In attesa dell’Apocalisse
Come si siano convinti a uscire nessuno lo sa con precisione. Ma alla fine lo hanno fatto. Quando hanno capito che l’Apocalisse non sarebbe arrivata né allora né dopo nonostante il “Santo” ne fosse così sicuro, si sono arresi. E hanno dovuto accettare anche l’evidenza che la loro pervicace clausura, durata più di sette mesi, scavata dentro la pancia di uno dei monti che lambiscono il Volga, era costata solo molto cara: la vita di due di loro e un cumulo di dolore, stenti e delusione.
Non doveva andare così. Quando hanno preso in mano vanghe e picconi, sfruttando il buio delle lunghe notti russe, come talpe silenziose che compiono i loro più incredibili capolavori sotterranei mentre tutti dormono, erano certi che quella grotta sarebbe stata per loro l’unico futuro di salvezza all’ineluttabile fine del mondo.
La forza per togliere terra e massi per quattro chilometri nonostante il freddo, e la volontà di resistere alla fatica di oltre un mese di veglie notturne gliela avevano date la fede e le parole di colui che consideravano più di un padre.
Il Santo, al secolo Petr Kuznetzov, ingegnere 43enne che aveva lavorato per una grande impresa e aveva trascorso la maggior parte della sua vita fra le montagne di Penza, a 700 chilometri da Mosca, ci aveva messo tutto il suo ieratico potere di fascinazione per convincerli.
Lui che un bel giorno era stato colpito dalla luce violenta della rivelazione, ora doveva pur dimostrarlo. E non gli ci era voluto molto per irretire quei boscaioli e quei contadini, alle prese da sempre solo con foreste e campi di patate, con distese di cereali e allevamenti di mucche e maiali, in cambio di pochi sogni, tanta ignoranza e mediocre realtà.
Kuznetzov aveva issato sul tetto della sua dacia una croce tanto alta che la vedevi da dieci chilometri. Aveva poi trasformato il giardino di casa in una sorta di sagrato con tanto di battistero circondato anche questo, naturalmente, da croci. E si era messo a predicare la fine del mondo. Avendo bisogno di qualcuno a cui raccontare che il giorno del giudizio oltre che certo era vicino, a marzo 2008 per l’esattezza, aveva dovuto fondare anche un movimento religioso, il “Gorny Ierusalim”.
È tra le decine di fedeli radunate dalle varie regioni della Russia e anche della Bielorussia, che troviamo quei trentacinque poveri diavoli, fra cui minori e una bambina di nemmeno due anni, rimasti sottoterra dall’ottobre del 2007 al maggio del 2008. Eletti e perfetti spiritualmente, loro l’impeto coraggioso di attendere l’arrivo del Salvatore nell’isolamento l’avevano trovato e, fieri, si erano attrezzati.
Larga cinquanta metri, alta uno e ottanta e lunga quattromila, la grotta che si erano messi a scavare come forsennati aveva la forma di un ferro di cavallo, aveva tante “celle” di due metri per due, più un’ampia cucina, una dispensa, servizi igienici e un pozzo. Ci avevano portato cibo, coperte, bombole di gas e cherosene e ci si erano infilati come in un marsupio. In quell’eremo incastonato nelle viscere della terra e inespugnabile, avevano deciso di aspettare la data fatidica, lontano dalle lordure del mondo.
“Se le autorità provassero a tirarli fuori in qualche modo, loro farebbero scoppiare le bombole di gas ma non permetterebbero che qualcuno usasse la violenza per distoglierli dal loro intento” dirà a un giornalista Olga, la sorella di uno degli “eremiti”, anche lei membro della comunità del Santo, ma non così perfetta da decidere di recludersi volontariamente. Olga decise di parlare solo molti giorni dopo la misteriosa sparizione del manipolo di prescelti. Solo dopo che la figlia di uno dei rifugiati aveva denunciato la scomparsa del padre alla Procura di Penza. Solo dopo che la folle storia dei 35 abitanti della grotta aveva già iniziato a trasformarsi in tragedia e solo dopo che Kuznetzov era stato arrestato, rivelando dove si trovasse il nascondiglio agli psichiatri che lo avevano preso in cura in carcere.
