Il counseling professionale

 In ProfessioneFormazione, Anno 1, N. 1 - marzo 2010

Il counseling è un’attività professionale tesa ad orientare e sostenere, durante un momento di crisi, l’individuo, la coppia, il gruppo. In Italia solo di recente questa professione ha trovato una propria ufficialità[1] ,ma negli altri paesi – in special modo quelli di cultura e tradizione anglosassone – è da molti anni[2] che opera in vari ambiti di intervento quali la scuola, il lavoro, la famiglia e la comunità in genere.

Il counseling è un’attività di competenza relazionale che integra metodologie abilitative e riabilitative per il disagio e la marginalità sociale. E’ un intervento informativo, esplicativo e di supporto finalizzato non tanto a trovare soluzioni, ma a far sì che il cliente mobiliti le proprie risorse per convivere meno dolorosamente con la propria situazione di vita reale nel quotidiano.

L’obiettivo generale è quello di «consentire ad un individuo una visione realistica di sé e dell’ambiente sociale in cui si trova ad operare» (Galimberti, 2006), offrendogli allo stesso tempo la possibilità di lavorare con modalità da lui stesso definite per condurre una vita maggiormente soddisfacente e ricca di risorse.

Ed è per questa ragione che il counseling è un intervento che ben si adatta a specifiche difficoltà individuali come scelte lavorative, scolastiche o familiari; momenti di crisi transitoria, necessità di riorganizzare le relazioni familiari, etc.

La relazione che si instaura tra il counselor (questo è il nome del professionista) ed il proprio cliente è una relazione basata sull’accoglienza, l’ascolto, l’empatia, la disponibilità alla comprensione ed il sostegno. L’obiettivo che il rapporto di counseling si prefigge è infatti quello di trovare, attraverso la ricerca di una strategia, una strada per rendere possibili le scelte del cliente (Pagani, 1998).

La scelta di mantenere il nome inglese per questa professione (counselling – con la doppia elle – secondo l’inglese britannico e counseling – con una sola elle – secondo la dicitura statunitense) ha creato alcuni problemi di comprensione ed inquadramento: molti infatti tendono a tradurre il termine counseling con l’italiano consulenza o, peggio ancora, con consiglio.

Il counselor in realtà non è un consulente, o almeno non lo è nell’accezione tecnica che riveste questo termine nella nostra lingua. Il consulente infatti è un esperto in un dato campo, alle cui competenze il cliente generalmente ricorre per avere risposte ad un quesito posto. Da questo punto di vista il counselor non dà risposte ma, come abbiamo visto, accompagna il cliente in un percorso di consapevolezza, crescita e maturazione che può portare a più risposte.

Parimenti il counselor non dà consigli di alcun genere, infatti «uno degli elementi distintivi del counseling rispetto alla situazione del consiglio è che, nel primo caso, la relazione si svolge con un esperto ed è finalizzata alla ricerca di una strategia per rendere possibili scelte o modifiche, nel secondo caso, invece, la relazione è paritaria e consiste nel suggerire» (Pagani, 1998).

Recentemente in Italia il counseling sta avendo uno sviluppo inaspettato. Sempre più spesso scuole, ospedali, comunità ed enti locali ricorrono a questa nuova professionalità con lo scopo di offrire un servizio di qualità alla cittadinanza.

Le ragioni di questo successo sono molteplici, e sono da individuarsi prevalentemente nella capacità del counseling di rispondere in tempi brevi ai bisogni di una società che rapidamente muta con il passare degli anni.

Non è tuttavia da sottovalutare anche l’aspetto culturale. Sempre di più infatti, una grande fetta della società che – a torto o a ragione – non si sente malata, tende a rifuggere quegli interventi che nel suo immaginario sono percepiti come sanitari (l’intervento psicologico, psichiatrico, medico in genere).

Questo vale in particolare per quel mondo che è sano per definizione: quello dell’azienda, dello spettacolo, dell’arte, dello sport, della scuola, della politica, dell’ambiente, del diritto (Adami Rook, Ciofi, 2005).

Questo mondo, poiché non ritiene di doversi curare, sempre più frequentemente fruisce dell’intervento di counseling, in quanto percepito più rispettoso e meno invadente rispetto ad altri interventi.

Ambiti di intervento del counseling professionale

Data la sua particolare elasticità e capacità di adattarsi facilmente alle situazioni di crisi che di volta in volta si possono presentare, non esiste un ambito specifico di intervento del counseling.

