Il delitto d’impeto
Sul tema di grande rilevanza in ambito forense relativo a quelle azioni imprevedibili che portano un essere umano ad ucciderne un altro, e cioè il delitto d’impeto, ci è sembrato di particolare interesse il volume scritto da Giuseppina Maria Patrizia Surace dal titolo, appunto, “Il delitto d’impeto”, edito da Rubbettino.
Nel volume l’autrice pone la sua attenzione sul crimine efferato generato da impulso irresistibile mettendo in risalto quelli che sono gli scenari di interesse psicopatologico, criminologico e forense. Parte assolutamente interessante risulta essere lo studio che fin dall’introduzione si pone il problema di circoscrivere il fenomeno partendo da un’alternanza tra una storiografia e quindi l’origine del pensiero criminologico applicato in tal senso e la rilevanza che queste teorie assumono tuttora nello studio del tema.
Si passa “dalla demonomania oscurantista alla scientificità dell’organo cerebrale felino”, alla nascita del concetto teorico di monomania nel quale vanno a raccogliersi gli studi sulla paranoia e la psicopatia, così come si sono sviluppati negli anni che vanno dal 1860 circa fino alle teorie più moderne espresse, dall’inizio del secolo, dagli studi psichiatrici e psicanalitici fino ai nostri giorni. Si arriva a toccare anche il tema della psicopatia.
Dunque un esame del delitto d’impeto in chiave monografica nel quale viene messa in luce l’aspetto di drammaticità esistenziale che si nasconde negli aspetti psicopatologici di questa azione così imprevedibile, incoercibile, inarrestabile. Il tutto anche mostrando gli effetti sulla società e gli aspetti giudiziari del fenomeno. Decodificare, definire e in qualche modo irreggimentare in una definizione un gesto così enigmatico e dagli effetti spesso atroci, fa di questo testo un elemento assolutamente originale che si inserisce nella disputa sul delitto d’impeto a tutto campo.
La prima parte della monografia, si occupa del fenomeno in ottica storico-criminologica, attraverso quel particolare confronto tra definizioni psichiatriche ed esigenze forensi fino a toccare concetti come quelli del “discontrollo episodico” e dei disturbi psicotici acuti.
Nella seconda parte, il volume si muove in un altro ambito poiché affronta il delicato tema dell’attribuzione di responsabilità ad un soggetto per il gesto che ha commesso: il tema fondamentale dell’imputabilità e della colpevolezza nell’ambito del diritto penale. Corre il rischio di inserirsi in quelle interpretazioni che vedono il raptus come elemento soggettivo di un reato a cui non si può applicare l’imputabilità poiché inserito negli “stati emotivi e passionali” e, affronta decisamente e concretamente, il contesto dello sviluppo dottrinale della giurisprudenza confrontandosi con i più recenti sviluppi che vanno orientandosi in una riforma del Codice Rocco. In questa seconda parte del volume, il delitto d’impeto nei suoi aspetti giuridici di imputabilità e colpevolezza, viene non soltanto definito nei suoi elementi costitutivi, ma anche confrontato con due sistemi penali quello tedesco e quello inglese, toccando il tema a nostro avviso fondamentale nelle cause di esclusione di imputabilità e cioè quella diagnosi di “vizio di mente” che riduce fortemente, o addirittura esclude, la responsabilità penale di un individuo per il gesto che egli stesso ha commesso.
Affronta infine il campo delle incertezze definitorie nell’ambito dei diversi quadri psicopatologici proprio per dare forza ad un principio di scientificità che è la graduabilità di una ipotesi.
Non omette, infine, un’osservazione sugli stati emotivi e passionali, fornendo alcuni spunti di riflessione che vanno da quelle più propriamente intese in senso fenomenologico, confrontandole con le inevitabili, ma pur necessarie, restrizioni definitorie che sono funzionali a dare un orientamento alla giurisprudenza ed alla applicazione delle leggi per una giusta valutazione del comportamento umano ai fini di un giusto processo.