La Cina e la politica del figlio unico
«Per una prosperosa, potente nazione e famiglia felice, si consiglia di utilizzare il metodo della pianificazione delle nascite»
Con più di un miliardo e trecento milioni di persone, la Cina è il paese più popoloso al mondo, e proprio per porre limite al sovraffollamento che il governo cinese decide, nel 1979, di attuare una politica di limitazione delle nascite. Sotto lo slogan: Wan, Xi, Shao la popolazione viene esortata a mettere al mondo figli più tardi, con intervalli più lunghi e meno. Dalle parole ai fatti, nelle città è permesso un solo figlio per famiglia, nelle campagne due, ma solo se il primogenito è femmina, con un intervallo di almeno quattro o cinque anni: ogni anno, le quote-nascite possono essere rivalutate nelle provincie i cui indicatori dimostrano una diminuzione della popolazione. Eccezioni sono previste per le minoranze etniche (almeno uno dei genitori deve appartenere ad una minoranza etnica) e per genitori entrambi figli unici. A partire dal XXI secolo, il governo si è impegnato a mantenere stabile il tasso di natalità per coppia al 1,8%; di conseguenza, come riferisce, un portavoce della One-Child Policy (Politica del figlio unico), circa il 35,9% della popolazione è soggetta alle restrizioni previste dalla legge per i trasgressori, specialmente nelle zone rurali dove, per scoraggiare ulteriormente, le tasse scolastiche hanno subito un’impennata proprio in quelle zone in cui solo circa il 27% delle famiglie ha un solo figlio.
Il governo cinese non ha mai autorizzato ufficialmente l’uso della forza per chi supera le quote-nascite limitandosi a prevedere, per chi infrangere la legge, il pagamento di una sanzione in base al reddito familiare. Ma la realtà sembra ben altra.
Molte donne incinte sono sottoposte a pressioni costanti, dagli addetti al controllo delle nascite, affinché interrompano la gravidanza anche all’ottavo/nono mese. Coercizioni psicologiche che vanno dalle sanzioni (fino a due volte lo stipendio annuo), alla perdita del posto lavoro, dall’arresto per entrambi i genitori, alla confisca dei beni e alla distruzione dell’abitazione. Non è insolito che le madri siano costrette ad assistere all’uccisione del proprio bambino o che donne siano assoggettate a sterilizzazione forzata nel corso di altre procedure mediche.
Con la comparsa dell’amniocentesi e della tecnologia ultrasuoni che consente di conoscere il sesso del bambino prima della nascita, l’infanticidio delle bambine ha ceduto il passo all’aborto selettivo. Diversi i motivi. Il primo è che un’ecografia costa più o meno 12 dollari, quindi alla portata di tutti i ceti sociali; secondo, perché è in pratica impossibile dimostrare se un’interruzione di gravidanza sia avvenuta per motivi medici o per scopi discriminatori legati al sesso. Per cui è divenuta prassi comune praticare l’aborto entro le quindici settimane di gravidanza e contemporaneamente somministrare i farmaci necessari, il tutto per un importo non superiore ai 100 dollari; cifra difficilmente superabile visto le difficoltà economiche in cui riversano molte famiglie. E, questo, nonostante che l’aborto selettivo è stato vietato ufficialmente in Cina fin dal 1995, e che la nuova Maternal and Child Health Care Low (Legge sulla Cura della Salute Materna e del Bambino), vieti l’uso della tecnologia a ultrasuoni per individuare il sesso del nascituro per scopi abortivi. Ma come si sa molti sono i modi per aggirare le leggi, uno su tutti, la corruzione dei funzionari. Così in barba a tutti i divieti legali a tutt’oggi resta il metodo più usato. Una politica che si calcola abbia contribuito a evitare almeno 250 milioni di nascite dal 1980, ma nel contempo, la selezione sessuale, farà si che in Cina presto ci siano 30 milioni di uomini in più rispetto alle donne.