In ambito comunitario il counseling si rivolge a tutte quelle strutture precostituite quali la scuola, l’azienda, l’ospedale, la comunità. In tale settore il counseling può offrire sia uno spazio d’ascolto individuale circoscritto al contesto in cui si trova ad operare (pensiamo ad esempio ad uno sportello d’ascolto scolastico), sia uno spazio di lavoro gruppale rivolto a categorie omogenee (gruppi rivolti ad infermieri, operatori di comunità, insegnanti, educatori, etc.). Appare evidente di come, all’interno della comunità in senso lato, il leit-motiv – nonché obiettivo primario – dell’intervento di counseling, sia il raggiungimento di una comunicazione di qualità, fondamentale per il corretto funzionamento di tutta la struttura.

In ambito privato il counseling si rivolge al singolo, alla coppia, alla famiglia nella sua interezza e al gruppo al di fuori di una struttura istituzionale. Qui si affrontano tematiche di tipo personale. Il counselor aiuta il proprio cliente ad esaminare in maniera dettagliata la situazione o i comportamenti che si sono rivelati problematici, cercando di trovare un punto dal quale sia possibile originare un cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor, lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere le sue decisioni e porle in essere (BACP, 1990).

Interessante notare di come il counseling sia riuscito facilmente ad adattarsi a contesti anche molto circoscritti.

Pensiamo ad esempio al così detto counseling spirituale, ovvero l’accompagnamento spirituale in ambito vocazionale o pastorale effettuato da un professionista laico o religioso. In una prospettiva di cammino teologale, il counselor spirituale è un vero e proprio accompagnatore, come nella tradizione – ad esempio – della scuola carmelitana.

Oppure al counseling di accompagnamento alla morte (end-life counseling) che opera nell’assoluta convinzione che tutte le complesse relazioni che si instaurano attorno al morente non si esauriscano, appunto, solo con la morte.

Al career counseling, un percorso «per mettere a fuoco capacità e competenze in prospettiva della ricerca di un nuovo impiego» (Danon, 2009). Un counselor di carriera, appunto, che non si occupa solo di orientamento professionale o bilancio di competenze, ma accompagna il proprio cliente durante tutto il processo di ricerca di un nuovo posto di lavoro, aiutandolo a rafforzare la propria auto-immagine attraverso una corretta scelta lavorativa.

O l’exit counseling, particolare specializzazione, che accompagna e sostiene gli ex membri di “culti abusanti” e i loro familiari. Un counselor che indaga i sottili e subdoli meccanismi di riforma del pensiero, del controllo delle emozioni e del comportamento che stanno alla base della prassi dei “culti abusanti”, che procedono annullando le conoscenze dell’adepto per ricostruirne altre, conformi all’ideologia del leader.

Le abilità del counseling

Vale la pena tuttavia ricordare di come il counseling sia portatore di un bagaglio, per così dire, tecnico, spendibile in molti contesti professionali. Si tratta delle così dette abilità di counseling (Hough, 1999): empatia, ascolto attivo, gestione della relazione, gestione del gruppo e delle sue dinamiche, etc. Tutte abilità che non necessariamente vanno a costituire una professione a se stante, ma possono andare ad arricchire il bagaglio culturale di professionisti che già operano in precisi ambiti professionali con ruoli definiti: l’insegnante, l’infermiere, lo psicologo, il mediatore, il responsabile delle risorse umane, l’educatore, l’operatore di comunità, l’assistente sociale, etc.

Qui il professionista decide di effettuare un’ulteriore formazione per acquisire delle abilità specifiche da utilizzare nello svolgimento del proprio lavoro abituale. Ad esempio l’insegnante che, trovandosi ad operare con un gruppo (il gruppo-classe), decide di acquisire strumenti di gestione del gruppo stesso e delle sue dinamiche. Oppure l’assistente sociale che, nell’ottica di una miglior comprensione delle situazioni di disagio sociale che si trova a dover affrontare, si forma in particolare sulle abilità di ascolto (il così detto ascolto attivo, dove l’ascoltare va al di là del solo sentire, poiché il suo obiettivo è il comprendere).

Recentemente anche le abilità di counseling, all’interno di certi contesti, stanno avendo uno sviluppo di sicuro interesse per i professionisti della relazione. Emblematico è il caso degli ospedali e delle strutture sanitarie in genere che, sempre più spesso, sentono la necessità di avere dei medici capaci di ascoltare attivamente il proprio paziente, affinché la visita non si riduca ad una anamnesi meramente fisica. Oppure laddove vi è la necessità di comunicare al paziente una diagnosi particolarmente infausta.

Formarsi nel counseling

Quando si deve raggiungere una meta, si possono scegliere più strade, più percorsi. Le variabili sono molte: spaziali, temporali, personali. Vi sono diverse impostazioni di counseling, ognuna delle quali si ispira ad una particolare scuola della psicologia (umanistica, sistemica, psicoanalitica, cognitivista, etc.), piuttosto che ad un particolare tema di interesse (la religione, la filosofia, l’ecologia, etc.) (Danon, 2009).

