Dipendenza da gaming online: psicobiologia del fenomeno

 In @buse, N. 4 - dicembre 2020, Anno 11

Le neuroscienze, tramite studi di neuroimaging, suggeriscono che le persone che soffrono di Internet Addiction Disorder (IAD), in modo analogo ad altre forme di dipendenza, sarebbero caratterizzate da un deficit del sistema dopaminergico a capo dei meccanismi di ricompensa e punizione. Un recente studio condotto da una squadra di ricercatori cinesi si è proposto di verificare se le anomalie a scapito del sistema dopaminergico, riscontrate in persone con tossicodipendenza, fossero presenti anche in persone affette da IAD (Hou, Jia, Hu, Fan, Sun e Zhang, 2012). Tramite utilizzo di tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT), si è esaminato un campione di 5 persone affette da dipendenza da internet (età media 20 anni con uso medio di internet di 10 ore al giorno), e 9 soggetti di controllo al fine di individuare eventuali anomalie nei livelli del trasportatore striatale della dopamina (DAT). Nessun partecipante aveva mai utilizzato sostanze illecite o soffriva di disturbi psichiatrici e neurologici. Dall’analisi dei risultati della SPECT è emersa una alterazione dei livelli di espressione del trasportatore striatale della dopamina nei soggetti affetti da IAD rispetto al gruppo di controllo. I risultati di questo studio forniscono alcune evidenze scientifiche che suggeriscono come la dipendenza da Internet possa indurre una riduzione significativa dei livelli di DAT nel cervello, e che la IAD sia associata a disfunzioni nel sistema dopaminergico. Inoltre, tali risultati supportano la tesi secondo cui la IAD condividerebbe anomalie neurobiologiche comuni anche ad altri disturbi da dipendenza (Mulè, 2008).

La IAD potrebbe causare anche anomalie a scapito della materia grigia cerebrale: uno studio condotto da Yuan e colleghi (Yuan K. et al., 2011) ha dimostrato che i soggetti affetti da dipendenza da Internet mostravano una minore densità della materia grigia nel lato sinistro della corteccia cingolata anteriore, della corteccia cingolata posteriore, dell’insula e del giro linguale, rispetto ai coetanei del gruppo di controllo.

Le regioni cerebrali dove è stata individuata una riduzione della materia grigia sono state concettualmente collegate alle aree cerebrali responsabili di modulare il comportamento emotivo.

Oltre a modifiche della materia grigia, si ritiene che la dipendenza da Internet possa alterare l’integrità microstrutturale delle principali vie neurali, in relazione alla durata della dipendenza. Inoltre, una dipendenza a lungo termine provocherebbe anomalie cerebrali strutturali che sarebbero associate a disturbi funzionali nel controllo cognitivo in soggetti con IAD (Ko, Yen, Yen, Chen e Chen, 2012).

Per verificare tale ipotesi, un recente studio condotto da Zhou e colleghi (Zhou Y. et al., 2011), ha esaminato la morfologia cerebrale di un campione di adolescenti utilizzando tecniche di morfometria ottimizzata basata su voxel[1]. Esaminando i valori di anisotropia frazionaria (FA) della materia bianca in ciascun partecipante, è emerso che i soggetti con IAD riportavano valori minori in corrispondenza del giro paraippocampale destro.

Secondo gli autori, bassi valori di FA riscontrati nel giro paraippocampale destro dimostrerebbero come le anomalie della materia bianca sarebbero alla base dei deficit di memoria di lavoro nei soggetti con IAD. Al contrario, i valori di FA aumenterebbero in corrispondenza della capsula interna del limbo posteriore sinistro, che è collegato alla corteccia motoria primaria. Una possibile spiegazione è data dal fatto che i soggetti con IAD trascorrono molto tempo a giocare con i videogiochi e questo “allenamento” degli arti superiori ha modificato la struttura della materia bianca nella capsula interna, rafforzando la FA. A tutti i partecipanti, inoltre, sono stati somministrati sei differenti questionari per definire i tratti comportamentali: la Young’s Internet Addiction Scale (YIAS), la Time Management Disposition Scale (TMDS), il Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ), la Barratt Impulsiveness Scale-11 (BIS), lo Screen for Child Anxiety Related Emotional Disorders (SCARED) e il Family Assessment Device (FAD).