Il primo debole cenno che l’idea di chiudersi là sotto non era stata eccezionale era arrivato da madre natura. Con l’allentarsi del rigore invernale e lo scioglimento lento della neve, a marzo la grotta si era riempita d’acqua. Le inondazioni, incuranti della perfezione dei 35 ospiti, avevano minato la struttura fino a comprometterne la stabilità oltre al già scarso livello igienico.
A cinque mesi dall’avvio della loro avventura, il sogno di salvezza si stava disfacendo nel fango delle loro minuscole stanzette.
In contemporanea li aveva scovati la polizia che si era messa sulle loro tracce subito dopo essere stata allertata dai parenti di qualcuno del gruppo preoccupati della scomparsa dei loro cari.
Ma averli trovati non aveva significato automaticamente farli uscire da laggiù. Tenaci nella loro scelta, ad ogni tentativo di polizia, medici, sociologi, di negoziare la fine di quella follia, gli eremiti avevano risposto sparando in aria.
Il fronte compatto si era spaccato solo a fine marzo, quando finalmente sette donne, stremate e disilluse avevano preso la decisione di abbandonare il malsano rifugio e tornare a respirare l’aria aperta della normalità. Non era passata neppure una settimana che le avevano seguite altri diciassette eremiti. Erano rimasti solo in undici sottoterra, ma anche loro poco convinti, perché avevano promesso di uscire in occasione della Pasqua ortodossa.
Il fatto era che laggiù la vita si stava facendo davvero dura. Solo a maggio si verrà a sapere che in quei mesi erano morte due donne. Una, malata da tempo di tumore, al momento in cui era scesa nel rifugio aveva interrotto ogni cura avviandosi ineluttabilmente alla fine rapida. L’altra era morta di stenti per il digiuno prolungato inasprito da quello dettato dalla Quaresima che lei, seppure debole, osservante integerrima aveva deciso di rispettare senza deroghe.
Alle pessime condizioni di sussistenza si aggiungeva poi la delusione cocente che dell’Apocalisse, prevista per marzo e annunciata in forma epica dal Santo, non si era vista neppure l’ombra.
Una figuraccia alla quale Kuznetzov reagì il 2 aprile addirittura tentando il suicidio. Almeno questa fu la versione ufficiale data dalla polizia. Il Santo fu trovato nella cantina di casa sua con un trauma cranico. E subito da più parti si disse che era stato ridotto così da qualcuno dei suoi sostenitori divenuto ribelle alle baggianate che gli erano state raccontate e ai comportamenti che gli erano stati imposti.
Da quell’episodio passò poco più di un mese prima che gli agenti scoprissero i cadaveri delle due donne sepolte malamente nella parte orientale della grotta. Fu il colpo di grazia alle ormai più che vacillanti posizioni degli undici irriducibili che si piegarono a lasciare il rifugio il 21 maggio.
Dopo pochi giorni la grotta fu demolita e con essa ogni traccia della scabrosa esperienza dei trentacinque eremiti.
A fine luglio iniziò il processo a Petr Kuznetzov imputato per fondazione di associazione religiosa colpevole di usare violenza contro privati e incitamento alla violenza per motivi religiosi.
Il processo si chiuse dichiarando Kuznetzov infermo di mente. Al Santo, da tempo ormai trattenuto in ospedale psichiatrico, è stata diagnosticata una forma seria di schizofrenia.
L’indagine ufficiale
Per condurre il caso di Penza è stata istituita una squadra investigativa composta da specialisti di Mosca esperti in criminologia e sette. Al tempo stesso il dipartimento investigativo di Penza ha avviato un’inchiesta contro Petr Kuznetzov e poco importava che gli eremiti si fossero rinchiusi nella grotta “volontariamente”: Petr Kuznetsov poteva essere condannato per aver provocato danni alle persone. Come ha sottolineato il vice capo del Dipartimento investigativo Grigorij Zhitenev, “in conformità alla legge, come violenza bisogna considerare non solo la violenza fisica ma anche tutte le azioni che in qualche modo portano le persone a vivere in condizioni inaccettabili”.
