Avvocato minorile ed interesse del minore

 In ProfessioneFormazione, N. 1 - marzo 2016, Anno 7

Quando si discute circa il ruolo che l’avvocato riveste nelle procedure che riguardano soggetti minorenni è senz’altro importante soffermarsi a riflettere sugli interessi che il difensore minorile si trova a tutelare (l’interesse, il miglior interesse o semplicemente la volontà); le relazioni che deve instaurare (con i genitori, con gli avvocati dei genitori, con i consulenti, con gli assistenti sociali, con i magistrati e con i giornalisti); i rapporti con le altre figure che a vario titolo sono coinvolte nella tutela dei diritti e del benessere del minore, infine le norme deontologiche che presiedono allo svolgimento dell’attività dell’avvocato del minore. Non è, infatti, scontato che l’avvocato del minore, nell’espletamento del proprio mandato, debba ispirarsi al principio di minima offensività rispetto ai tempi ed ai contenuti del giudizio; debba privilegiare forme di ascolto del minore in forma protetta nell’ambito del giudizio; debba individuare una soluzione il più possibile concordata della vicenda, nel rispetto dell’interesse del suo assistito; possa richiedere informazioni che ritenga utili ai genitori, alle persone affettivamente significative per il suo assistito, agli educatori, al personale sanitario, all’assistente sociale ed ad ogni altro soggetto che ritenga utile ovvero opportuno; debba intrattenere con tutti gli altri soggetti e professionisti che a vario titolo si occupano del suo assistito rapporti improntati a correttezza, lealtà e spirito di collaborazione reciproci.

Altro nodo da sciogliere, poi, riguarda certamente la capacità di discernimento dell’assistito minore e le difficoltà che sorgono nel raccogliere e interpretare la sua volontà, soprattutto su come agire di fronte all’eventualità di sue richieste che possono apparire contrastanti con il suo interesse. In tali circostanze prendere in considerazione la volontà ed il supremo interesse del minore, anche per il tramite di esperti incaricati dall’avvocato stesso, sarebbe forse la strategia migliore. È facoltà dell’avvocato del minore la nomina, anche prima del giudizio, di un consulente al fine di accertare la capacità di discernimento del minore; nel caso di manifesta contrarietà alle richieste del proprio assistito con il suo interesse è possibile che l’avvocato del minore dismetta il proprio mandato richiedendo la nomina di un curatore speciale. Di certo sarebbe utile che l’avvocato del minore si astenga, salvo che per effettuare rettifiche a notizie già diffuse, da ogni e qualsiasi divulgazione sul procedimento che riguardi il suo assistito, riconoscendosi che ogni osservazione nei confronti dell’autorità giudiziaria e degli operatori istituzionali chiamati a collaborarvi non potrà essere diffusa pubblicamente, come previsto dal codice deontologico forense (art. 18, comma 1 – art. 57 C.D.).

Si avverte, come sempre più necessaria, una preminente specializzazione dell’avvocato del minore e l’esigenza che l’avvocato del minore sia specializzato ed abbia una formazione estesa anche alle metodologie di comunicazione con il minore ed alla psicologia delle relazioni familiari.

Utile, senza dubbio, richiamare l’attuale formulazione dell’art. 56 del codice deontologico forense che prevede: «1. L’avvocato non può procedere all’ascolto di una persona minore di età senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi. 2. L’avvocato del minore, nelle controversie in materia familiare o minorile, deve astenersi da ogni forma di colloquio o contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto di esse. 3. L’avvocato difensore nel procedimento penale, per conferire con persona minore, assumere informazioni dalla stessa o richiederle dichiarazioni scritte, deve invitare formalmente gli esercenti la potestà genitoriale, con indicazione della facoltà di intervenire all’atto, fatto salvo l’obbligo della presenza dell’esperto nei casi previsti dalla legge e in ogni caso in cui il minore sia persona offesa dal reato. 4. La violazione dei doveri e divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da sei mesi a un anno».

La dottrina ha elaborato nel corso degli ultimi anni importanti linee guida, stabilendo che:

  • l’avvocato deve ritenere primari i legami familiari ed il benessere fisico e psicologico del minore, ad esempio nelle procedure di affidamento sarebbe auspicabile che il minore continui ad intrattenere i rapporti con entrambi i genitori, anche dopo la separazione. Così facendo si garantirebbe anche il diritto dei genitori stessi a condividere le rispettive responsabilità genitoriali;
  • l’avvocato deve per quanto gli è possibile tentare una soluzione concordata della vertenza, e favorire, anche nel corso della causa, l’accesso del proprio assistito o dei propri assistiti a procedure di conciliazione o di mediazione familiare delle situazioni conflittuali.