L’atrofia della materia grigia e i cambiamenti relativi alla materia bianca rilevati in questo studio rappresenterebbero una compromissione funzionale della capacità di controllo cognitivo in persone con dipendenza da Internet (Young, 2007; Yuan, Qin, Liu e Tian, 2011). Dunque, secondo i ricercatori questi risultati suggeriscono che l’integrità della materia bianca possa rappresentare un nuovo potenziale target per il trattamento della dipendenza da Internet.

Collegamento tra gaming online e comportamenti dipendenti

Il gioco è per definizione un «esercizio singolo o collettivo a cui si dedicano bambini o adulti, per passatempo, svago, ricreazione, o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o le forze fisiche» (Enciclopedia Treccani, 2016). Il gioco, oltre al lato puramente ludico, ha un’importanza storica e culturale, e presenta una grande varietà di aspetti sociologici, filosofici e psicologici, facendo parte di una situazione tipica della realtà quotidiana non solo per i bambini e gli adolescenti, ma anche per gli adulti.

Il gioco può subire mutamenti culturali e geografici, passando da funzioni rituali e religiose a semplice intrattenimento, e si è sviluppato in parallelo con la storia dell’uomo. Un esempio immediato è rappresentato dal labirinto, che nel medioevo cristiano svolgeva un ruolo ricreativo didattico riproducendo percorsi dei pellegrinaggi religiosi, mentre già nel rinascimento era ridotto a puro elemento ludico e decorativo nei giardini (Lhôte, 1994). L’atto di giocare, con o senza l’utilizzo di congegni o materiali di supporto, è insito nella natura umana, ed è un’attività che prosegue durante tutto il ciclo di vita, cambiando forma e funzionalità per assecondare gli interessi che si definiscono e si affinano durante lo sviluppo dell’individuo. Tra tutti i giochi, i più diffusi e ramificati sono quelli da tavola, che trovano la loro testimonianza più antica negli scavi di Ain Ghazal (7000-5000 a.C) nel gioco del mancala, un gioco per due persone simile all’odierno backgammon (Murray, 1952; Bell, 1979). Il settore dei giochi da tavola ha continuato a svilupparsi fino ai giorni nostri: ne vengono prodotti una grande varietà distinti per età e numero di giocatori, interessi, manualità, strategia, grafica, componentistica, etc. ed il loro mercato continua a resistere ed a incrementarsi annualmente nonostante l’avvento della tecnologia. Se prendiamo in considerazione la globalità dell’industria ludica invece, ad oggi il mercato del gioco è largamente dominato dai videogiochi, intendendo con questo termine un qualsiasi gioco che venga eseguito tramite l’ausilio di computer o console, che siano essi domestici oppure tascabili. Con la diffusione di internet inoltre questo mercato si è allargato in maniera esponenziale, permettendo a chiunque in qualsiasi parte del globo ed in qualunque momento della giornata di accedere a giochi sempre disponibili online da poter fare in solitario, contro l’intelligenza artificiale o contro uno o più individui connessi in quel momento a quel determinato server[2].

Ma qual è il confine dove il gioco smette di avere la sua valenza puramente ludica e sfocia in quello che possiamo definire un disturbo o una patologia? Già dagli anni ’80 del secolo scorso, alcuni giochi preinstallati nei sistemi operativi forniti alle aziende, come campo minato o solitario della Microsoft, iniziavano a costituire dei problemi per quelle società in quanto alcuni loro dipendenti passavano gran parte del tempo lavorativo impegnati in questi passatempi piuttosto che a svolgere le loro mansioni; ma è stato lo sviluppo massiccio di giochi di ruolo online, con la conseguente osservazione di comportamenti disadattivi che alcuni giocatori attuavano, ad aprire il vaso di Pandora sul fenomeno della dipendenza da videogiochi. Le ultime versioni del DSM (DSM-5) e dell’ICD (ICD-10) non includono nella sezione diagnostica la dipendenza specifica da gioco online o videogioco. Nel 2013 è stata inserita nella sezione III “Condizioni che necessitano di ulteriori studi” del DSM-5, la proposta di diagnosi per Disturbo da gioco su Internet, sezione dove si includono diagnosi sperimentali che hanno bisogno di ulteriori ricerche ed approfondimenti (American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – Fifth Edition (DSM-5), 2013). Seguendo un ragionamento di tipo logico deduttivo, si sono comparati i comportamenti dei videogiocatori eccessivi con quelli derivanti da uso di sostanze, poiché i sintomi includono tolleranza, desiderio e conseguenze negative sulla vita quotidiana, arrivando alla conclusione che l’uso eccessivo dei giochi online potrebbe essere considerato una forma di dipendenza comportamentale. A supportare questa tesi, l’uso delle tecniche di neuroimaging ha mostrato il coinvolgimento del sistema di ricompensa cerebrale e di alcune sue aree come lo striato ventrale durante il gioco come accade durante una dipendenza da sostanze.

