Narcisistici patologici e pericolosità socio-economica

 In Crimine&Società, N. 2 - giugno 2017, Anno 8

Il narcisismo patologico si configura come uno specifico disturbo di personalità (DNP), originante da un iper-investimento della libido sul Sé. Un sé non integrato, che mantiene scisse le rappresentazioni idealizzate del sé e degli altri, dando così origine ad un Sé “grandioso”.

Lo sviluppo più grave del disturbo si osserva quando la grandiosità dell’individuo si combina con una forte quota di aggressività. Si viene così a delineare il cd. “narcisismo maligno”, come coniato da Otto Kernberg. Questa particolare forma di narcisismo porta la persona ad aggiungere al suo Sé grandioso anche un delirio di onnipotenza. Addirittura, nella stragrande maggioranza dei casi, il delirio è incrementato dal senso di soddisfazione e vittoria che è raggiunto causando dolore e paura negli altri. Secondo Kernberg è proprio all’interno del tipo di “Organizzazione di Personalità Borderline” che il disturbo di personalità narcisistico dovrebbe essere inserito. Ovvero, senza voler esplorare campi che non sono propri a chi scrive, all’interno di quella categoria di soggetti per cui l’esame di realtà rimane intatto, mentre l’Io risulta non integrato e quindi deficitario nella capacità di unire gli aspetti positivi e negativi dell’Oggetto che vengono costantemente idealizzati o svalutati, attraverso l’uso di difese primitive come la scissione.

Vari sono stati, nel tempo, i tentativi di definizione (Lowen, Hirigoyen, Mammoliti, Secci, fra gli altri) del disturbo narcisistico patologico di personalità ma è senza alcun dubbio Alexander Lowen, ritenuto uno dei maggiori esperti del narcisismo perverso, a tratteggiarne senza pari le caratteristiche essenziali, riferendoci nel suo testo più noto sul tema “Narcisismo, l’identità rinnegata” (1985) che «[…] tutti i narcisisti che ho incontrato “si sentono” speciali. Ho posto “si sentono” tra virgolette perché il sentirsi speciali non è una sensazione corporea ma una costruzione mentale. Si tratta di una convinzione, di un pensiero, piuttosto che di un sentimento. […] L’immagine si colora di eccezionalità, diventa fuori del “comune”. Ma i valori associati all’immagine sono illusori; la sua superiorità e la sua forza non sono reali. I valori veri si trovano nell’interiorità dell’essere, nell’umanità della persona e non nella sua immagine».

Ed ancora, cercando di sceverare analiticamente la qualificazione della supposta “specialità”, Lowen continua precisandone le caratteristiche essenziali «[…] quali sono dunque gli attributi dell’individuo speciale? Facciamone un semplice elenco: 1) “Posso fare tutto” (onnipotenza), 2) “Sono visibile dovunque” (onnipresenza), 3) “So tutto” (onniscienza) e 4) “Devo essere adorato”. Questi, naturalmente, sono gli attributi di un dio. A un qualche profondo livello i narcisisti, e in particolare le personalità psicopatiche, si considerano dei piccoli dei. Troppo spesso, purtroppo, anche i loro seguaci li vedono in quella luce».

Per Paul-Claude Racamier, «il perverso relazionale non ha accesso ad una vera comunicazione con l’altro, non può averlo in quanto evita ogni confronto con la verità. Ciò che può fare, e che gli interessa davvero, è imporre, di questa, alla vittima, la propria versione. Non importa che cosa sia vero, importa che diventi vero ciò che lui afferma essere tale. La ‘vittima’ è il testimone deputato e necessario di questo sovvertimento».

