Morte in Via Veneto
Via Lazio e via Emilia, a Roma, non solo distano tra loro pochi metri, ma si incrociano nella via della Dolce Vita, nello specchio di una via Veneto che riflette tempi lontani di dive e divini, paparazzi, passioni, risse e vita vibrante.
C’è la Roma degli anni ’60 nel secondo libro del giornalista investigativo Fabio Sanvitale e dell’esperto di scena del crimine Armando Palmegiani “Morte a via Veneto. Storie di assassini, tradimenti e Dolce Vita”, edito da Sovera edizioni. Confermando la formula del precedente libro “Un mostro chiamato Girolimoni”, Sanvitale e Palmegiani ricostruiscono, con il loro stile che intreccia rigore tecnico-scientifico e narrazione immediata e incisiva, una Roma “dorata ma non d’oro”, perché per due volte, nel 1963 e nel 1964, due delitti, due vite diverse accomunate dallo stesso indirizzo, portarono via Veneto e il suo carico di lustrini e bel mondo a entrare negli annali della cronaca nera.
2 maggio 1963, sul pianerottolo al quarto piano di un edificio di via Emilia, fra l’ascensore e una porta tenacemente chiusa, giace una ragazza dal cappotto verde, anche se, in quell’appartamento, c’è una sua amica. Entrambe sono giovani, belle, straniere. La vittima si chiama Christa Wanninger, cappuccino e cornetto per pranzo, uomini e locali alla moda la notte, “tedeschina” con il sogno di diventare attrice. A Roma cercava fortuna, invece trovò la morte. Un urlo, quel pomeriggio. La portinaia sale le scale, un uomo in blu le scende con distacco, un primo identikit, telefonate, richieste di denaro, perizie, assoluzioni e sentenze ribaltate. Ci vorranno ventidue anni per assegnare un nome all’assassino di Christa.
20 gennaio 1964, “l’ufficio del presidente” è in via Lazio, a pochi metri e pochi mesi dopo il caso Wanninger. Il “presidente” è il ventisettenne Farouk Chourbagi, ricco e giovane industriale egiziano. Ed è anche affascinante Chourbagi, forse troppo, tanto da essere ritrovato dalla sua segretaria ucciso e sfigurato. Forse era diventato l’ossessione della sua amante, o forse lo era per suo marito, i coniugi Bebawi, anche loro egiziani, anche loro ricchissimi. Un rimpallo di accuse, ha sparato lui per gelosia o lei dopo l’abbandono, il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Leone tra gli avvocati, due anni e trenta ore di camera di consiglio per una sentenza ribaltata in appello dopo altri due anni quando ormai…
Il pezzo mancante sarà svelato quarant’anni dopo la pronuncia della Cassazione da Sanvitale e Palmegiani che, rileggendo gli atti, ricostruendo le traiettorie, smontando indizi certi e seguendone di nuovi, riveleranno ciò che, all’epoca, sfuggì o fu sottovalutato, consegnandoci così un’altra storia, un altro finale, mentre Roma continua a scorrere lenta con l’acqua di una fontana, accarezzando desideri e monetine a due passi da via Veneto.