Nuovi orizzonti professionali alla luce della Legge 4/2013
Abbiamo assistito, negli ultimi quindici anni, ad una profonda spaccatura del mondo delle professioni intellettuali in Italia: da una parte la metà organizzata in ordini e collegi professionali – le così dette professioni regolamentate – e dall’altra tutti quei professionisti che non godevano di uno status pubblico: i professionisti non regolamentati o, come spesso si è detto, i professionisti organizzati in associazioni professionali.
I primi a difendere la propria esclusività nel ruolo di “pubblica tutela”, gli altri a tentare di rompere i vecchi schemi proponendo un sistema duale di accesso alle professioni. Corporazione da una parte, competizione dall’altra. Stato da una parte, mercato dall’altra.
Sono passati quasi quindici anni da quando il Parlamento fu investito dalla prima proposta organica di riforma delle professioni intellettuali: il primo disegno di legge Flick/Mirone (primo Governo Prodi). Si sono poi susseguiti, nell’ordine: il disegno di legge Fassino (Governo Amato) e il disegno di legge Mastella (secondo Governo Prodi), senza contare le innumerevoli proposte di legge sull’argomento.
C’è voluto l’intervento di un Governo tecnico – e di alcune alchimie politiche e fortunate congiunture – per arrivare il 19 novembre 2012 all’approvazione della Legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”.
È stato un percorso duro, periglioso e pieno di ostacoli: gli Ordini professionali, fino all’ultimo, hanno tentato di boicottare l’approvazione del testo.
Ma il processo innescato non era ormai più arrestabile: questa legge getta infatti le basi per un sistema professionale moderno e competitivo, un sistema che sarà in grado di produrre ricchezza e occupazione, un sistema che dà dignità e status agli oltre 3 milioni di uomini e donne professionisti che hanno atteso per anni di veder tutelato il proprio lavoro.
I dati emersi da più indagini (CNEL, ISTAT, CENSIS, CoLAP) confermano infatti il ruolo determinante dei così detti professionisti non regolamentati nella crescita e nello sviluppo del paese: questi professionisti producono il 4% del PIL e rappresentano il 14% della forza lavoro del paese. Essi rappresentano senza ombra di dubbio un’opportunità unica per rilanciare l’occupazione in Italia, in particolare per i giovani, le donne e gli over 50.
La Legge 4 infatti recepisce una delle tante richieste che insistentemente e da molti anni l’Europa fa all’Italia, ovvero quella di favorire un mercato (non solo interno) delle professioni libero e competitivo, ritenendo che questi siano i presupposti per garantire all’utenza prestazioni di qualità.
Futuro è la parola chiave di questo nuovo e variegato universo professionale, il quale giornalmente si confronta con un mercato in assenza di qualunque tipo di tutela, a differenza dei così detti professionisti ordinati che, protetti da leggi anacronistiche e corporative, continuano a dettare le regole al mercato impedendone l’evoluzione.
Ma è importante tenere bene a mente che la Legge 4 non è il punto di arrivo, bensì il punto di partenza.
I suoi effetti vanno ben al di là di quanto contenuto nei suoi scarni articoli, e sarà cura ed interesse di tutti noi professionisti spiegarli bene all’intero sistema-paese.
La prima tappa della strada che dovremo percorrere dovrà essere quella di iniettare il concetto di professione associativa nell’intera legislazione italiana. Non ci dovremo limitare ad introdurre piccole innovazioni, ma a fissare le nuove linee guida su cui si dovrà basare l’attività dei futuri professionisti.
Per fare questo è però necessario comprendere a fondo il significato di questa legge che, ancora oggi a quasi un anno di distanza dalla sua approvazione, continua ad essere sovente male interpretata.
Il testo si compone di undici articoli.
L’articolo 1 (Oggetto e definizioni) definisce l’ambito di applicazione della norma che, nel nostro caso, è riferito a tutte le professioni che non sono organizzate in Ordini o Collegi professionali.
1. La presente legge, in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi.
2. Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.
3. Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice.
4. L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista.
5. La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.
Un punto molto interessante di questo articolo – che ha visto un aspro dibattito sia nelle Commissioni sia in Aula – è che finalmente le professioni non organizzate vengono definite come attività economiche esercitate mediante il lavoro intellettuale. Dunque professioni intellettuali a tutti gli effetti, spezzando (e spazzando via) di fatto il monopolio che fino ad oggi attribuiva la patente di professione intellettuale alle sole professioni regolamentate.
Altro punto interessante è che la norma prevede la possibilità che queste professioni siano esercitate nella forma di lavoro dipendente. Certo, considerando che ancora non esistono contratti collettivi nazionali di riferimento (CCNL), la strada è ancora lunga, ma da un punto di vista legislativo nulla osta a che un domani le nuove figure professionali, come il counselor, ad esempio, possano aspirare ad essere assunta da un ente pubblico o privato.
Troviamo inoltre, in questo primo articolo, l’unico obbligo posto dalla norma: tutti i professionisti che esercitano una professione non organizzata, sono obbligati, in ogni documento scritto, a far riferimento alla norma medesima.
L’articolo 2 (Associazioni professionali) introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il riferimento alle associazioni professionali: associazioni di natura privatistica, senza vincolo di rappresentanza esclusiva per la professione e su base volontaria.