Disinformazione e statistiche
A Shangai, un sondaggio condotto dall’ospedale 411, il People Liberation’s Army, (Esercito di Liberazione delle Persone), ha rivelato che meno del 30% delle donne è a conoscenza delle modalità per evitare una gravidanza, e che solo il 17% è a conoscenza dell’incidenza delle malattie veneree. Più del 70% non conosce la modalità della trasmissione dell’HIV. Indagine sconfortante quanto quella governativa, dove i dati evidenziano che circa il 62% delle donne, che si sottopone all’interruzione della gravidanza, ha un’età compresa tra i 20 e i 29 anni ed è single, e si calcola che, nel Paese, si pratichino qualcosa come 13 milioni di aborti all’anno. E questi i dati ufficiali. Ma, sicuramente, il numero effettivo è molto al di sopra delle statistiche ufficiali, perché molti aborti vengono effettuati in cliniche che non compaiono nei registri statali e non sono quindi soggette a nessun tipo di controllo. In più ogni anno negli ospedali vengono usate circa un milione di pillole abortive: la pillola del giorno dopo, che può essere assunta anche a 120 giorni di distanza dal rapporto sessuale, ha subito un’impennata di vendite dal 1998 in poi. Lo stesso per la pillola contraccettiva che ha visto aumentare in modo esponenziale il suo smercio, ma l’uso scorretto della stessa, spesso, porta le sue “conseguenze”. Motivo per cui il numero verde messo a disposizione dall’ospedale 411 riceve circa dieci telefonate al giorno per chiedere cosa fare e a chi rivolgersi per abortire.
Le donne non contano
E’ un Paese, la Cina, che mostra una forte dicotomia intestina: da una parte energico rivale nella competizione economica con le più grandi potenze mondiali industrializzate, dall’altra ancora prevalentemente incentrato sulla produzione agricola e fortemente ancorato a preclusioni secolari, dove ancora gli uomini ricoprono un forte status sociale. Sono più facilmente occupabili, ricevono salari superiori alle donne e inoltre, essendo di solito più forti, rappresentano un valido lavoro dei campi, risultando di conseguenza la principale fonte di reddito all’interno di una famiglia. Per contro, la tradizione vuole che le ragazze lascino la casa dei genitori per unirsi alla famiglia del marito. I genitori delle femmine, perciò, non avranno nessuno che si occupi di loro quando non saranno più autosufficienti. Per questo crescere una figlia è considerata una fatica inutile perché rappresenta sempre una perdita. Inutilità, quella femminile, ben espressa dal nomignolo con cui vengono apostrofate: “Lai Di o Jao Di”, letteralmente “vieni ragazzo, vieni, vieni”. E siccome in Cina le quote-nascite e la povertà sono sempre in agguato, l’infanticidio resta la pratica principe perché il desiderio diventi realtà: secondo l’UNICEF in Cina il tasso di mortalità delle bambine nel loro primo anno di vita è il doppio rispetto a quello dei bambini e il rischio di morte è tre volte superiore per le bambine secondogenite rispetto alle bambine nate dal primo parto.
Più veloci della forte censura che il governo cinese applica sulla diffusione delle notizie ritenute scomode, testimonianze e reportage ci raccontano gli effetti della “selezione” delle nascite in tutta la sua crudeltà. Nell’aprile del 2010 l’agenzia ufficiale cinese, Xinhua, scrive del ritrovamento di ventuno corpi, tra feti e neonati, gettati nel fiume del villaggio di Jiming, nella provincia di Shandong, nella Cina Orientale: «i corpi possono essere stati gettati qui dagli operatori sanitari dopo aver forzato le donne a sottoporsi ad aborti. Per loro sono come semplici rifiuti sanitari [1]». Subito dopo, la notizia, le autorità distrussero ogni prova cremando qui miseri resti.
In The Economist, un settimanale londinese che si occupa di informazione da tutto il mondo, Xinran Xue narra la sua sconvolgente esperienza presso una famiglia contadina a Yimeng, nella provincia dello Shandong: «Ci eravamo appena seduti quando sentimmo un gemito di dolore arrivare da dietro la porta della stanza da letto […] Il pianto diventava sempre più forte […] e bruscamente si interruppe. C’era adesso un singhiozzare sommesso, e una voce maschile e burbera esclamò, in tono accusatorio: ‘Piccola cosa senza valore!’. All’improvviso qualcosa si mosse rapida dietro di me, vicino un grande secchio dell’immondizia. Vidi una cosa orrenda: dal secchio spuntavano due minuscoli piedini. L’ostetrica doveva averci gettato dentro il bambino, vivo. Feci per alzarmi, ma i due poliziotti (i miei accompagnatori) mi posero due robuste mani sulle spalle: ‘Non si muova, non può più salvarlo, è troppo tardi’. ‘Ma […] si tratta d’omicidio […] e voi siete la polizia!’. Il piedino adesso era immobile. Il poliziotto mi tenne ferma per qualche minuto. Una vecchia donna, avvicinatasi per consolarmi, mi disse: ‘fare una bambina non è gran cosa, da queste parti’. ‘Ma era un bambino vivo’ risposi con voce tremante, indicando il secchio. ‘Non era un bambino – mi corresse – era una bambina, e non possiamo tenerla. Da queste parti, non puoi fare a meno di un figlio maschio. Le figlie femmine non contano’ [2]».