È poi Marie-France Hirigoyen, psicoanalista francese esperta di vittimologia, a chiarirci che il narcisista perverso impone questo sovvertimento di realtà alla vittima perché ne ha bisogno, dal momento che «[…] è bloccato in questa modalità di relazione con l’altro […]. Individui del genere possono esistere soltanto ‘distruggendo’ qualcuno: hanno bisogno di sminuire gli altri per acquistare una buona stima di sé e conquistare il potere, perché sono avidi di ammirazione e approvazione. Non hanno né compassione né rispetto per il prossimo, perché il rapporto non li coinvolge».

È però altrettanto vero che il “prossimo” del disturbato patologico non ne avverte in prima battuta il carattere di pericolosità, altrimenti certamente non ne resterebbe irretito. A ben vedere, infatti, il perverso narcisista ha dalla sua una apparente spiccata sensibilità, tipica del migliore dei seduttori, da essere in grado di attrarre l’altro in modo irresistibile. La seduzione perversa si realizza sfruttando le debolezze altrui, esercitando un fascino capace di colmare tutti i bisogni dell’altro, quasi anticipandoli. È per questo, dunque, che la prima fase della relazione è, per così dire, “paradisiaca”. In realtà questo comportamento serve al disturbato per sedurre la “vittima” influenzandola, ed imporle, da ultimo, il proprio ascendente, la propria aggressività e violenza, privandola di ogni libertà e capacità di autodeterminazione. La vittima, soggiogata da chi, nella fase iniziale della conoscenza, era il simbolo della perfezione e della sensibilità, rimane confusa dal cambio di atteggiamento e di “toni” ed inizia a colpevolizzare sé stessa per non essere stata all’altezza di mantenere quell’attenzione e benevolenza nei suoi riguardi. L’unica via d’uscita da quello stato di stress e di frustrazione colpevolizzante è sottomettersi.

A questa breve (e non certo esaustiva) panoramica di studiosi che così egregiamente nel tempo hanno stilato i tratti caratterizzanti del disturbo, deve aggiungersi Robert Hare, uno tra i più ‘puntuali’ studiosi di narcisismo patologico che, forse fra i primi, negli anni ‘90 del secolo scorso ne mette in luce le fortissime ricadute sociologiche «[] questi psicopatici sono predatori intra-specie, che usano fascino, manipolazione, intimidazione e violazione, per controllare il prossimo e soddisfare i propri egoistici bisogni; mancando di morale ed empatia, riescono freddamente a prendere e a fare ciò che vogliono, violando norme e divieti sociali, senza il minimo senso di colpa o rimpianto».

Nelle pagine del “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-5) ritroviamo l’esatta definizione del narcisista perverso nelle cui pagine gli studi della dottrina anzidetta sono confluiti:

  • Ha un senso grandioso di importanza (per es., esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato/a superiore senza un’adeguata motivazione);
  • È assorbito/a da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale;
  • Crede di essere “speciale” e unico/a e di poter essere capito/a solo da, o di dover frequentare, altre persone (o istituzione) speciali o di classe sociale elevata;
  • Richiede eccessiva ammirazione;
  • Ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favori o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative);
  • Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi);
  • È spesso invidioso/a degli altri, crede che gli altri lo/a invidino;
  • Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi.

 

La pericolosità sociale

Le stime di prevalenza del DNP nella popolazione generale sono del 4%, mentre nella popolazione clinica variano dal 2% al 16%. Il disturbo non è ugualmente diffuso fra i due sessi. I maschi colpiti sono più numerosi delle donne, addirittura in una quota compresa tra il 50% e il 75%. Il DNP sembra diffuso quasi esclusivamente nei paesi capitalistici occidentali; il che apre giustappunto la strada alle considerazioni che questo articolo vuol mettere in luce.

