La Psicopatia

 In SegnaLibro, Anno 2, N. 4 - dicembre 2011

ROBERT D. HARE La Psicopatia
Casa Editrice Astrolabio, Roma, 2009

Lo psicologo Robert D. Hare, nel corso di più di trentacinque anni di ricerca sia teorica che sul campo, come si dice in questo volume pubblicato in originale nel 1993 col titolo Without Conscience, trova grazie alla curatela di Vincenzo Caretti e Adriano Schimmenti una possibilità di divulgazione anche in Italia. Il titolo con cui viene pubblicato, “La Psicopatia” è indicativo nella sua essenzialità dell’oggetto della ricerca.

L’Autore traccia un quadro accurato e puntuale di come il soggetto psicopatico strutturi le sue relazioni ed elabori le sua strategie. Egli, basando la sua osservazione su numerose interviste ed osservazioni cliniche del comportamento di soggetti che hanno manifestato questo quadro clinico nelle relazioni sociali, in termini, cioè di agiti criminali, formula una serie di costrutti che inquadrano il fenomeno, non solo da un punto di vista neurobiologico, ma anche dando spazio al ruolo che svolge il contesto delle relazioni che fanno parte del vivere sociale. Fino ad arrivare ad una definizione di psicopatia intesa come “disturbo del cervello morale”.

L’implicazione da cognitiva, come costrutto di un agito, trova anche una lettura dinamica. La psicopatia acquista così valore di sindrome che si manifesta attraverso la mancanza di empatia, l’egocentrismo, l’assenza di rimorso e conseguentemente del senso di colpa ad esso correlabile, e l’uso degli altri come strumenti del soddisfacimento di un bisogno soggettivo, imperioso ed egoistico.

L’opera esamina non solo quali siano le principali caratteristiche psicologiche e di comportamento della personalità psicopatica, ma anche come valutarle con diagnosi appropriate. Il lettore italiano può, così accedere ad uno strumento ideato per questo scopo: La Psychopathy Checklist Revised (PCL-R), strumento utilizzato, oltre che nell’ambito della ricerca e della clinica, anche in quello  forense. É questo a nostro avviso, il punto di forza del volume che mette ulteriormente in risalto la validità e l’affidabilità di un test psicometrico che consente di identificare i soggetti psicopatici, distinguendoli da quanti sono stati comunque condannati per reati gravi. La domanda, fondamentale è: possiamo prevedere il loro comportamento? Quale tasso di recidività si può prevedere in anticipo, per applicare le misure alternative e/o le sanzioni più giuste?

Il sistema giudiziario, si muove, nella valutazione di un’azione criminale, prevalentemente secondo le indicazioni del buonsenso e del sentire comune, ritenendo che, se un soggetto ha commesso un crimine o più crimini, tenderà a reiterare il suo comportamento, quasi per un’abituazione al gesto, o come si diceva un tempo, per freudiana memoria, per una coazione a ripetere. Ma la coazione a ripetere è un meccanismo e, come tale, il soggetto che non ne ha consapevolezza, non può controllarlo. Nel volume scopriamo ancora, che “il tasso di recidività degli psicopatici è circa il doppio rispetto a quello di altri criminali” e che “rispetto ai crimini violenti è circa il triplo rispetto a quello degli altri criminali” (pag. 116).

Veniamo ad alcuni aspetti clinici e cioè alla descrizione della personalità di questi soggetti che ci propone l’autore: “gli psicopatici sono molto abili a rivolgere tutta la loro attenzione alle cose che li interessano maggiormente e a ignorare le altre. Alcuni clinici hanno paragonato questa caratteristica al funzionamento di una torcia elettrica a raggio distretto, che può illuminare soltanto una cosa alla volta. Altri suggeriscono che somiglia alla concentrazione con cui un predatore insegue la sua preda.” (pag. 94) e suggerisce che la spinta emotiva e motivazionale siano praticamente assenti nel “discorso interiore” degli psicopatici. Qui si tocca un nucleo, direi nevralgico, del problema, che rimanda al senso e al significato di “coscienza morale”. Citando lo psicologo sovietico A. R. Lurija, “La coscienza morale dipende non soltanto dalla capacità di immaginare le conseguenze delle proprie azioni, ma anche dalla capacità di ‘parlare a se stessi’ mentalmente…” mostrando come “il discorso interiorizzato, la voce interiore, svolga un ruolo cruciale nella regolazione del comportamento” (pag. 95). Queste considerazioni ci conducono direttamente all’enunciato consequenziale: “Gli psicopatici hanno scarsa capacità di rappresentarsi mentalmente le conseguenze del proprio comportamento” e pertanto “l’immagine mentale delle conseguenze per la vittima è decisamente indistinta” (pag. 96). É il tema centrale della reificazione dell’altro visto come mezzo per il soddisfacimento dei propri bisogni nell’immediato. L’altro ridotto a mero oggetto o cosa, l’altro che non assume mai esistenza ontologica per l’autore di reato psicopatico.

L’autore approfondisce “Tuttavia, alcuni individui delinquono semplicemente perché rende, è più facile che lavorare o perché è eccitante […] rimandando ad una struttura del carattere che agisce senza alcun riferimento alle norme e ai regolamenti della società” (pagg. 102-103).

Si può subito notare l’importanza di avere a disposizione uno strumento che possa dare indicazioni precise, scientificamente validate, rispetto, ad esempio alla concessione della libertà vigilata agli aggressori sessuali. Il Test PCL-R, fornendo dati così attendibili, ha di fatto rinnovato l’interesse da parte del sistema penale giudiziario, per “l’associazione tra psicopatia, recidività e violenza” (pag. 117).

Si pone una questione di grande rilevanza: le persone cambiano, è vero, e anche in modo piuttosto evidente, nel corso degli anni, eppure “molti tratti di personalità e modelli comportamentali restano stabili per tutta la vita”(pag. 117), il che vuol significare semplicemente che alcuni tratti della personalità di un soggetto tendono ad assumere i connotati della non modificabilità, laddove, forse, si possono modificare gli atteggiamenti. Sta di fatto che il tema della recidiva rimane centrale sulla valutazione nel tempo del comportamento sociale di un individuo che ha commesso un reato grave.

Alcuni hanno sostenuto che con l’età diminuiscono comportamenti e/o attività criminali, altri che i soggetti psicopatici continueranno a commettere reati violenti fino alla loro morte, e che comunque, “presentano sempre gli stessi tratti fondamentali di personalità […] vale a dire che rimangono egocentrici, superficiali, manipolativi ed insensibili. La differenza è che hanno imparato a soddisfare i loro bisogni in modi meno grossolanamente antisociale rispetto al passato” (pag. 118).

Alla domanda,infine, se si possa fare qualcosa per questi soggetti, per la modificazione del loro comportamento sociale, l’autore risponde laconicamente “Con gli psicopatici il counseling sarebbe sprecato”.

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