Gao Xio Duan, ex funzionaria addetta al controllo delle nascite in Cina, rifugiata in America nel 1998, ha esposto, alla Commissione del Congresso statunitense, i metodi utilizzati per interrompere le gravidanze, descrivendo se stessa come un mostro. Ella rivelò come avesse aiutato molti medici a iniettare formaldeide all’interno della fontanella [3]: «ho visto come le labbra del neonato venivano come risucchiate e come le membra si torcevano, dopodiché veniva buttato nella spazzatura [4]».
Non sono mancate nemmeno testimonianze dirette, da parte delle vittime. Una di queste ha raccontato la sua terribile storia davanti alla Commissione per i Diritti Umani degli Stati Uniti d’America. È l’inverno del 2004 quando Wujian (nome fittizio per celarne la vera identità), scopre di essere incinta. Non avendo ricevuto il permesso di generare nuova vita, decide di allontanarsi dalla famiglia, dagli affetti, dalla sicurezza nel tentativo di salvare il bambino che cresceva nel suo grembo. Nonostante i suoi sforzi per occultare la sua gravidanza, le autorità scoprono che è incinta, ma non riscendo a rintracciarla, arrestano il padre. Sono passati quattro giorni quando un vicino di casa avvisa Wujian che, se non si fosse costituita, il padre sarebbe sicuramente morto a causa delle numerose percosse. Nel frattempo alcuni funzionari addetti al controllo delle nascite, scovato il suo nascondiglio, l’afferrano, la drogano e la mettono su un furgone. Durante il viaggio incontra una giovane donna, come lei incinta di sette mesi, anch’ella diretta verso il più grande mattatoio legittimato in Cina, l’ospedale. Arrivate, i loro occhi si spalancano, atterriti, davanti a dozzine di donne. Tutte in attesa che l’oblio inghiottisca il loro bambino. In quel luogo la morte aspettava famelica il suo tributo. Dopo un’iniezione di ossitocina [5], viene trasferita in un’altra stanza dove un infermiera si prepara a farle un’altra iniezione. Wujian piange, si dispera, promette di nascondersi, di fuggire. A nulla valgono le implorazioni. Mentre ancora le lacrime le rigano il viso la sua voce è interrotta dal un grido di dolore. L’infermiera inietta, con un lungo ago, attraverso la sua pelle, una sostanza direttamente nella testolina del suo bambino, mentre, con disinvoltura, ribadisce spavalda che solo in quell’anno più di 10.000 donne sono state “spronate” a liberarsi della vita che portavano in grembo. Il giorno seguente si accorge che dal suo seno non proviene più nessun movimento, neanche un accenno, è una quiete sinistra. Mani impietose le cingono gambe e braccia e la costringano su un tavolo. È una paziente difficile dicono, perché il feto sarebbe dovuto venir fuori da solo, ma così non è stato. È per questo che si rende necessario in intervento “più drastico”. Su quel tavolo il rumore delle forbici che dilaniano quelle inerte membra rimarranno ricordi indelebili, come cicatrici che solcando l’anima l’artigliano in una morsa asfissiante.
Dying Rooms
L’UNICEF stima che 17 milioni di bambini, di età compresa da 0-17 anni, finiscono nel circuito dell’adozione o nei brefotrofi. Negli orfanatrofi statali il 95%, neanche a dirlo, sono bambine, il restante 5% è composto da bambini con disabilità mentale o fisica. Qui i bambini subiscono nefandezze indescrivibili, tanto che nel gergo comune, gli orfanatrofi, sono chiamati con lo pseudonimo di Dying Rooms “Stanze della Morte”, mentre per i piccoli “ospiti” viene usato l’epiteto Mei Ming, i “Senza Nome”. Mai appellativi sono stati così esaustivi. Sì, perché questi bambini non sono mai stati, mai nati, semplicemente non esistono e dunque la loro “non-presenza” deve passare inosservata. Solo le annue, fredde e impersonali statistiche ci riferiscono che i decessi, in questi non-luoghi, raggiungono circa il 60%. Mentre l’Human Right Watch, organizzazione non governativa americana, stima che alla fine degli anni ’80 inizi ’90, del secolo passato, il tasso di mortalità colpisse 9 bambini su 10.