Dall’analisi clinica sopra esposta e dai dati che lievitano in modo preoccupante anno dopo anno, infatti, non può non emergere la pericolosità sociale di individui affetti da tale grave patologia, considerando che difficilmente, come evidenzia la clinica maggioritaria, si può applicare una terapia risolutiva. Il disturbo narcisistico è, infatti, una patologia molto difficile da trattare e non paiono esserci, ad oggi, studi clinici completati di efficacia e, pertanto l’idea che il DNP possa o non possa essere trattato si basa esclusivamente sul giudizio del terapeuta. Peraltro, come si accennava poco sopra, con l’introduzione di caratteristiche di ipervigilanza nel DSM-5, la crescita del DNP parrebbe essere destinata a non arrestarsi.

E se assai è grave la pericolosità di un disturbato all’interno della relazione di coppia e/o comunque familiare (dunque in ristrette cerchie di persone), non si stentano a comprendere i devastanti effetti che la sua condotta possa arrecare allorché venga in contatto con cerchie più ampie di persone e/o comunque a maneggiare affari in cui sono coinvolte svariate migliaia di “interessi”. In poche parole, cioè, la pericolosità del DNP diventa “allarme sociale” quando si pensi ai risvolti socio-economici (ed anche politici) che la continua manipolazione e la distorsione della realtà da parte di individui narcisisti patologici facenti parte della classe dirigente, politica, economista di potere potrebbe ingenerare nelle società. Il tutto al solo ed unico scopo di nutrire i loro bisogni malati di rassicurazione e di controllo, scaricando sull’altro la loro disperazione ed aspettandosi che tutti i loro desideri e pensieri siano compresi immediatamente ed esauditi. Anche a costo di compiere i crimini più efferati ed a più dirompente effetto anti-sociale.

È proprio sotto quest’ultimo profilo che in un recente studio condotto da Merzagora, Travaini e Pennati sono state convogliate insieme le risultanze criminologiche, psichiatriche e giuridiche della dottrina e della clinica con l’intento di analizzare l’attuale crisi economica internazionale alla luce delle psicopatologie più frequenti, fra cui evidentemente in prima linea il DNP. In questo modo, cioè, le scienze giuridiche, criminologiche e psicopatologiche diventano di ausilio per una rilettura della crisi economica, politica, ed etica che ci sta attraversando oramai da troppo tempo. Con il chiaro intento di fornire soluzioni utili ad arginare la pericolosità di questi individui nei ruoli a forte impatto socio-politico.

È giustappunto sempre Hare che ci riporta un altissimo numero di casi di psicopatici narcisisti impegnati in raggiri, estorsioni, bancarotte fraudolente, e crack finanziari alle spese dei piccoli e medi risparmiatori ed è lui stesso a sostenere che «[] ci sono molte più probabilità di perdere i propri risparmi per opera di un abile truffatore (diremmo noi “manipolatore”) che perdere la vita per mano di un assassino dagli occhi di ghiaccio».

Fanno parte della nostra storia recente, in fondo, episodi di criminalità economica organizzata (economic o white crimes) che, molto più capillarmente e capziosamente dei cd. street (o black) crimes s’inseriscono nelle maglie della nostra società distruggendone gli individui, i loro risparmi, la loro salute, in due parole… la loro vita. Basti pensare ai casi di corruzione politica, i casi di malgoverno, bancarotta fraudolenta e riciclaggio in cui sono stati coinvolti, anche in Italia, negli ultimi dieci anni grossi istituti di credito e società finanziarie.

Siffatta analisi, quasi di stampo lombrosiano (memorabili sono le risultanze degli studi di Lombroso che denominava “criminaloidi” quei soggetti che non riusciva a catalogare nei cd. truffatori comuni, ma coloro che compievano i crimini approfittando della loro scaltrezza e della loro posizione ‑«senza un’occasione propizia […] non cadrebbe in colpa»‑), mira ad associare i cd. colletti bianchi (cfr. autori degli white crimes) a soggetti disturbati da forti psicopatologie, o quantomeno nella stragrande maggioranza dei casi.

