La Dikaiosyne
Astrea (Díkē) dea della giustizia, “Vergine delle stelle”, Figlia di Zeus e di Themis, discese tra i mortali per diffondere sentimenti di giustizia e bontà, ma poi, disgustata dalla degenerazione morale del genere umano, si rifugiò nelle campagne; in seguito, costatato che «Vinta giace la pietà, e la vergine Astrea lascia, ultima degli dei, la terra madida di sangue[1]», ella ritornò definitivamente in cielo, da dove continua a splendere sotto la forma della costellazione della Vergine.
Di lei, sulla terra, rimane marmorea la sua effige[2]. Nella sua mano sinistra una bilancia, nell’altra una spada. Monito per gli uomini che la giustizia, per esser tale, richiede non solo equità ma, dove necessita, potere e forza.
La giustizia (dikaiosyne) ovvero «virtù di natura sociale che comporta il riconoscimento (diritto) ed il rispetto (dovere) della sfera giuridica altrui in quanto costituita da diritti e libertà […] sanciti in natura[3]», è stata data all’uomo affinché potesse condurre ordinatamente la propria esistenza e mostrarsi giusto (dikaios).
La Giustizia, questa “virtù di natura sociale sancita per natura”, altrimenti detta principio antropologico di natura ontologica[4], permette all’uomo di capire che ogni essere umano è possessore di qualcosa che gli altri hanno il dovere di riconoscergli. Essa è un valore innato, come l’idea di verità, di bene e di bellezza che induce l’uomo alla consapevolezza del dovere di riconoscere i diritti di ogni essere umano e di operare per la loro realizzazione. Pertanto la giustizia è il principio regolatore che garantisce la coesistenza sociale essendo essa l’insieme di azioni giuste, capaci di promuovere la simmetria tra le parti.
Poiché travalica culture ed epoche[5], il senso di giustizia ‑ per questo può definirsi universale – permette di parlare dell’umanità intera come di una comunità morale. Alla giustizia universale appartiene il riconoscimento di beni giuridici come il corpo e la vita, la proprietà e il buon nome (l’onore). Come d’altronde all’umanità intera appartiene anche l’idea di giustizia correttiva che esige una compensazione per il torto subito: un torto maggiore esige una compensazione maggiore e un torto minore una minore. Quest’ultima prende le mosse dall’imperativo di equità: casi uguali devono essere trattati in modo uguale. È per sottolineare questa imparzialità che la Dea è rappresenta con gli occhi bendati.
Parafrasando Tommaso D’Aquino[6] ogni azione umana, in quanto umana – sia essa religiosa, artistica, economica, giuridica, politica – cade inesorabilmente sotto la Giustizia che prima di tutto è legge di verità. Come osserva l’aquinate, «compito proprio della giustizia, tra tutte le altre virtù, è di ordinare l’uomo nei rapporti verso gli altri […]. Invece le altre virtù perfezionano l’uomo soltanto nelle sue qualità individuali che riguardano lui stesso». La giustizia quindi «riguarda le operazioni con le quali l’uomo non solo viene ordinato in se stesso, ma anche in rapporto all’altro», e questo «altro» è la persona presa sia individualmente che collettivamente come società. La Giustizia ha essenzialmente a che fare con l’altro, l’essere-altro considerato nella sua alterità e si afferma nel vivere l’uno con l’altro, ed ognuno di noi è l’altro del suo vicino, ed in questo si distingue dall’amore che considera l’altro come se stesso, ed è vivere l’uno nell’altro.
A confermare quanto la Giustizia sia virtù equilibratrice è uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences condotto del Yerkes National Primate Research Center della Emory University di Atlantain collaborazione con il Georgia State University, che documenta[7] come anche gli scimpanzé abbiano il senso della giustizia. Gli animali, sottoposti ad un esperimento ludico, hanno manifestato un senso di equità normalmente attribuito solo agli esseri umani, mostrando a loro modo di non sopportare una divisione non giusta tra i due giocatori. Fatto che, alla luce delle tante scoperte pregresse sugli scimpanzé, non stupisce. Quello che invece può stupire è che essi, per dimostrarsi tali, non abbiano avuto bisogno di una Dea deputata a gestire punizioni e ricompense, né di un potere istituzionale come la magistratura, ma semplicemente dell’istinto.
La questione pare quindi essere semplice: il senso di giustizia è insito nell’uomo e sta alla base della società, e per dirla con le parole di Proctor, autore dello studio, «È quindi probabile che il senso di equità sia stato necessario nell’evoluzione della cooperazione. E sembrerebbe esistere nei primati almeno sin da quando scimpanzé e umani si sono separati».
Se vogliamo continuare ad esistere e a migliorarci, non solo come specie, ma come comunità, dobbiamo salvaguardare e favorire la Giustizia quale valore imprescindibile del nostro bagaglio “cromosomico”… in fondo, non possiamo essere da meno di uno scimpanzé!
[1] Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 149-150.
[2] G. Nanni, Semiotica del visibile; Cesare Ripa, “Iconologia”, tomo III, pag. 203, Perugia, Stamperia di Piergiovanni Costantini, 1764-67
[3] Enciclopedia italiana Treccani
[4] Ulpiano nel Digesto
[5] M. Walzer in Spheres of justice (1983), Enciclopedia Treccani.it
[6] Reginaldo M. Pizzorni: Diritto, etica e religione. Il fondamento metafisico del diritto secondo Tommaso d’Aquino. Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2006
[6] Retrieved from: http://www.corriere.it/animali/13_gennaio_15/scimpanze-senso-giustizia_a513e5a6-5f27-11e2-8d79-cb6cdb3edff8.shtml
[7] Retrieved from: http://it.wikipedia.org/wiki/Gioco_dell%27ultimatum;pubblicato; vedi anche PNAS http://www.pnas.org/content/early/2013/01/09/1220806110