Nonostante il governo cinese abbia sempre negato, le atrocità consumate negli orfanatrofi di tutto il Paese sono state documentate da foto, video e testimonianze dirette. Un esempio fra tutti, la dott.ssa Zhang Shuyun, che ha lavorato per cinque anni nell’orfanotrofio di Shangai, il più prestigioso di tutta la Cina, che contava ben 500 bambini, dopo una lunga lotta, nel 1988, riuscì a fuggire dal Paese, portando con sé la documentazione che, in maniera inconfutabile, rendeva conto delle atrocità compiute dimostrando tutta la crudeltà del sistema. Al termine della lunga inchiesta al Children Welfare Shanghai Institute (L’istituto di Assistenza ai Bambini di Shangai), comunque, nessuno dei responsabili vide le manette stringersi ai polsi, al contrario, alcuni di loro, tra cui il vicedirettore, ottennero una promozione. Al responsabile dell’orfanotrofio, nello stesso periodo, fu affidato il ruolo di presidente del Dicastero delle Politiche di Previdenza Sociale di tutta Shangai. Mentre la Zhang ancora adesso vive in esilio.
L’inchiesta ha sollevato la botola che copriva il putrido mondo delle Dying Rooms, liberando un fetore nauseabondo che è andato a trafiggere le coscienze di coloro che ancora credono nella inviolabilità dell’infanzia. Perché le sevizie alle quali sono sottoposti i piccoli Mei Ming sono inenarrabili: non hanno diritto a giocattoli, né di alcuna attenzione. Essi trascorrono le intere giornate legati con filamenti di corda all’altezza del petto, alla vita e alle gambe, a sedie di vimini con un foro per espellere le funzioni fisiologiche, che si riversano nel vasino sottostante. Sempre infreddoliti e bagnati spesso perdono le dita, di mani e piedi, mangiate dai topi durante la notte. Condannati a una non-esistenza fatta di stenti, capace di martorizzare corpo e anima, dove anche i sogni sono preclusi. Alcuni sopravvissuti, pochissimi per la verità, hanno raccontato come la morte, là dentro, fosse usata come metodo di controllo del numero di bambini da “accudire”. Riunioni ad hoc sono organizzate dal personale per discutere sul numero dei nuovi arrivati e sul conseguente numero di “esuberi”, dopodiché alcuni di loro segnalano il bambino che secondo gli standard deve essere “sacrificato”. Le vittime predestinate sono di solito i portatori di handicap, i bambini con difficoltà a camminare o a essere nutriti come per esempio i malati di polmonite o di emorragia intestinale, vomito ecc., infine, quelli “sporchi”, “brutti” e “cattivi”. Jiudi Jiejue, è chiamata, ovvero “risoluzione sbrigativa”. I bambini vengono segregati nelle “Stanze della Morte”, per lunghi e interminabili giorni, finché le loro grida non si arrendono soffocate, per sempre, nel buio dimenticato. Dove i sedativi calmano i pianti, inconsolabili, delle sofferenze dovute ai colpi sulla schiena e sul capo con assi di legno. Deve i bambini ogni giorno si fanno più deboli, fino a quando l’ultimo soffio di vita non scivolava via, silenziosamente, per poi spengersi del tutto sotto il tocco mortale dell’inserviente di turno.