Durante l’inchiesta, a casa di Kuznetsov e dei suoi genitori sono stati trovati e successivamente sequestrati libri di carattere religioso. I titoli la dicono lunga: “Una visione della luce o l’ultimo diario del monaco Maxim”, “Le 7 teste e le 10 corna della Russia”, “L’ultima prova dell’Apocalisse”; e ancora, un opuscolo “Il mistero dell’illegalità” scritto dallo stesso Petr Kuznetsov che nel testo si definisce “monaco Maxim” e “squallido Petr”. A fine processo la Corte distrettuale della regione di Penza ha ritenuto le prove contro Kuznetzov sufficienti per incriminarlo dei seguenti reati: ai sensi dell’art. 239, parte 1 del Codice penale della Federazione Russa “fondazione di associazione religiosa le cui attività comprendono la violenza contro cittadini” e ai sensi dell’art. 282, parte 1 “incitamento alla violenza per motivi religiosi e nazionali”. Poi, al termine del lavoro della commissione di esperti psichiatri forensi, Kuznetsov non è stato condannato per i crimini commessi perché ritenuto incapace di intendere e volere. Il giudice ha deciso quindi di applicare nei suoi confronti le cure mediche psichiatriche obbligatorie. A ottobre del 2010 il giudice ha deciso di prorogare il periodo di cure di altri sei mesi su richiesta della commissione medica.
La posizione delle istituzioni
L’Assemblea legislativa regionale di Penza, appena appresa la notizia della grotta con gli eremiti in attesa dell’Apocalisse, si è subito scontrata con la complessità della questione. Lo stesso presidente del governo della regione di Penza, Vjacheslav Satin, escludendo la possibilità di usare la forza per portare via dalla grotta i rifugiati, ha aggiunto. “Non viviamo nel periodo dell’inquisizione. La religione è un diritto fondamentale. Ma siccome in questo caso si tratta di diritti ancora più importanti, come la salute e la vita stessa, le autorità devono garantire la sicurezza a queste persone”. E infatti ha dato ordine di rifornire gli eremiti di cibo e medicinali. L’Assemblea ha poi istituito un gruppo di tre deputati per effettuare un controllo costante della situazione. Obiettivo: porre attenzione soprattutto sui bambini, pur nella consapevolezza che “dal punto di vista giuridico, gli eremiti non hanno commesso alcun reato avendo otre tutto il diritto di portare con loro anche i figli minorenni.
“Il comportamento degli eremiti di Penza si spiega con la forte necessita di ritrovare la fede e il Signore”, – ha spiegato il ministro della giustizia della Federazione Russa, Vladimir Ustinov, a Bruxelles il 23 novembre 2007. “Si tratta di un fenomeno che stiamo studiando, – ha proseguito – Queste persone non hanno richieste ma aspettano solo la fine del mondo pensando di poterla evitare”. Secondo il ministro Ustinov, “i cittadini dell’ex Unione Sovietica che sono stati privati della libertà di religione per troppo tempo ora hanno bisogno di fede e il desiderio è in crescita”. Dal canto suo il capo del Ministero della giustizia ha affermato che il caso di Penza “non fa onore né alla Federazione russa né alla Chiesa russa Ortodossa”, e si è augurato che in futuro casi del genere non si verifichino più. “Sono assolutamente convinto che la comparsa della setta a Penza non è un fenomeno isolato – ha dichiarato un dipendente dei Servizi di Sicurezza della Federazione russa al quotidiano ‘Komsomol’skaya Pravda’ – Tempo fa ho condotto delle indagini su sette di grandi dimensioni che operano sul territorio russo. Ogni piccola setta, come quella di Penza, solitamente viene finanziata dalle sette più importanti gestite da agenzie di intelligence occidentali. Lo scopo della loro esistenza è quello di creare una “crepa” all’interno della nostra società e di dividerla. Bisognerebbe controllare i conti correnti dei leader della setta. Non escluderei che siano stati effettuati bonifici come remunerazione per il “lavoro” svolto. Per aiutare i leader ci sono adepti appositamente addestrati a reclutare persone emotivamente fragili che poi vengono manipolate. Ogni gruppo del genere terrorizza i propri seguaci con l’idea del giudizio universale, l’Apocalisse, promettendo la salvezza. Il gruppo di Penza – continua il dipendente dei Servizi di Sicurezza ‑ è una associazione politico religiosa, che ha come obiettivo cambiare la situazione politica del nostro Paese. Non per altro il caso ha attirato l’attenzione non solo dei mass media nazionali ma anche internazionali”.