Con l’epiteto “colletto bianco” ci si riferisce, solitamente, ad una persona appartenente alla classe superiore che commette un reato nel corso dell’attività professionale, violando la fiducia formalmente o implicitamente attribuitagli e che è rispettabile, o comunque rispettata. Secondo il criminologo Sutherland, in particolare, la patologia (sociale o) individuale che coglie questi soggetti sarebbe caratterizzata da debolezza mentale, psicopatia, disturbo emotivo. In generale, comunque, secondo gli studiosi più accreditati del settore (fra gli altri, Clinrad, McRea), le persone che si dedicano ad attività criminali nei cd. crimini politici ed economici sono soggetti con basso autocontrollo, dall’atteggiamento interessato al “qui e ora”, egocentrici, indifferenti, assolutamente insensibili per la sofferenza ed i bisogni degli altri, scarsamente tolleranti agli insuccessi, privi di coscienza e senso di responsabilità, muniti di un Io onnipotente ed infine tendenti a reagire in modo violento ed aggressivo di fronte a chi mini la loro sfera di controllo e, soprattutto, la loro immagine.

Com’è facilmente intuibile, quasi tutti i tratti di cui sopra sono giustappunto riscontrabili entro i tratti del narcisista patologico che abbiamo cercato di delineare all’inizio. È forse Bromberg, in uno studio del 1998, a sottolineare per primo la struttura narcisistica di questi individui, la percezione di onnipotenza e l’impunità sfrontata cui sempre accedono. In realtà, esattamente come aveva evidenziato Kernberg in relazione al disturbo patologico di personalità narcisistica, tutti i vissuti del “colletto bianco” vanno contestualizzati in quella che egli chiama “magnificent loneliness”, cioè un senso di devastante solitudine ed impressionante disistima. È per questo, dunque, che l’altro/la società diventano per il disturbato oggetto di profonda invidia ma anche oggetto sul quale proiettare il bisogno di rassicurazione. Il rapporto con gli altri si fa parassitario e improntato sullo sfruttamento per sanare le ferite. E dunque il parallelo fra DNP e criminale economico si fa evidente.

In entrambi i casi, infatti, la difficoltà sta proprio nel disvelamento di queste situazioni perché, se un narcisista perverso è difficilmente smascherabile (quantomeno all’inizio) per la sua apparente sensibilità, grandiosità e specialità, utilizzata in modo distorto per manipolare l’altro, anche il pregiudizio di questi crimini è di minore impatto ed evidenza degli omicidi più efferati, pur essendo di gran lunga più profondo (specie in termini spazio-temporali). Il danno economico dei colletti bianchi produce il devastante effetto “sfiducia”, ovvero l’indebolimento della morale comune e dell’etica del lavoro ed una disillusione nei confronti dello Stato e delle istituzioni.

I professionisti spregiudicati sono associati al successo e per questo la percezione della loro malattia diventa difficile, se non impossibile, da decifrare. Anzi, la loro avidità di vittoria viene valutata come attivismo, coraggio, intuizione e leadership. Le capacità manipolatorie del prestigiatore vengono cioè alla luce in tutto il loro splendore, mistificando la carenza di empatia con il “sangue freddo” ed il delirio di onnipotenza malato con la “sicurezza di sé”. Si è davanti, cioè, ad una vera e proprio distorsione della realtà fenomenica che, porta, nei casi più gravi, a vere e proprie forme di plagio.

Non infrequenti sono i casi di adepti dei criminali economici-politici e finanziari che, plasmandosi in toto sulla figura del loro “capo” e “guida”, finiscono per perdere la loro autonomia psicologica e decisionale, diventando corresponsabili nel perpetrare l’illecito, nonostante la loro stessa volontà. Ancor qui, per i risparmiatori o dipendenti che hanno a che fare con vertici aziendali psicopatici, non si può negare che l’uscita da questa escalation distruttiva può in molti casi essere assai laboriosa e faticosa, se non impossibile. E allora, come correttamente si domandano Merzagora, Travaini e Pennati, «[…] ma chi approfitta in modo spregiudicato delle opportunità, senza alcuna considerazione per la sofferenza delle vittime, e riesce non di meno ad ispirare fiducia e a violarla, non trova collocazione fra le categorie psicopatologiche?».