I “Rami secchi”
Le politica delle quote-nascite unita al tradizionale desiderio delle famiglie di avere figli maschi, ha portato ad uno squilibrio consistente, tra uomini e donne, nella popolazione, e all’aumento di quelli che vengono chiamati Guanguun “Rami secchi”, ovvero uomini single. Steven Mosher, presidente del Population Research Institute (Istituto per la ricerca sulla Popolazione) di Washington DC, afferma che nel 2007 erano circa 25 milioni gli uomini, in Cina, che non avevano la possibilità di sposarsi, proprio a causa di una forte disparità fra popolazione maschile e femminile. Differenza numerica che, secondo l’ACSC (Accademia Cinese di Scienze Sociali), si prospetterà ancora più marcata poiché nel 2020, si prevede, che gli uomini, al di sotto dei 19 anni, saranno dai 30 ai 40 milioni in più, rispetto alle donne della stessa età. Tanto che, in Cina, si è spalancato un fruttuoso mercato del sesso. Già dal 2005 le indagini riportano numeri allarmanti. Sarebbero ben 800.000 le persone che ogni anno finirebbero nel circuito del traffico illegale di esseri umani, verso le frontiere della Cina, e il dato sembra essere in aumento. E neanche a dirlo l’80% riguarda giovani donne che, per la maggior parte, resterà vittima di sfruttamento sessuale.
In tutto il Paese prostituzione e stupri, negli ultimi vent’anni, hanno subito una netta accelerata. In più il ratto degli infanti sembra stia diventando uno “sport” nazionale. Ma far testimoniare i genitori è cosa non facile. A Kunming, per esempio, quando il giornalista Hitchens ha cercato di avvicinare le famiglie a cui avevano rapito il figlio, queste hanno mostrato un grande nervosismo. Avevano paura. Paura di attirare l’attenzione delle autorità; le stesse autorità che strappavano, dalle loro mani, i volantini che andavano distribuendo nella speranza di ritrovare il proprio bambino. Hitchens afferma: «intervistare famiglie il cui figlio è stato rapito, non è cosa facile in Cina. I bambini vengono rapiti da famiglie che desiderano avere un erede maschio o da chi li metterà poi sul mercato per venderli come merce di scambio. Le bambine invece sono rapite per ricoprire il ruolo di future spose [6]».
Adesso sembra che il governo cinese voglia correre ai ripari. “Meglio tardi che mai”, recita un detto popolare. Ultimamente in alcuni villaggi, sui muri, compaiono manifesti del tipo: “Maschio o femmina? Lascia che sia la natura a decidere”. Altri cartelloni mostrano una bambina che tenendo per mano i propri genitori, li accompagna tra campi di fiori, inneggiando slogan come: “Prendersi cura delle bambine, vuol dire prendersi cura del futuro della nostra nazione” o “I tempi sono cambiati! I ragazzi e le ragazze sono uguali”, e ancora “I ragazzi e le ragazze sono entrambi tesori” Slogan in controtendenza, almeno così pare.
E mentre nel Paese del Sol Levante speranza e timore si alternano, l’unica cosa certa, per il momento, rimane il basso costo del “Made in China”.
Bibliografia
Yuan Tien, “Wan, Xi, Shao: How China Meets Its Population Problem”, International Family Planning Perspectives, Guttmacher Institute, 1980.
China steps up “One Child” Policy, BBC News, 25/09/2000.
Guan Xiaofeng, Most people free to have more child, China Daily, 31/07/2009.
US Department of State, 1997.
Julen Madariaga, A study of Sex Selective Abortion in China, 13/05/2010.
Sitografia
http://www.womensrightswithoutfrontiers.org
http://www.foxnews.com/story/0,2933,281722,00.html
[1] Littlejohn Reggie, China enforces one-child policy through forced abortion, forced sterilization and infanticide, articolo pubblicato sul sito: http://chinaview.wordpress.com/2010/04/10/china-enforces-one-child-policy-through-forced-abortion-forced-sterilization-and-infanticide/
[2] The Economist, 13/03/2010
[3] Le fontanelle sono membrane che ricoprono le ossa del cranio che non si sono ancora saldate. La prima si trova sulla parte anteriore del capo, la seconda su quella posteriore. Sono utili al momento del parto, consentendo al cranio una certa flessibilità, e durante il primo anno di vita consentono alle ossa del cranio di adattarsi alla crescita del cervello. Si saldano definitivamente entro i diciotto mesi.
[4] http://www.taliacarner.com/deadnewborningutter.html
[5] L’ossitocina è un ormone di natura proteica che agisce prevalentemente sulla mammella e sull’utero. Durante il travaglio e il parto provoca contrazioni dell’utero, favorendo l’espulsione del feto. Può anche essere somministrata per via endovenosa per indurre il travaglio, o pilotarlo nel caso le contrazioni siano inadeguate e ne prolunghino eccessivamente la durata.
[6]Gendercide China’s shameful massacre of unborn girls means there will soon be 30m more men than women, P. Hitchens, 10/04/2010.