Educare
«Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte»
Dante Alighieri
Educare, dal latino e-ducĕre, letteralmente condurre fuori, liberare, far venire alla luce qualcosa di nascosto. Secondo il Vocabolario Etimologico Pianigiani, educare significa: «Aiutare con opportuna disciplina a mettere in atto, a svolgere le buone inclinazioni dell’animo e le potenze della mente, e a combattere le inclinazioni non buone: che è condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura, istillando abiti di moralità e di buona creanza[1]».
Gli antichi greci definivano paideia[2] il lungo processo di formazione dei futuri cittadini, che prevedeva l’apprendimento di determinate conoscenze e l’acquisizione di specifiche attitudini. Per Platone l’autentica educazione è solo quella che forma la capacità di pensare. Nessun valore hanno le apparenti conoscenze, cioè tutte quelle nozioni imparate e immagazzinate che però non hanno il potere di rendere diversi e migliori. Platone, nel Fedro, fa riportare a Socrate: «Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizia di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti[3]».
A sottolineare come istruire sia diverso da educare, Umberto Galimberti afferma: «Istruire significa trasmettere contenuti culturali per via intellettuale da una mente all’altra: dall’insegnante al discepolo. Educare significa curare la dimensione emotivo-sentimentale dei ragazzi aiutandoli a passare dalla pulsione all’emozione. La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore[4]».
Istruire ed educare sono dunque due modalità diverse di procedere. Educare implica un ascoltatore attento che riceve informazioni, qualcuno disposto a capire cosa poter «condur fuori» rispetto ad attitudini, potenzialità del soggetto parlante. Riguarda quindi una relazione, un percorso da fare assieme. Istruire, quale trasmissione di saperi – dal latino in-struĕre, da struĕre[5], ovvero costruire, nel senso di inserire, collocare dentro – richiede viceversa un ascolto attento da parte del soggetto che riceve l’istruzione stessa. Entrambi sono indispensabili per la crescita dei soggetti implicati, ma educare richiede una volontà e un impegno maggiore. Una dedizione che proviene da un interesse profondo verso colui che deve essere educato, una capacità di far emergere «le buone inclinazioni dell’animo e le potenze della mente».
Non vi può essere educazione senza disciplina. Quale primo canale di comunicazione normativa, il dovere di rendere consapevole l’educando delle regole e dei ruoli all’interno della sfera gerarchica famigliare, spetta ai genitori. Essi, «con opportuna disciplina», devono mettere in atto azioni idonee ad aiutare i figli a «combattere le inclinazioni non buone». Disciplina, intesa quale riconoscimento di responsabilità, espressa attraverso un comportamento di attenzione, interesse, partecipazione, costanza, solidarietà, spirito creativo e critico. Attitudini perseguibili e raggiungibili solo attraverso il dichiarato e applicato rispetto delle regole corrispondenti ad un giudizio negativo e sanzionatorio, qualora queste non vengano rispettate. Una coerenza del mondo degli adulti che permette di limitare e risolvere le situazioni di conflitto tenendo conto della giustizia. Una giustizia empatica, non inquinata da falsi buonismi, ma ancorata alla realtà da principi condivisi e non rinunciabili, che rendano consapevole l’educando del valore o disvalore delle proprie azioni. Una disciplina che si fa, nella sua pratica, consapevolezza.
Fondamento dell’intelligenza emotiva, la consapevolezza aiuta ad agire in modo riflessivo e equilibrato in coerenza con l’ambiente. Non è un superficiale essere informati, né un semplice ‘moto’ interiore, ma una condizione in cui la cognizione di qualcosa si fa profonda, tangibile, perfettamente armonizzata e coerente con il resto della persona. È quel tipo di sapere che dà forma all’etica, alla morale, alla condotta di vita, alla disciplina rendendole autentiche. È un «condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura, istillando abiti di moralità e di buona creanza». Un modo di essere che si fa prassi quando è accompagnata da un recupero profondo del senso e dell’uso corretto e appropriato della parola. Poiché una comunicazione corretta e rispettosa significa riappropriarsi della costruzione di legami che si fondano su affetti e sulla costruzione del senso di comunità. Da qui, deriva il concetto basilare di responsabilità, ovvero la capacità di rispondere al significato individuale di quanto ci viene quotidianamente richiesto. Un essere educati che diviene «un ornamento quando si è felici, un rifugio quando si è infelici[6]».
Educare è un processo continuo, mai del tutto compiuto, che impegna tutto l’essere, ma attraverso il quale la persona può realizzare pienamente sé stessa. Pienezza che viene resa possibile solo quando «mente» e «cuore» non solo sono aperti ma, come vasi comunicanti, tra loro si ‘parlano’.
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https://www.etimo.it/?term=educare ↑
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https://www.treccani.it/enciclopedia/paideia_(Dizionario-di-filosofia)/ ↑
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Tratto da: Platone, Fedro, 274c-276a ↑
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https://www.unina.it/-/20092734-istruire-o-educare-il-ruolo-del-docente-dalla-scuola-al-mondo-universitario- ↑
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https://www.treccani.it/vocabolario/istruire/ ↑
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Frammento attribuito a Democrito (framm. 68 B 180 Diels-Kranz). ↑