L’esperienza dell’avvocato minorile è senz’altro complessa sia sotto il profilo emotivo che professionale. Emotivo in quanto rapportarsi con un bambino/a o adolescente innesca un processo mentale che conduce il professionista a non fare scelte processuali solo ed esclusivamente per ottenere l’obiettivo prefissato, ma ad optare per soluzioni, che talvolta possono anche richiedere tempistiche più lunghe, auspicando si tratti delle scelte più giuste per non deludere quelle che sono le aspettative, i bisogni e le necessità del minore.

Si tratta dello svolgimento del mandato difensivo che impegna, oltre che nel rapporto con il minore, per il quale il professionista rappresenta la garanzia di una reale possibilità di partecipazione e difesa attiva all’interno del processo, anche in un lavoro di sinergia con gli altri professionisti coinvolti: medici, assistenti sociali, psicologi. Deve considerarsi poi che la crescente attenzione imposta dalla normativa internazionale (si pensi alla Carta dei Principi fondamentali dell’avvocato europeo ed alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo) alla centralità della posizione del minore, per una miglior promozione dei suoi diritti, rappresenta un cambiamento culturale prima ancora che giuridico perché si è passati dal concetto di tutela a quello di responsabilità: responsabilità genitoriale in seno alla famiglia e responsabilità sociale per le professioni che si occupano di tutela del minore. Da tale responsabilità sociale discende per il difensore minorile un dovere di competenza più specifico e multidisciplinare. La legge n 247 del 2012 di riforma dell’ordinamento forense, intitolata “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, già nel suo primo articolo pone in evidenza la “specificità della funzione difensiva” e la “primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta”. Viene sottolineato, in tal modo, il ruolo sociale dell’avvocato, come elemento essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica. In tal senso la Carta Dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo, al punto 6 del commento, recita: «Il compito dell’avvocato, a prescindere dal fatto che difenda una persona fisica, un ente o lo Stato, è quello di consigliare e rappresentare fedelmente il cliente, agendo come professionista rispettato dai terzi e come attore imprescindibile per la buona amministrazione della giustizia. L’avvocato che, riunendo in sé tutti questi elementi, persegua fedelmente gli interessi del suo cliente e garantisca il rispetto dei suoi diritti, svolge anche una funzione sociale, che è quella di prevenire ed evitare i conflitti e garantire che questi siano risolti secondo diritto, al fine di promuovere l’evoluzione del diritto e di difendere la libertà, la giustizia e lo Stato di diritto.». Tanto l’art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea quanto l’art.3 della Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo pongono l’accento sul perseguimento del “miglior interesse del minore”.

Il Codice Deontologico Forense, all’art. 12, illustra inoltre il “Dovere di competenza” in questi termini: «L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza. I. L’avvocato deve comunicare all’assistito le circostanze impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità dell’integrazione della difesa con altro collega. II. L’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico». A ribadire tale concetto è la Carta Dei Principi Fondamentali dell’avvocato europeo la lettera G recita: «L’avvocato non può fornire una consulenza o rappresentare efficacemente il cliente se non ha un’adeguata formazione professionale, formazione che deve essere permanente come risposta ai rapidi mutamenti del diritto e della pratica dell’avvocatura e del contesto economico e tecnologico». Dovere di competenza che si arricchisce in ambito minorile di contenuti nuovi, che travalicano i limiti della scienza giuridica: il criterio del miglior interesse del minore rende indispensabile un approccio multidisciplinare, che abbracci la conoscenza delle tecniche di comunicazione con i bambini e consenta all’avvocato di comprendere effettivamente i suoi reali bisogni.

Quanto contenuto nell’art. 12 del codice deontologico forense relativo al dovere di competenza deve essere integrato con quanto oggi normativamente previsto dalla legge di riforma dell’ordinamento forense n. 247/2012 che apre la strada alla specializzazione in ambito forense, prevedendo all’art. 9 la possibilità dell’avvocato, che abbia seguito corsi formativi di durata almeno biennale o che abbia comprovata esperienza professionale in un settore di ottenere e spendere il titolo di specialista.