In breve, le persone che hanno una dipendenza e quelle a rischio sono quelle che generalmente hanno una deficienza del sistema della ricompensa che solitamente viene compensata con l’assunzione di droghe, ed è stato provato che questa deficienza non è una conseguenza della dipendenza ma un fattore con-causale di essa insieme ad alcuni tratti della personalità come la ricerca di novità e il basso evitamento del danno (Joutsa, Saunavaara, Parkkola, Niemelä e Kaasinen, 2011). In questo contesto, la questione fondamentale è chiedersi se gli individui che giocano frequentemente online abbiano anche loro un sistema di ricompensa carente simile a quello dei tossicodipendenti e degli individui a rischio di dipendenza. Questa carenza nel sistema di ricompensa e gratificazione potrebbe fornire una base neurologica per i comportamenti osservati nei “giocatori eccessivi” simili a quelli attuati dai tossicodipendenti: è importante sottolineare che questa deficienza nel sistema endogeno della ricompensa fornirebbe un collegamento diretto tra il disturbo da gaming online e la ricerca comportamentale incentrata sulle tossicodipendenze.

Per poter effettuare queste comparazioni, sono stati effettuati degli studi sui giocatori di gioco di ruolo online di massa o MMORPGs (Massive(ly) Multiplayer Online Role Play Games), in quanto popolazione di giocatori online più vasta ed eterogenea per età e cultura di provenienza (Han et al, 2014).

Tramite gli studi effettuati su giocatori di World of Warcraft, uno degli MMORPGs più diffuso ed usufruito, si evidenzia che i giocatori mostrano un decremento significativo di attivazione neurale durante l’anticipazione della ricompensa nello striato ventrale, così come accade nelle popolazioni dipendenti. I giocatori mostrano una risposta ad una grande ricompensa nello striato ventrale destro, che nei non giocatori corrisponde alla zona di attivazione in seguito ad una piccola ricompensa; inoltre è stato riscontrato che nei giocatori la presentazione di una piccola ricompensa non elicita significanti attivazioni. Questa alterazione delle neurodinamiche dello striato ventrale si mostra indipendentemente dagli stimoli legati al gioco, implicando una generalizzazione a tutti gli aspetti della vita quotidiana in cui il processo di ricompensa è legato (Volkow, Fowler, Wang e Goldstein, 2002).

Mentre gli esatti meccanismi fisiologici che causano questa omogeneità regionale sono sconosciuti, è stato ipotizzato che un’elevata sincronizzazione frequente dei voxel nel corpo striato potrebbe compromettere la sua abilità nel rispondere alla stimolazione: anche se questo potrebbe spiegare il motivo per cui la diminuzione di risposta alla stimolo è stata associata con un’alta omogeneità regionale in diversi studi, è necessario che si svolgano ulteriori indagini sulle basi neurali dell’omogeneità regionale (Hahn, Notebaert, Dresler, Kowarsch, Reif, Fallgatter, 2014).