In Italia le varie scuole di formazione in counseling, raccordate anche dalle associazioni professionali di categoria, seguono in linea di massima degli standard formativi comuni. Il percorso di formazione in counseling è generalmente un percorso triennale. Vi sono delle materie propedeutiche, o aspecifiche, necessarie per porre le basi teoriche: psicologia generale, psicologia sociale, psicologia dei gruppi, etc. Vi sono poi le materie di indirizzo, o specifiche, che servono per apprendere la professione: teoria e tecniche della comunicazione, tecniche di counseling, deontologia professionale, etc.

Un dato che accomuna la quasi totalità delle scuole è quello di prevedere, parallelamente ad un percorso di studio e accrescimento culturale, anche un percorso di crescita personale, teso fondamentalmente a far sì che il counseling sia esercitato al di là dei propri pregiudizi e della propria – più o meno rigida – visione del mondo (May, 1991).

Durante il triennio il gruppo-classe diventa un vero e proprio gruppo di lavoro all’interno del quale ci si confronta e si matura prima di tutto come individui. Attraverso le simulate, i giochi di ruolo, le video riprese, sotto la costante supervisione di uno o più formatori esperti.

Esercitare il counseling

Il counseling in Italia non è ancora oggi una professione regolamentata, lo Stato cioè non definisce dei criteri minimi necessari per esercitarla, come invece avviene per professioni quali quella di medico, architetto, ingegnere, notaio, etc..

Si può dunque esercitare il counseling con le modalità che la Legge prevede per una qualunque altra professione (libera professione, rapporto di collaborazione, rapporto subordinato, etc.).

Tuttavia, per sopperire alla mancanza di una norma, anche nell’ottica di seguire i modelli professionali sviluppatisi in molti altri Stati europei, sono nate le associazioni professionali di categoria, con l’obiettivo primario di garantire l’utenza dei counselor attraverso un continuo monitoraggio delle competenze dei professionisti di volta in volta accreditati (Fani, Valleri, 2009).

Oggi, per poter ottenere l’iscrizione ad una di queste associazioni, occorre dimostrare una formazione specifica in counseling, superare un esame di valutazione professionale, rispettare un codice deontologico ed aggiornarsi costantemente (life-long learning) (Valleri, 2008).

Attualmente, anche a seguito dell’emanazione di un Decreto Legislativo nel 2007[3], sono allo studio del Parlamento e del Governo varie proposte tese a riformare le professioni[4].

Bibliografia

Adami Rook, P., Ciofi, R. (2005). Editoriale. In: Vertici (Ed.). Simposio. Rivista di Psicologi e Psicoterapeuti, 1(1):3.

BACP (1990). What is counselling? In: www.bacp.co.uk/education/whatiscounselling.html (URL consultato il 14 gennaio 2010)

Camusi, M.P., Deiana, A. (a cura di) (2000). CNEL. Quarto rapporto di monitoraggio. Roma: Percorsi.

Danon, M. (2009). Counseling. L’arte della relazione d’aiuto attraverso l’ascolto e l’empatia. Milano: Red!

Fani, L., Valleri, T. (2009). Counseling professionale e dintorni. In: http://www.assocounseling.it/approfondimenti/articolo.asp?cod=89 (URL consultato il 14 gennaio 2010)

Galimberti, U. (2006). Dizionario di Psicologia. Torino: UTET.

Hough, M. (1999).  Abilità di counseling. Trento: Centro Studi Erickson.

May, R. (1991). L’arte del counseling. Roma: Astrolabio-Ubaldini.

Pagani, P.L. (1998). I principi dell’incoraggiamento. In: Sanfilippo, B. (a cura di). Itinerari adleriani. La psicologia del profondo incontra la vita sociale. Milano: FrancoAngeli.

Parsons, F. (1909). Choosing a vocation. Boston: Houghton Mifflin.

Valleri, T. (2008).  Decreto Legislativo “Qualifiche”: al via il riconoscimento delle associazioni professionali. In: Vertici (Ed.). Simposio, Rivista di Psicologi e Psicoterapeuti, 4(1):9.

Web references

AssoCounseling – Associazione professionale di categoria, www.assocounseling.it

BACP – British Association for Counselling and Psychotherapy, www.bacp.co.uk

 

 


[1] Il 18 maggio 2000 il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) censisce il counseling tra le nuove professioni emergenti.

[2] Il termine counseling viene usato per la prima volta negli USA da Frank Parsons nel 1908.

[3] Decreto Legislativo n° 206 del 6 novembre 2007 (GU n° 261 del 9 novembre 2007, SO n° 228).

[4] Cfr., ad esempio: Senato della Repubblica, DdL n° 1464 del 19 marzo 2009; Senato della Repubblica, DdL n° 1329 del 21/01/2009; Camera dei Deputati, PdL n° 1934 del 20 settembre 2008; Consiglio del Ministri n° 28 del primo dicembre 2006.

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