Viene quindi riconosciuta la specialità della funzione difensiva, come punto cardine dell’amministrazione della giustizia, attribuendole l’altissimo compito di concorrere alla piena attuazione dei principi essenziali dell’ordinamento e dei diritti fondamentali di ciascun individuo. Il difensore, soprattutto nel settore di famiglia e minorile, nel quale entrano in gioco diritti inviolabili della persona, non può mirare acriticamente a “vincere la causa”, ove ciò si traduca in un pregiudizio per le fondamentali posizioni soggettive di altre parti ed in particolare del minore. La condizione di soggetto debole sul piano sia sostanziale che processuale e la delicatezza dell’interesse del minore impone a tutti gli attori del processo, compresi i difensori delle altre parti in causa, una speciale cura ed attenzione.

E se il minore assuma la veste di autore di reato? Come può l’avvocato del minore conciliare alcune importanti regole deontologiche con quelle che sono le specifiche finalità del processo penale minorile? Il processo penale minorile, con tutte le garanzie del processo ordinario, tende a limitare, per quanto possibile, gli effetti dannosi che il contatto con la giustizia può provocare e produce risposte adeguate alla personalità ed alle esigenze educative del minore. La giustizia penale minorile si adegua alla capacità del soggetto adolescente di valutare la portata della trasgressione e di sopportare il peso della sanzione, contemperando istanze di risposta pedagogica con le finalità retributive più generali della pena. Pertanto il minore, autore del reato, ha diritto all’adeguatezza nell’applicazione delle norme alla sua personalità ed esigenze educative; alla tutela della riservatezza; al diritto di informazione sugli atti, sulle fasi e provvedimenti adottati; alla possibilità di rapida uscita dal circuito penale attraverso istituti specifici previsti dall’ordinamento.

La specificità del diritto penale minorile sta proprio nel sistema delle risposte al reato. Il problema dell’accertamento dei fatti è invece tale e si pone in ugual modo nell’intero sistema della giustizia penale: il giudice è chiamato a dare risposta ad un problema di “verità”: verità da accertare nelle forme del giusto processo, nel contraddittorio fra le parti. Per il giudice il dovere di verità è aspetto essenziale del dovere di imparzialità, così come l’azione del PM è finalizzata all’accertamento dei reati. Per l’imputato minorenne e per il suo difensore però valgono principi diversi: l’imputato ha il diritto al silenzio e non ha l’obbligo di dire la verità (salvi limiti ad es divieto di calunnia o altri delitti contro l’amministrazione della giustizia). L’imputato minorenne ha diritto di difendersi e di essere difeso in tutti i modi consentiti dall’ordinamento: ha facoltà di tacere, può mentire senza incorrere in sanzioni.

Ma proprio la considerazione dell’interesse del minorenne imputato giustifica un importante interrogativo: le questioni di verità non hanno con tale interesse una relazione diversa e più stretta di quanto non avvenga in altri contesti della giustizia penale? Se è vero, infatti, che nel penale minorile sono in gioco destini personali, al di là di eventuali conseguenze sanzionatorie, chi assuma doveri di difesa del minore interviene in un campo in cui emergono una pluralità di obiettivi. Per le scelte della difesa è diverso operare in situazioni che, sul piano della prova, siano già compromesse (arresto in flagranza) o in situazioni ancora non ben definite.

La giustizia penale minorile offre esiti alternativi alla pena orientati al recupero del minore deviante e ciò sollecita inevitabilmente la difesa ad un approccio molto più complesso, al fine di individuare la soluzione migliore, tenendo sempre in considerazione lo sfondo esistenziale di una persona non adulta. La negazione dell’accusa come modello di difesa, che è lo schema tipico del processo penale in generale, nel caso della giustizia minorile si risolverebbe in una inutilità processuale cui aggiungere un esempio diseducativo per il reo. In tal senso il dovere di verità può far ipotizzare che per il minorenne che abbia compiuto fatti di una certa rilevanza, il fare i conti con quanto commesso, può essere una strada necessaria per ricostruire o costruire la propria personalità.

Le questioni di verità sono per il difensore dell’imputato minorenne un nodo importante da sciogliere prima ancora che sul piano processuale su quello personale, etico e morale. Sia che i minori siano “vittime” inconsapevoli, sia che si trovino a dover fare i conti con i propri errori, in ogni caso la loro “tutela” “interesse” “diritti” sono principi e valori cui ogni professionista non può sottrarsi per svolgere al meglio la propria professione e perché svolgerla non cagioni danni irreparabili. 

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