Le problematiche affrontate in questi studi purtroppo riscontrano dei limiti per quanto riguarda la generalizzazione dei risultati: sebbene gli utenti di MMORPGs siano in prevalenza maschi di etnia asiatica, ed i campioni per ora selezionati rispecchino questa prevalenza, le ricerche dovrebbero provvedere ad approfondire le differenze neurofisiologiche nei giocatori di sesso ed etnie diverse. Inoltre, bisogna sempre tenere in considerazione che queste ricerche sono state effettuate su individui che possono essere ad oggi definiti giocatori abituali o frequenti, in quanto i criteri diagnostici per la dipendenza da giochi online sono ancora in via di definizione; pertanto questi soggetti possono essere considerati potenzialmente a rischio per la dipendenza senza mostrare segni di un disturbo psichiatrico.

Tuttavia, è stato riscontrato che i giocatori online, insieme agli utilizzatori generali di internet anche non a scopo ludico, sono più giovani, più istruiti e tendono a guadagnare di più rispetto alla popolazione che non usa internet; questo, insieme ad altri fattori personali e sociali, può arginare od evitare effetti potenzialmente nocivi anche negli individui che utilizzano assiduamente internet (heavy users).

In conclusione, si può certamente affermare che esiste un parallelismo tra la dipendenza comportamentale dall’uso di giochi online e le dipendenze da uso di sostanze, dato che in entrambe le dipendenze si riscontra un sistema di ricompensa cerebrale generalmente carente, così come si ritrova anche nella dipendenza da gioco d’azzardo (Takahashi et al., 2010. Winstanley, Cocker & Rogers, 2011). La dipendenza da giochi online condivide con la dipendenza da sostanze, a livello molecolare, sia le variazioni di rilascio e ricaptazione dei neurotrasmettitori (alterazione del sistema dopaminergico legato al circuito della ricompensa) che le alterazioni comportamentali (controllo degli impulsi, inibizione, controllo cognitivo). Tali mutamenti aiutano a spiegare la comparsa di comportamenti correlati alla dipendenza da sostanze anche senza l’assunzione di esse, come si osserva nei giocatori online eccessivi.

Conclusioni

Gli ultimi dati raccolti alla fine del 2016 dalla Federazione Europea dei Software Interattivi (ISFE, Interactive Software Federation of Europe) per profilare il giocatore medio decretano che la maggior parte dei videogiocatori ha tra i 15 ed i 25 anni, sebbene in alcuni paesi, come la Germania, si registrino molti videogiocatori fino ai 64 anni di età, indipendentemente dal sesso: conseguentemente, essendo gli adolescenti i più grandi videogiocatori, ed essendo l’adolescenza una fase critica nel ciclo di vita dell’individuo, molte ricerche ed ipotesi sono state discusse sui possibili benefici o deficit che l’utilizzo di questo medium possa portare.

I quesiti che sollevano l’interesse dell’opinione pubblica e della comunità scientifica non si sono fermati solo alla violenza nei videogiochi, ma si sono allargati anche ai problemi dovuti al non riuscire a sostenere l’attenzione per un periodo prolungato, alla mancanza di socializzazione e di confronto tra pari e alla depressione (Youn, Lee, e Doyle,2003).

Per quanto riguarda il potenziale dei video giochi nel ridurre l’attenzione, la questione si sposta al tipo di attenzione che stiamo studiando: se si intende la capacità di concentrarsi su un flusso di informazioni in lenta evoluzione, come ad esempio prestando attenzione in classe, ricerche recenti suggeriscono che il passare troppo tempo a giocare ai videogame può avere effetti negativi. Tuttavia, se si intende l’abilità di escludere le distrazioni e concentrarsi rapidamente su stimoli che sono presentati rapidamente, allora è chiaro che la riproduzione di giochi d’azione migliora notevolmente questa capacità. Diversi studi hanno riportato che i video giochi migliorano la capacità visuo-spaziali, l’acuità visiva, il multitasking, il passare rapidamente da un compito all’altro, le capacità di problem solving ed il processo decisionale in individui sani (Glass, Maddox e Love, 2013).

Inoltre, per quanto riguarda i minori e i fattori di rischio intervenienti nella formazione del carattere di individuo sono molteplici e vari, anche se è stato dimostrato che il solo divertirsi con videogiochi violenti non è sufficiente a giustificare la comparsa di atteggiamenti violenti del giocatore in seguito alla sua esperienza con essi (Bavelier, Green, Han, Renshaw, Merzenich e Gentile, 2011).