Così, rientrando sempre nel parallelo fra DNP e criminale economico, se i danni sociali, etici ed economici che un white collar può arrecare sono quelli summenzionati, non si può parimenti trascurare la “sindrome da stress post-traumatico [da narcisismo patologico]” che solitamente affligge le vittime prescelte dal narcisista, che involge varie patologie psicosomatiche o forme di depressione minore. Le vittime di un narcisista è come se fossero state contagiate da un “virus psichico”, poiché tendono a perdere lentamente le difese immunitarie e a sperimentare un inesorabile crollo dell’autostima, attacchi di panico, ansia, difficoltà a dormire e ad alzarsi la mattina, disturbi dell’alimentazione, difficoltà nella vita sociale, familiare e lavorativa, difficoltà di concentrarsi.

Potremmo cioè quasi dire, mutatis mutandis (senza pretesa di scientificità, non essendo questo il campo della scrivente, né essendovi ancora risultanze empiriche comprovate in tal senso), che la criminalità economica gioca lo stesso ruolo nei confronti dell’organizzazione sociale che il narcisista assume nei confronti della vittima. In entrambi i casi, tanto la societas che la persona sono “vittime invisibili” ed inconsapevoli del gioco al massacro che il disturbato sta intentando loro, impostato sulle loro debolezze. A tratti, paradossalmente, ne diventano anche complici, osannandone ed esaltandone le caratteristiche, e contribuendo inconsapevolmente a creare un “grande bluff” attorno alla loro figura. D’altra parte l’organizzazione socio-economica pubblica ha bisogno ed incoraggia la creazione di realtà imprenditoriali spregiudicate, dedite solo agli introiti, non capendo che però poi, alla fine, se fomenta questi valori all’eccesso, ne potrebbe restare schiacciata con danni incalcolabili non sono alle singole persone ma alla struttura socio-economica di base tutta.

Concludendo questa personale rilettura degli studi sul narcisismo patologico in chiave socio-economica, ci pare che non sia sufficiente, come alcuni auspicano, per risolvere o quantomeno arginare il problema, evitare che soggetti psicopatici possano rivestire posizioni apicali nelle società, associazioni o realtà comunque operanti sul mercato. Il problema è, infatti, a monte: come riconoscere questi soggetti, ed evitare d’implementare prassi virtuose che li distraggano dal rivestire ruoli di un certo peso sociale? «È ovvio però che se non siamo in grado di riconoscere gli psicopatici siamo condannati a restarne vittime», come sostengono Merzagora, Travaini e Pennati: è dunque proprio per questo che più probabilmente la possibilità di uscirne è legata alla diffusione della cultura di questa grave patologia a mezzo di seminari informativi e studi.

Gli strumenti giuridici a disposizione a livello civilistico e penalistico volti a colpire il narcisista ed il criminale esistono, ma ovviamente sono solo riparatori e non preventivi e non riescono certamente a mai risarcire la devastazione inflitta, a tutti i livelli in cui essa è stata operata. Per questo, ci sia consentito aggiungere che, oltre agli strumenti educativi ed informativi (che questo articolo vuol timidamente contribuire a rappresentare), va precisato che solo il profondo rispetto per sé stessi, alla fine, è l’unico antidoto per evitare di ingerirsi in situazioni malate e/o comunque di restarci. Come giustamente è stato scritto dalla criminologa Mammoliti ne I serial killer dell’anima, (2012), «[…] non si maltratta, però, solo il prossimo. Ci manchiamo di rispetto e ci facciamo del male quotidianamente in molteplici modi. Uno di questi consiste, appunto, nel non farci rispettare».

 

Bibliografia

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