1. Coloro che esercitano la professione di cui all’art. 1, comma 2, possono costituire associazioni a carattere professionale di natura privatistica, fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
2. Gli statuti e le clausole associative delle associazioni professionali garantiscono la trasparenza delle attività e degli assetti associativi, la dialettica democratica tra gli associati, l’osservanza dei principi deontologici, nonché una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione.
3. Le associazioni professionali promuovono, anche attraverso specifiche iniziative, la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta ai sensi dell’art. 27-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, vigilano sulla condotta professionale degli associati e stabiliscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice.
4. Le associazioni promuovono forme di garanzia a tutela dell’utente, tra cui l’attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, presso il quale i committenti delle prestazioni professionali possano rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti, ai sensi dell’art. 27-ter del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, nonché ottenere informazioni relative all’attività professionale in generale e agli standard qualitativi da esse richiesti agli iscritti.
5. Alle associazioni sono vietati l’adozione e l’uso di denominazioni professionali relative a professioni organizzate in ordini o collegi.
6. Ai professionisti di cui all’art. 1, comma 2, anche se iscritti alle associazioni di cui al presente articolo, non è consentito l’esercizio delle attività professionali riservate dalla legge a specifiche categorie di soggetti, salvo il caso in cui dimostrino il possesso dei requisiti previsti dalla legge e l’iscrizione al relativo albo professionale.
7. L’elenco delle associazioni professionali di cui al presente articolo e delle forme aggregative di cui all’art. 3 che dichiarano, con assunzione di responsabilità dei rispettivi rappresentanti legali, di essere in possesso dei requisiti ivi previsti e di rispettare, per quanto applicabili, le prescrizioni di cui agli articoli 5, 6 e 7 è pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico nel proprio sito internet, unitamente agli elementi concernenti le notizie comunicate al medesimo Ministero ai sensi dell’art. 4, comma 1, della presente legge.
Ed è questa la vera novità e la vera svolta introdotta dal testo. Da una parte si ribadisce che l’esercizio delle professioni non regolamentate è libero e non vincolato, dall’altra si riconosce che più professionisti possano aggregarsi in forme rappresentative.
Tutta l’area rappresentativa delle associazioni professionali è estremamente soddisfatta della formulazione di questo articolo (e dell’articolo 5, ad esso strettamente collegato), poiché finalmente vengono definiti nero su bianco i requisiti principali che dovrà avere un’associazione per definirsi “associazione professionale di categoria” e poter richiedere di comparire nell’elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico.
Criteri che in maniera più compiuta vengono elencati nell’articolo 5 del testo (Contenuti degli elementi informativi).
Da notare inoltre il riferimento (non sarà l’unico nel testo) al Codice del consumo.
Il successivo articolo 3 (Forme aggregative delle associazioni) dà facoltà alle singole associazioni di riunirsi in forme aggregate come una federazione, ad esempio.
1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2, mantenendo la propria autonomia, possono riunirsi in forme aggregative da esse costituite come associazioni di natura privatistica.
2. Le forme aggregative rappresentano le associazioni aderenti e agiscono in piena indipendenza e imparzialità.
3. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l’operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell’esercizio dell’attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
Anche questo è un grande traguardo: viene favorita la politica di aggregazione anziché quella di frammentazione. Associazioni similari, per tutelare e meglio promuovere interessi comuni, nonché per darsi una sorta di autoregolamentazione interna, possono aggregarsi e perseguire macro-obiettivi comuni.
Nel caso del counseling, ad esempio: la battaglia per la detraibilità della prestazioni di counseling, la rivisitazione della gestione separata dell’INPS, l’attribuzione di un codice ATECO specifico per l’attività e, soprattutto, la possibilità di effettuare una corretta divulgazione così da arginare alcuni fenomeni che, per ragioni puramente commerciali, vorrebbero raccontarci certe favole come quella che puoi diventare un professionista con un weekend di formazione.
Nel caso del counseling, ad esempio, AssoCounseling si è fatta promotrice della nascita di Federcounseling, la prima federazione nazionale delle associazioni di counseling nel cui Statuto si fa esplicito riferimento proprio a questo articolo della Legge 4.
L’articolo 4 (Pubblicità delle associazioni professionali) introduce anch’esso alcune novità:
1. Le associazioni professionali di cui all’art. 2 e le forme aggregative delle associazioni di cui all’art. 3 pubblicano nel proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Nei casi in cui autorizzano i propri associati ad utilizzare il riferimento all’iscrizione all’associazione quale marchio o attestato di qualità e di qualificazione professionale dei propri servizi, anche ai sensi degli articoli 7 e 8 della presente legge, osservano anche le prescrizioni di cui all’art. 81 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.
2. Il rappresentante legale dell’associazione professionale o della forma aggregativa garantisce la correttezza delle informazioni fornite nel sito web.
3. Le singole associazioni professionali possono promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionali. Ai suddetti comitati partecipano, previo accordo tra le parti, le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tutti gli oneri per la costituzione e il funzionamento dei comitati sono posti a carico delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.
Anche qui l’attenzione principale è rivolta ai diritti e alla tutela del consumatore: l’associazione è chiamata a promuovere se stessa ed i propri professionisti accreditati attraverso meccanismi di controllo (la cui responsabilità è demandata al rappresentante legale) tesi a verificare la veridicità e la coerenza delle informazioni pubblicizzate.