Dunque, gli effetti dei videogiochi sul nostro cervello sono molteplici e non hanno sempre una connotazione ben delineata, ma quando è che il “passare molto tempo a giocare” si trasforma in una vera e propria dipendenza? Anche se la mancanza di standard ben definiti ha sicuramente ostacolato la ricerca in questo campo, pare esserci un consenso scientifico emergente nel constatare che l’atto di video giocare ha il potenziale per diventare una dipendenza patologica. Allo stato attuale, si utilizzano delle scale adattate da quelle sviluppate per diagnosticare il gioco d’azzardo patologico per poter capire se un individuo è patologicamente dipendente dai videogames (Lemmens, Valkenburg e Peter, 2009). Essere dipendenti significa, tra le altre cose, una riduzione effettiva della capacità che ci permettono di interagire normalmente con la nostra società; dunque un individuo che gioca cinque ore al giorno può non soddisfare i criteri per essere un utente patologico, mentre altri possono mostrare segni patologici nonostante l’uso sostanzialmente più ridotto. Una questione chiave per la ricerca futura riguarda la caratterizzazione dei percorsi neurali alla basa di questo uso patologico della tecnologia. Sappiamo che il percorso fronto-striatali, che media fortemente sia la tossicodipendenza e disturbi comportamentali come il gioco d’azzardo patologico, è anche attivato da alcuni videogiochi. Purtroppo, relativamente poco si sa circa l’andamento nel tempo di sviluppo dei percorsi neurali rilevanti, e ancor meno di come il loro sviluppo è influenzato dall’uso della tecnologia. I meccanismi attraverso i quali il gioco dei videogame innesca un così diffuso livello di plasticità cerebrale rimangono ancora da chiarire. Oltre al chiaro interesse teorico, approfondimenti di questi studi apporteranno dei benefici pratici in quanto si potranno progettare giochi con scopi riabilitativi, di formazione e di istruzione. Una delle sfide più grandi è quella di capire meglio quali componenti del gioco siano essenziali per promuovere un’abilità particolare, sperando che in futuro i giochi saranno capaci di raccogliere dati sull’utente e contemporaneamente costruire il gioco più adatto a lui ed ai suoi scopi in tempo reale, che siano essi di apprendimento o ludici, evitando lo sviluppo di comportamenti dannosi per la salute dell’individuo.

In conclusione, è impossibile descrivere gli effetti dei videogiochi sulla cognizione e sul comportamento come esclusivamente positivi o negativi. Data la molteplicità degli esiti di questo fenomeno sulla natura umana si ritiene quindi necessario il proseguimento e l’approfondimento degli studi e delle ricerche su questo soggetto.

 

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  1. Un voxel (volumetric pixel o volumetric picture element) è un elemento di volume che rappresenta un valore di intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale, analogamente al pixel che rappresenta un dato di un’immagine bidimensionale. Nel neuroimaging, a prescindere di quale tecnologia venga usata, lo scanner produce una ‘mappa’ dell’area sottoposta a scansione che viene rappresentata sotto forma di voxel. Ogni voxel tipicamente rappresenta l’attività di una determinata coordinata nello spazio tridimensionale. L’esatta dimensione di un voxelvarierà dipendendo dalla tecnologia utilizzata, anche se tipicamente i voxel della fMRI rappresentano un volume di 27 mmq (un cubo con facce di 9mmq con spigoli di 3mm).

  2. Nel linguaggio gergale da videogiocatore vengono comunemente usate alcune sigle che classificano le tipologie con cui si distinguono le diverse dinamiche di gioco: PVP (Player Versus Player) è un termine che indica gli scontri tra due o più personaggi controllati da due o più persone; PVE (Player Versus Environment) indica scontri fra personaggi controllati da giocatori umani e quelli controllati dall’intelligenza artificiale; SOLO (modalità giocatore singolo) indica una modalità spesso PVE dove il giocatore deve avanzare nel gioco senza l’aiuto di nessuno; CO-OP (modalità cooperativa) è basato sulla presenza di altri videogiocatori che si aiutano a vicenda per completare le missioni.