In effetti ci sono stati testimoni che hanno raccontato di aver visto estranei aiutare Petr Kuznetzov a trovare persone fragili, ingenue e facilmente influenzabili, con problemi in famiglia o al lavoro. Per attirarle hanno usato tecniche di amorevole dedizione e la prospettiva di una vita senza difficoltà all’interno della comunità.
Questi individui, alcuni dei quali si sono spacciati per psichiatri e psicologi, hanno bussato alle porte degli abitanti del villaggio, li hanno invitati a far parte del loro gruppo e ad andare a pregare nel loro “tempio”. Naturalmente, dopo la vicenda, sono tutti spariti dal villaggio e nessuno li ha più visti.
È circolata anche una versione, in base alla quale, gli eremiti dovevano auto-recludersi per attirare l’attenzione su di loro, in una sorta di strategia per rendere la loro religione popolare.
La parola degli esperti
All’inizio degli anni ‘90, del secolo scorso, subito dopo il crollo dell’Unione sovietica, l’ingresso e la nascita di numerosi gruppi religiosi e di missionari stranieri veniva favorito. Alla fine di quegli anni la tendenza si è invertita. Da molti esperti questo periodo viene descritto come il momento in cui le forze politiche, la Chiesa russa Ortodossa e perfino i mass media si sono uniti in campagne contro i vari movimenti religiosi stranieri e la religione ortodossa è stata proclamata ufficiale. Le altre religioni come buddismo, islam e giudaismo vengono rispettate ma con alcune restrizioni. Secondo la legge “il diritto umano e civile alla libertà di religione possono essere limitati dalla legge federale se è necessario per proteggere l’ordine costituzionale, morale, la salute, i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini e la sicurezza nazionale”.
La storia conosce molti casi di fondazione, fioritura e declino di certi gruppi religiosi. In questo senso, gli eremiti di Penza non sono stati un caso unico. Un caso simile era stato già registrato negli anni ’30, del secolo scorso. Anche quella volta un gruppo di persone volontariamente si era nascosto sotto terra in attesa dell’Apocalisse e alla fine tutti si erano dati al fuoco.
Secondo Mel’nikov, è “ovvio che tali gruppi marginali di fanatici religiosi appariranno ancora e ancora in diverse parti del paese e i nuovi “profeti” continueranno a proclamare la imminente fine del mondo. Tali manifestazioni di fanatismo sono la conseguenza inevitabile della rinascita religiosa che sta attraversando la Russia di oggi. Evidentemente le persone, ritrovata la fede da poco, hanno bisogno di forti emozioni, di un qualcosa che le avvicini ancor di più alla “fede”. Ma alla base di tutto è più probabile che ci siano l’ignoranza e l’ingenuità”.
Dopo che la storia di Penza ha attirato l’attenzione a livello internazionale, hanno cominciato a giungere diverse notizie riguardo l’attività di gruppi simili. Nonostante nomi, appartenenze e tradizioni religiose diverse, tutti hanno in comune il rifiuto del sistema statale della Russia. I membri di queste associazioni non accettano di avere passaporti, carte d’identità, criticano il clero ufficiale. Leggono testi da contenuti estremisti e le loro idee sono ampiamente supportate dalla popolazione e da alcuni rappresentanti del clero. C’è da aspettarsi in un futuro non troppo lontano che le autorità pubbliche debbano affrontare casi simili a quello di Penza.
Questo il punto di vista degli esperti. Nel frattempo si è formato un nuovo movimento religioso che si chiama “Petrovtzy” (da Petr). E poco importa che il leader della comunità si trovi in ospedale psichiatrico per sottoporsi a cure obbligatorie.
Bibliografia
Legge Federale della Federazione Russa sulla liberta di religione e costituzione delle associazioni religiose, 09/1997
Agenzia Rosbalt, 23/11/2007
Rossiyskaya gazeta, num.4522 del 20/11/2007
Molodoy leninez, num. 46 del 13/11/2007
Komsomolskaya pravda v Penze, num. 170 del 17/11/2007
Hezavisimaya gazeta religii, 16/04/2008
Anna Veligzhanina, 13/03/2008