi, nella misura in cui si progetta, proprio perché l’esistenza non si accontenta solo del suo essere presente, ma ha bisogno di dare un senso al proprio futuro. L’essere umano per sua natura per esistere deve orientarsi e per farlo deve partire da un punto ‘già stato’. La radice stessa del verbo esistere rimanda all’atto stesso di «stare, fermarsi», difatti, eṡìstere deriva dal latino exsistĕre, composto da «ex=fuori» e «sistĕre=porsi, stare, fermarsi» nel senso proprio di ‘uscire, levarsi (dalla terra)’ e quindi ‘apparire, esistere[4]’.
L’esistere tuttavia non si veste solo di desiderio e speranza, insito in esso, come già esposto, troviamo anche la paura. Insidiosa, quanto perniciosa la paura getta un’ombra oscura verso il futuro. Allora il presente si fa attesa inqueta, composto solo di sensazioni di impotenza, di frustrazione, di eventi che sfuggono alla volontà di controllo, sospendendo, paralizzandola, la spinta verso una progettualità positiva della vita.
Oggi, soprattutto, le nuove generazioni sembrano avere difficoltà nel proiettarsi verso il futuro, questo sembra apparire loro privo di concretezza, anzi spesso funesto. Deprivati quindi dell’idea stessa di Speranza generatrice di eventi fecondi, viene a mancare in loro il coraggio di agire con ‘cuore appassionato’. Tanto è vero che in ambito anglosassone viene usato il termine Generation Snowflakes per descriverle.
Termine “generazioni fiocco di neve” che sta ad indicare giovani privi di una struttura solida, orientata, progettata oltre il presente, ma che al contrario, per utilizzare il termine sopra citato si ‘sciolgono come neve’ appena toccano terra. Generazioni destinate a vivere in termini non tragici, come quelli dell’inizio del secolo passato, ma in tempi caratterizzati per lo più dalla monotonia delle passioni tristi e dall’indifferenza orientata non solo verso l’altro, ma anche verso sé stessi, al proprio sentire, pensare, agire. Confusi, annichiliti, mancanti di un punto fermo, ‘già stato’, ovvero del proprio esistere, sono disorientati, persi, impediti nel guardare con coraggio e Speranza al futuro.
La soluzione, probabilmente, può essere trovata restituendo spessore all’essere, in quanto ‘esserci’, esistere, stare. Una consapevolezza l’esistere che va al di là del semplice vivere, perché per esserci nel senso pieno del termine c’è bisogno di pienezza. Questa può essere data solo da principi e valori che obbligatoriamente determinano limiti e confini dell’agire assicurando così punti di riferimento su chi siamo o meglio ancora su chi vogliamo essere. Citando il filosofo Mancuso, la riscoperta della Speranza risiede allora su un presupposto inedito e sconvolgente, ovvero nella libertà di obbedire all’Etica.
Solo se ritorniamo a ridare valore alla dimensione etica, quale responsabilità del nostro pensare ed agire potremo tornare a guardare con Speranza al futuro. In un esercizio di ‘vita’ che un tempo veniva chiamato Virtù, intesa come forza propulsiva e generativa, che proietta verso una progettualità che tende al futuro, in altre parole alla Speranza che desidera cose migliori.
La Speranza, quindi, parafrasando Aristotele, deve tornare ad essere quell’atto cosciente della volontà scaturente da una abitudine virtuosa che in potenza tende al raggiungimento di un bene futuro, forse difficile, ma non impossibile da realizzare. Ma che presuppone il nostro quotidiano impegno, la nostra autentica esistenza, la nostra imprescindibile responsabilità intesa come capacità di rispondere e scegliere quotidianamente ciò che è buono e giusto.
Bibliografia
- VV., L’uomo e la speranza, Armando Editore, 2010
- Aristotele, Rhetorica, 1389a1390b, trad., intr. e note di C. Viano, Biblioteca Filosofica Laterza, Bari, 2021
- Bloch, Il principio speranza, Edizioni Garzanti libri, Milano, 2005
- Fusaro, Filosofia e speranza. Ernst Bloch e Karl Löwith interpreti di Marx, Ed il Prato, Saonara (PD), 2005
- Arendt, Tra passato e futuro, Edizioni Garzanti, Milano, 1999
- Kant, Critica della ragion pura, Edizione Economica Laterza, Bari, 2005
- Platone, Le leggi, traduzione di F. Ferrari, Rizzoli Editore, Milano, 2005
- Mancuso, Destinazione Speranza, Edizione Garzanti, Milano 2023
[1] Platone, fu il primo a enumerare i Sette savi nel Protagora,
[2] Platone, Le leggi, traduzione di F. Ferrari, Rizzoli Editore, p 45.
[3] https://www.treccani.it/vocabolario/speranza/
[4] https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=esistere